La Galassia del credito in marcia al Centro-Sud

La Repubblica

La Banca di Roma, guidata dalla coppia Geronzi-Capaldo punta ad un’altra infornata di acquisizioni: Bna, Banco di Sicilia, Banco di Napoli. E poi, forse, anche Cariplo…

Roma – Se la Galassia del Nord è una creatura di Cuccia, e se la sua costruzione è ormai in  fase avanzata, la Galassia del centro è qualcosa di molto più sfuggente. Al punto che molti non  si sono ancora accorti di essa e delle stelle che continua ad aggregare. Gli esperti, peraltro, dicono che il cuore del Potere del degli anni Duemila sarà proprio questo. Mentre su Cuccia si è già detto e scritto tutto quello che si poteva, i padri e i gestori della Galassia del centro sono personaggi assai più defilati, quasi sconosciuti al grande pubblico. Però sono dei tipi tosti. Se oggi chiedete a qualcuno del mondo degli affari chi siano i personaggi più potenti in Italia, è probabile che vi rispondano: «Cesare Geronzi e Pellegrino Capaldo, direttore generale e presidente della Banca di Roma». Il loro progetto non è dissimile da quello che Cuccia persegue a Milano, solo che loro lavorano a Roma a due passi dai palazzi della politica. E hanno di mira tutto il Centro-Sud, senza peraltro trascurare, come vedremo, qualche interessante puntata al Nord.
La base operativa della Galassia del Centro è l’attuale «Banca di Roma», una creatura che fino a qualche anno fa non esisteva. La prima parte della Galassia del Centro è l’ex Banco di Roma. E a gettarne le fondamenta sono stati appunto Geronzi e Capaldo. Il primo è un perosnaggio notissimo negli ambienti bancari. Per moltissimo tempo è stato il responsabile dell’Ufficio Cambi della Banca d’Italia. È stato per anni e anni l’uomo che, attaccato ai suoi telefoni, comprava dollari o vendeva, marchi (o viceversa) per pilotare la lira esattamente là dove voleva via Nazionale.
Poi, ha lasciato la Banca d’Italia ed è andato a far carriera al Banco di Napoli. Per la verità al Banco di Napoli è stato chiamato, come vice-direttore generale, da Rinaldo Ossola (ex direttore generale della Banca d’Italia, diventato presidente del Banco di Napoli, per fare un po’ d’ordine ecumenico nelle amicizie (c’è chi lo descrive, anni fa, come un andreottiano, ma c’è stato anche chi l’ha definito un comunista), dall’istituto partenopeo trasloca alla cassa di risparmio di Roma nel 1982. Va a fare il direttore generale. A spedirvelo è la Banca d’Italia, preoccupata per quello che stava accadendo dentro l’istituto romano.
Alla Cassa di Risparmio verrà raggiunto, nel 1986, da Pellegrino Capaldo. Gran professore di Ragioneria, testa finissima, amico di Ciriaco De Mita (ma, anche lui, molto ecumenico nelle frequentazioni).
Due personaggi molto diversi fra di loro. Geronzi è un grandissimo tecnico bancario, un uomo che conosce tutti i segreti delle banche italiane, tutti i banchieri e qualsiasi cosa che abbia a che fare con la movimentazione del denaro. Capaldo è un giurista, un esperto di questioni societarie, un uomo prudentissimo, ma astutissimo. I due, si diceva, si incontrano e scoppia come una sorta di razione chimica. Nessuno sa che cosa l’abbia innescata, ma scoppia. Questo è sicuro.
Quando vi arrivano loro la Cassa di Risparmio di Roma è un po’ meno di niente. Nel 1986 Geronzi ha rimesso a posto le cose più gravi, ma certo la Cassa di Risparmio non brilla nel firmamento italiano del credito. È un grande baraccone, certo. Pieno di soldi e di depositi. Ma non si può dire che abbia grande prestigio o grandi progetti. È come tante altre banche. Sta lì, con i suoi sportelli e le sue filiali, muove un po’ il denaro. Ma è immobile. Non ha un disegno, non ha una vocazione, non ha una rotta.
Capaldo e Geronzi, invece, una cosa l’hanno capita. Il mondo delle banche è un mondo povero di protagonisti. Ritirati dalla scena, poco a poco, i grandi banchieri milanesi, non c’è più nessuno che si possa definire davvero un protagonista. E le banche sono lo specchio dei loro capi: vegetano, tirano a campare. Tutti si lamentano per i grandi poteri di Cuccia e di Mediobanca, ma sono pochi quelli che arrivano a capire quello che Cuccia fa. Insomma, il mondo delle banche, alla fine degli anni Ottanta (ma anche oggi), è un mondo di mezze figure. Geronzi e Capaldo capiscono che con un buon progetto in mano si può fare tanta strada. A fare il loro tratto impiegano poco. Gli obiettivi sono semplici e chiari sin dall’inizio. Prima vogliono diventare un importante gruppo bancario, poi la più grande banca del Centro-Sud e, infine, la più grande banca italiana. Dopo di che, costruiranno anche loro una Galassia, esattamente come quella di Cuccia.
Si mettono al lavoro e nel giro di pochi anni bruceranno le tappe. La prima mossa è quella di comprarsi dall’Iri, nel 1989, il Banco di Santo Spirito (se ricordo bene, è stato Romano Prodi a venderglielo). Qualche anno dopo, perfezionano il colpo, comprandosi (sempre dall’Iri) il Banco di Roma.
Mettono il tutto in uno shaker, lo agitano un po’ e ne tirano fuori la Banca di Roma. Un affare da 70 mila miliardi di raccolta presso i clienti già nel 1993. La terza banca italiana dopo i due «mostri» del San Paolo di Torino e della Cassa di Risparmio di Milano (con la quale, per la verità, sono alla pari quanto a raccolta del denaro).
