La Banca di Roma cala il poker
Il Giornale
Il consiglio vara un aumento di capitale di 2.400-3.400 miliardi e convoca l’assemblea. Gros Pietro decide la vendita. Riequilibrio patrimoniale, uscita dell’Iri, privatizzazione, Azionariato stabile
MILANO – Cesare Geronzi ce l’ha fatta. La Banca di Roma si salva, esce dall’orbita pubblica, imbarca nuovi azionisti privati e si appresta ad affrontare il mare aperto della concorrenza con un piano industriale che – tra sviluppo di attività e servizi e recupero di efficienza tramite guerra a tutti i costi – si pone l’obiettivo di un fortissimo incremento di redditività: la scommessa è un Roe al 10% per il Duemila.
La quadratura del cerchio che suggella il colpo da maestro messo a punto dal presidente dell’istituto capitolino è fornita dall’aumento di capitale per almeno 2.400 miliardi, varato ieri dal consiglio di amministrazione della banca che, per deliberarlo, ha convocato l’assemblea straordinaria dei soci per il 27 ottobre. Il copione era stato largamente annunciato e anticipato dalla stampa. Si tratta di una ricapitalizzazione da mille miliardi nominali, con esclusione del diritto di opzione, da attuarsi mediante emissione di 2 miliardi di azioni a un prezzo compreso tra un minimo di 1.200 e un massimo di 1.700 lire per azione che nelle casse dell’istituto faranno affluire tra i 2.400 e i 3.400 miliardi. Un fiume di denaro che non è tutto. Il colpo da maestro di Geronzi sta nel fatto che, attraverso quella ricapitalizzazione, il presidente riesce a veicolare tutto. Le attese della Banca d’Italia per la definitiva sistemazione di un altro tassello del puzzle spesso problematico del sistema creditizio nazionale. La voglia dell’Iri e del suo residente Gian Maria Gros Pietro di monetizzare in modo acconcio le residue partecipazioni bancarie, ossia il 13,9% detenuto direttamente nella Banca di Roma e la partecipazione indiretta derivante dal 22,6% posseduto nella Cassa di Risparmio di Roma Holding. Quote di netta minoranza per le quali, in due anni, non si erano trovati compratori di sorta. Le sollecitazioni del governo per al privatizzazione di un sistema bancario cui l’Unione Europea rinfaccia di essere ancora largamente pubblico. La necessità di aprire al mercato con alleanze stabili, per evitare lo smacco di scalate ostili e sfruttare tutte le sinergie possibili in ambito operativo.
E così, ricolmo di benedizioni, Geronzi va ad articolare la sua brava operazione con collocamenti privati e offerte pubbliche. Saranno collocamenti provati quello rivolto ad azionisti stabili, quello diretto a investitori finanziari e quello destinato a investitori professionali italiani e istituzionali esteri. Ci sarà poi una offerta pubblica in Italia nel cui ambito saranno riservate tranches degli attuali soci della Banca di Roma – con esclusione di Iri, Ente cassa di Risparmio di Roma e Cassa di Risparmio Roma Holding – e ai dipendenti del gruppo. Insieme alla emissione – il cui prezzo definitivo verrà fissato sulla base del prezzo di Borsa nel periodo dell’offerta, con la possibilità di premi per i soci stabili e di sconti per le varie categorie di sottoscrittori – nel quadro dell’offerta globale verrà posto in vendita parte del pacchetto Iri, mentre la quota residua sarà posta al servizio di un prestito obbligazionario convertibile, classato presso i futuri soci stabili e presso investitori istituzionali.
Da qui il via libera alla ricapitalizzazione e alla derivante privatizzazione del gruppo bancario guidato da Geronzi, decisa ieri dal consiglio d’amministrazione dell’istituto di via Veneto che si appresta a raccogliere nuovi mezzi freschi per abbattere i debiti. L’uscita di scena dell’Iri e la diluizione della partecipazione dell’ente Cassa di Risparmio di Roma (che in proprio deterrà tra il 31 e il 33% del capitale) permettono a Geronzi di imbarcare nuovi compagni di viaggio capaci di garantire “stabilità di gestione e unitarietà di direzione” alla banca. “Conteranno davvero i nuovi soci” ha detto Geronzi in una recente intervista. Banca agricola mantovana, Toro assicurazioni e gli americani della Eds l’hanno preso in parola: pronti a mettere sul piatto 1.000-1.200 miliardi in cambio di sinergie operative e posti in consiglio. Puramente finanziario, invece, l’investimento di altri istituti di credito – come la Banca commerciale e il Credito italiano – e di alcuni investitori italiani ed esteri decisi a impegnarsi per complessivi 5-600 miliardi. L’offerta pubblica, infine, consentirà al gruppo bancario di moltiplicare il numero dei soci minori che oggi detengono l’11% del capitale.
