Così nasce una superbanca
Corriere della Sera
Geronzi: “Prima creare fortezze in casa, poi l’estero”. Parla il direttore generale della holding, approvata ieri dall’Iri, che riunisce Cassa di Roma, S. Spirito e Bancaroma
Roma – Sono i banchieri che hanno parlato meno che realizzano di più. Nel giro di due anni, Pellegrino Capaldo e Cesare Geronzi hanno costruito la più grande banca italiana.
Partendo dalla “loro” Cassa di Risparmio di Roma, trampolino solido ma non certo scintillante, e riuscendo a farsi vendere dall’Iri (che proprio ieri ha dato il “via libera” definitivo alla creazione della super holding bancaria) il Banco di Santo Spirito prima e il Banco di Roma in un secondo momento. Questione di abilità tecnica? Di appoggi politici? O di tutti e due? Il Corriere lo ha chiesto al direttore generale della Cassa, Geronzi.
“L’operazione è tecnicamente apprezzabile ed è difficile smontare qualche che ha una tale validità. Si tratta di un intervento che integra le strutture di due realtà, una grossa banca regionale come quella che nasce dalla fusione della Cassa con il Santo Spirito e un istituto, il Banco di Roma, a grande caratterizzazione interna e internazionale. Sicchè si realizza quel concetto di banca che abbiamo sempre definito essere quella ideale, cioè fortemente radicata nella regione di origine e capace, proprio grazie a questo di espandersi facendo affidamento su questa base di partenza”.
Il presidente della Confindustria Sergio Pininfarina ha detto che questa operazione, come le altre di cui parla, risponde più a una logica politica che tecnica. Sbaglia?
“Certo. Pininfarina parla di un problema che non conosce”.
Perché il progetto è così valido? Cosa verrà fuori alla fine di questo processo di integrazione che è a metà del cammino?
“Da questa operazione nascerà, quando sarà terminata, nel 1992, una banca che avrà un forte radicamento regionale, che potrà vantare una espansione sul territorio nazionale tale da coprire non solo tutte le regioni e le province, ma un grande numero di comuni con i suoi mille sportelli, che potrà operare nel breve e nel medio e lungo termine. Sarà una banca che avrà la capacità di operare nell’intero settore finanziario in modo diffuso e coprendo tutti i settori e che potrà contare su una presenza adeguata, grazie soprattutto all’apporto del Banco di Roma, sulle piazze internazionali. Non ultimo, sarà una banche che potrà operare anche nel settore assicurativo. Sarà, insomma, una banca che avrà davvero realizzato quel gruppo polifunzionale di cui si parla tanto”.
Perché questa operazione è migliore di quella che avrebbe dovuto mettere insieme il Banco di Roma con l’Imi?
“Secondo le analisi fatte, per il Banco di Roma non esistono problemi di carattere finanziario, ma piuttosto di ristrutturazione. Ora, che in una fase di revisione del sistema bancario questa banca trovi la sua ristrutturazione in un complesso aziendale come quello che stiamo costruendo era un fatto quasi inevitabile”.
Insomma per dirla con Nobili, quella che è andata in porto era l’operazione migliore che si potesse fare….
“Oserei dire che è un’operazione che le cose imponevano. Se noi non l’avessimo pensata, avrebbero dovuto imporcela”.
Ma che rischi può presentare una banca così concentrata in un bacino operativo?
“Certo la concentrazione dei rischi può essere un problema, ma assai minore rispetto al passato perché il mercato del credito non è più locale”
Che altri problemi potranno esserci? Duplicazioni di uomini e di sportelli?
“Innanzitutto diciamo che con il Santo Spirito non ci sono stati problemi di esubero di personale, ma solo di un miglior utilizzo. Si temeva che ci fossero sovrapposizioni di sportelli e ne abbiamo riscontrati solo 18 casi. Per contro, gli effetti immediati delle sinergie hanno portato al fatto che tra il bilancio 1988 e quello ’90 il margine lordo subisce un incremento del 58%. Senza aumenti di capitale e con il solo trasferimento di una maggiore efficienza, siamo riusciti a ottenere questo risultato che definirei eccezionale”.
Quanto è costata alla Cassa l’intera operazione?
“La Cassa non ha sborsato solo gli 800 miliardi per acquistare il controllo di S. Spirito, ma ha messo sul tavolo la sua azienda. Non mi pare poco”.
Questa è la prima grande operazione che si sviluppa utilizzando la legge Amato. Ora siete pronti per la sfida del ’93?
“E’ l’unico strumento che si potesse immaginare per la ristrutturazione del sistema bancario. Si delinea un sistema con una capacità patrimoniale tale da potersi confrontare con la concorrenza, rafforzandosi sul terreno interno. Più e prima di andare all’estero dobbiamo insomma creare delle fortezze in casa”.
Questa legge sancisce di fatto anche il superamento delle categorie. Cose ne pensa?
“Già dall’83, quando è stato modificato lo statuto, abbiamo scelto il modello dell’impresa e dunque da tempo non facciamo parte di una categoria. Il che non è solo un fatto formale, ma anche di struttura che permette di ottenere risultati. Nel 1990 la Cassa ha registrato un utile lordo di oltre 600 miliardi e il Banco di Santo Spirito di 360 miliardi. Insieme, sfiorano i mille miliardi. Il tutto avendo dovuto tirar fuori gli 800 miliardi per acquistare il controllo del S. Spirito”.
Antonio Macaluso