In sostanza, ancora sei-sette anni fa, Geronzi e Capaldo erano due banchieri del tutto ignorati nella mappa del potere creditizio. Se ne stavano dentro la loro Cassa di Risparmio a rattoppare le ferite della passata gestione e tutti pensavano che avrebbero continuato tutta la vita a pagare le bollette della luce e del gas per conto dei loro clienti. O, al più, che avrebbero finanziato le imprese di qualche palazzinaro romano. Invece, zitti zitti, senza sollevare il minimo clamore, hanno costruito, con due fortunate acquisizioni, il terzo gruppo bancario italiano, che, quanto a raccolta, sta alla pari con la Cariplo (che è la più grande cassa di risparmio del mondo). Il bello della storia è che siamo appena agli inizi, e sotto molti aspetti. Il primo è quello del lavoro propriamente bancario. Se sei-sette anni fa i due erano banchieri di secondo rango, oggi sono di categoria prima-super. Non c'è grande affare che non sia transitato per i loro uffici. Non c'è gruppo di un certo peso (a partire da quello di Silvio Berlusconi) che non abbia bussato alla loro porta. Insomma, quando oggi c'è un affare veramente grosso in ballo, si può star certi che prima o poi i protagonisti finiscono davanti alle scrivanie di Geronzi e di Capaldo. In questo senso, è possibile dire che hanno scalfito (e forse anche qualcosa di più ...) il peso delle banche milanesi, Comit e Credit. Tradizionalmente erano queste che si aggiudicavano la clientela migliore e gli affari più sostanziosi. Da qualche anno non è più così. Ci sono anche Geronzi e Capaldo. E questo è già un risultato, soprattutto perché è stato costruito partendo da una banca senza immagine o, addirittura, molto chiacchierata (come erano il vecchio Banco di Roma e la Cassa di Risparmio di Roma). Naturalmente, i banchieri milanesi sono generosi di veleno nei confronti dei due banchieri romani. E non nascondono di amarli assai poco. Geronzi e Capaldo, probabilmente, ricambiano, ma, avendo fatto dell'ecumenismo più totale una professione di fede, non si sbilanciano. Quello che è certo è che i due stanno abbastanza sulle scatole al resto del mondo bancario: in pochissimi anni hanno fatto un sacco di strada. I loro progetti, comunque, sono molto grandiosi. Il modello, come ho già detto, è Cuccia con la sua Galassia. E allora via. L'elenco delle future prede di Capaldo e Geronzi è presto fatto, anche se è piuttosto lungo. Al primo posto c'è, naturalmente, la Banca Nazionale dell'Agricoltura (con dentro anche Interbanca). In pratica si tratta di 20 mila miliardi da aggiungere ai 70 mila che già i due amministrano. Si arriverebbe così a 90 mila. Dopo, c'è in lista il Banco di Sicilia: e si tratta di altri 31 mila miliardi di raccolta. Totale, a quel punto: 120 mila miliardi di raccolta (contro i 110 del San Paolo, prima banca italiana per dimensioni). Ma nel mirino c'è anche il Banco di Napoli: altri 50 mila miliardi. A questo punto saremmo in una dimensione mai conosciuta dal mondo bancario italiano: 170 mila miliardi di raccolta. Tanto per avere un'idea, la Comit, la signora delle banche italiane, non arriva a 60 mila miliardi di raccolta. Basta questo, credo, per dare un'idea della vastità del progetto di Capaldo e Geronzi: costruire una super-banca che sia il triplo della Comit e quasi quattro volte il Credito Italiano (senza il Rolo). La storia, però, non finisce qui. Il progetto ha almeno due o tre altri aspetti. Il primo è quello assicurativo. Già oggi, ad esempio, l'Ina è abbastanza nell'orbita di Capaldo e Geronzi. Domani potrebbe essere associata in modo più stretto alla Galassia che fa perno intorno alla Banca di Roma. Dopo di che, l'Ina diventerebbe il polo naturale per altre assicurazioni un po' allo sbando. Certo, Geronzi e Capaldo non possono contare come Mediobanca su Fiat, Pirelli, Montedison, ma anno dopo anno si stanno infilando dentro i grandi affari e nel Centro-Sud c'è tutto un mondo imprenditoriale vivace e abile da aggregare e da unire. Inoltre, non bisogna trascurare il fatto che già oggi dispongono della rete di sportelli più diffusa e ramificata. E che questa loro presenza è destinata a crescere con le acquisizioni in programma. Un fatto, già a questo punto, è sicuro. Fino a non molti anni fa, Comit e Credit non avevano rivali. Oggi, sanno che bisognerà fare i conti con la Banca di Roma. In fondo al tunnel, infine, c'è il grande sogno. Anche Capaldo e Geronzi sanno leggere le mappe del credito. E anche loro, come Cuccia a Milano, hanno notato che nel cielo delle banche ci sono due ammassi stellari grossi e potenti, ma isolati e che non sembrano avere un disegno. Curiosamente si tratta delle prime due banche italiane, San Paolo e Cariplo, abbastanza immobili, assenti dai grandi terremoti bancari di questi anni. Si dice, ma si tratta solo di una voce, che la Banca di Roma aspirerebbe a un accordo con Mediobanca: voi vi pigliate il San Paolo, per la vostra Galassia del Nord, e noi ci pigliamo la Cariplo, per la nostra Galassia del Centro. Voci, certo. Forse, solo fantasie. Una cosa, invece, è quasi sicura. Fino a ieri pareva impossibile sognare una banca italiana con più di 200 mila miliardi di depositi. Oggi non più. Tanto a Roma quanto a Milano sanno che la prossima frontiera è quella.