Orsi & Tori

Milano Finanza

Questa è la storia di una famiglia fra le più ricche, se non la più ricca, d’Italia, che fino a poche ore fa poteva aver perso tutto. Bastava che si ostinasse a non aprire e a non accettare il cambiamento epocale intervenuto nell’economia negli ultimi 18 mesi,

Questa è la storia di una famiglia fra le più ricche, se non la più ricca, d’Italia, che fino a poche ore fa poteva aver perso tutto. Bastava che si ostinasse a non aprire e a non accettare il cambiamento epocale intervenuto nell’economia negli ultimi 18 mesi, che rendeva folle e insostenibile il processo di espansione compiuto a partire dal 1987 sotto la guida di Raul Gardini. Per sua fortuna, il buon senso del fondatore non si è disperso ma è riemerso sordo negli eredi e con una scelta radicale è stata aperta la cassaforte di famiglia al capitale di soci esterni. Alla fine del piano preparato dalla banca americana Goldman Sachs e verificato da alcuni professionisti di grande esperienza in operazioni del genere, la famiglia Ferruzzi sarà sempre il socio importante della Serafino Ferruzzi e recupererà un rapporto diretto con il settore agroalimentare, nel quale si era formata la fortuna. La scelta non è stata facile, anche perché è avvenuta in un clima di crescente tensione e di covi che in molti casi parlavano di crack già consumato. Da Mediobanca, l’istituto che più si era impegnato negli ultimi tempi per elaborare un piano di intervento, arrivavano valutazioni dell’indebitamento a ben 31 miliardi, molto al di sopra del fatturato, e dei 19 mila effettivi. Da Parigi e da Ravenna si parlava di totale perdita del capitale delle principali società.
Quando si è riunito il comitato degli azionisti della Serafino Ferruzzi, composto dai tre fratelli Arturo, Alessandra e Franca, alcuni all’esterno pensavano che non c’era più niente da fare, e che la famiglia avrebbe dovuto uscire di scena. L’approvazione del piano Goldman Sachs e quindi l’apertura ai soci esterni hanno creato le prospettive di rilancio, riportando la famiglia  al centro delle operazioni. L’ex cassaforte di famiglia sarà ricapitalizzata per circa 1.500 miliardi: una buona parte di essi saranno immessi dalle banche che, in base alla decisione di Antonio Fazio e Lamberto Dini di autorizzare gli istituti di credito a entrare nelle aziende (l’annuncio della nuova normativa è contenuto nelle considerazioni del governatore), potranno  trasformare parte dei crediti in azioni; una quota rilevante sarà apportata sotto forma di asset del settore alimentare da Sergio Cagnotti o da un altro imprenditore; tutti gli asset non agroalimentari del gruppo Ferruzzi saranno posti in vendita con una previsione di recupero di 7-8 miliardi; fra gli asset che saranno venduti ci sarà anche Fondiaria e a occuparsene sarà naturalmente Mediobanca; a curare la vendita di tutto il resto sarà Cragnotti. Le banche hanno dato l’assenso al piano anche perché la famiglia ha preso un’altra decisione coraggiosa e che pochi altri imprenditori avrebbero adottato: ha sposato la linea della trasparenza massima facendo emergere i conti reali nelle varie società. Risultato: la Montedison perde 1.200 miliardi, la Ferfin 1.500 oltre ai 580 della Fondiaria. Dopo anni di maquillage o di plastiche violente, si è deciso di fare pulizia. È evidente, insieme ai grandi anche i piccoli azionisti sono colpiti duramente, ma i Ferruzzi hanno saputo porre le basi per una nuova epoca, ritornando alle origini. Una volta razionalizzato e irrobustito il settore agroalimentare potrà arrivare a 22 mila miliardi di fatturato. Lo sviluppo potrà riprendere, anche perché l’andamento industriale di tutte le attività risulta già adesso positivo. A pesare sono i debiti e la struttura di holding che era stato necessario costruire per tener dietro al progetto troppo ambizioso di Gardini. Oggi, a chi lo interroga, il cognato dei Ferruzzi spiega che Carlo Sama, arrivato alla posizione di leader dopo un interregno di Giuseppe Garofano, avrebbe dovuto vendere prima. In realtà sa bene anche Gardini che negli ultimi mesi tutto si poteva fare con facilità meno che vendere. Una volta compiute le varie fusioni, il gruppo sarà ridimensionato e assai più corto, ma anche come assetto molto simile a tutti i gruppi famigliari ancora esistenti. Basta pensare alla famiglia Agnelli: detiene il 93% della Giovanni Agnelli & C., che possiede solo il capitale ordinario dell’Ifi (50% del totale), che controlla direttamente o indirettamente circa il 40% della Fiat spa. Se si eliminassero le varie scatole, la famiglia Agnelli avrebbe circa il 16% della Fiat. Più o meno questa sarà la quota che i tre fratelli Ferruzzi conserveranno della scatola dove saranno racchiuse le attività produttive del settore agroalimentare. All’orizzonte c’è dunque una stagione molto intensa di dismissioni che del resto Sama, con molta chiarezza, aveva già annunciato alle assemblee di un anno fa, pensando fin dall’inizio all’intervento professionale di Cragnotti, riconosciuto fra i più abili negoziatori del mercato internazionale. Della Cragnotti & partners, del resto, il gruppo Ferruzzi è fin dall’inizio il principale singolo azionista. Viene così buona adesso una scelta fatta tre anni fa, quando non tutti erano pronti a scommettere sul presidente della Lazio. E anche la scelta di Goldman Sachs ha il sapore della saggezza perché assegna all’operazione quella dimensione internazionale che è sempre stata la forza dei Ferruzzi fin dal tempo di Serafino, uscendo dalla logica dei salotti di Mediobanca. Con l’istituto guidato da Enrico Cuccia, Sama e i cognati hanno saputo però mantenere un rapporto importante proprio nell’area che per via Filodrammatici è più significativa, quella di Fondiaria. Riassumendo piena libertà d’azione sulla compagnia di Firenze, Mediobanca ha la possibilità di portare a compimento il progetto di razionalizzazione riguardante anche le Generali, mentre la garanzia operativa a tutto il progetto Ferruzzi è offerta da Cesare Geronzi e Pellegrino Capaldo, che a capo della Banca di Roma saranno i primi a dare contenuto alla scelta della Banca d’Italia di favorire lo sviluppo anche in Italia della banca universale.