Agli azionisti – chiamati in assemblea per deliberare, tra l’altro, alcune modifiche statutarie per rendere più flessibili gli organi sociali, a partire dal consiglio di amministrazione – Geronzi racconterà che i mezzi freschi rivenienti dalla ricapitalizzazione serviranno per finanziare il piano industriale 1997-2000, costruito con la collaborazione della McKinsey, che conta di andare al recupero di redditività già dall’anno prossimo (per cui si attende un Roe del 6%), attraverso l’aumento del margine di intermediazione, specie per effetto “del forte incremento dei ricavi da servizi, il miglioramento dell’efficienza complessiva e la cessione di attività non strategiche”. L’incremento dei ricavi dei servizi – dice il piano strategico – discende dallo sviluppo dei settori a più elevata potenzialità come il risparmio gestito, dove “si stima una forte crescita anche mediante conversione di una quota consistente della raccolta indiretta amministrata, che al 30 giugno era pari a oltre 83.000 miliardi”. Per il recupero di efficienza il piano punta, tra l’altro, sulla Macchina Operativa di Gruppo destinata ad aggregare alcuni servizi in comune tra Banca di Roma, Banca nazionale dell’agricoltura e altre controllate.
La quadratura del cerchio che suggella il colpo da maestro messo a punto dal presidente dell’istituto capitolino è fornita dall’aumento di capitale per almeno 2.400 miliardi, varato ieri dal consiglio di amministrazione della banca che, per deliberarlo, ha convocato l’assemblea straordinaria dei soci per il 27 ottobre. Il copione era stato largamente annunciato e anticipato dalla stampa. Si tratta di una ricapitalizzazione da mille miliardi nominali, con esclusione del diritto di opzione, da attuarsi mediante emissione di 2 miliardi di azioni a un prezzo compreso tra un minimo di 1.200 e un massimo di 1.700 lire per azione che nelle casse dell’istituto faranno affluire tra i 2.400 e i 3.400 miliardi. Un fiume di denaro che non è tutto. Il colpo da maestro di Geronzi sta nel fatto che, attraverso quella ricapitalizzazione, il presidente riesce a veicolare tutto. Le attese della Banca d’Italia per la definitiva sistemazione di un altro tassello del puzzle spesso problematico del sistema creditizio nazionale. La voglia dell’Iri e del suo residente Gian Maria Gros Pietro di monetizzare in modo acconcio le residue partecipazioni bancarie, ossia il 13,9% detenuto direttamente nella Banca di Roma e la partecipazione indiretta derivante dal 22,6% posseduto nella Cassa di Risparmio di Roma Holding. Quote di netta minoranza per le quali, in due anni, non si erano trovati compratori di sorta. Le sollecitazioni del governo per al privatizzazione di un sistema bancario cui l’Unione Europea rinfaccia di essere ancora largamente pubblico. La necessità di aprire al mercato con alleanze stabili, per evitare lo smacco di scalate ostili e sfruttare tutte le sinergie possibili in ambito operativo.
E così, ricolmo di benedizioni, Geronzi va ad articolare la sua brava operazione con collocamenti privati e offerte pubbliche. Saranno collocamenti provati quello rivolto ad azionisti stabili, quello diretto a investitori finanziari e quello destinato a investitori professionali italiani e istituzionali esteri. Ci sarà poi una offerta pubblica in Italia nel cui ambito saranno riservate tranches degli attuali soci della Banca di Roma – con esclusione di Iri, Ente cassa di Risparmio di Roma e Cassa di Risparmio Roma Holding – e ai dipendenti del gruppo. Insieme alla emissione – il cui prezzo definitivo verrà fissato sulla base del prezzo di Borsa nel periodo dell’offerta, con la possibilità di premi per i soci stabili e di sconti per le varie categorie di sottoscrittori – nel quadro dell’offerta globale verrà posto in vendita parte del pacchetto Iri, mentre la quota residua sarà posta al servizio di un prestito obbligazionario convertibile, classato presso i futuri soci stabili e presso investitori istituzionali.
Da qui il via libera alla ricapitalizzazione e alla derivante privatizzazione del gruppo bancario guidato da Geronzi, decisa ieri dal consiglio d’amministrazione dell’istituto di via Veneto che si appresta a raccogliere nuovi mezzi freschi per abbattere i debiti. L’uscita di scena dell’Iri e la diluizione della partecipazione dell’ente Cassa di Risparmio di Roma (che in proprio deterrà tra il 31 e il 33% del capitale) permettono a Geronzi di imbarcare nuovi compagni di viaggio capaci di garantire “stabilità di gestione e unitarietà di direzione” alla banca. “Conteranno davvero i nuovi soci” ha detto Geronzi in una recente intervista. Banca agricola mantovana, Toro assicurazioni e gli americani della Eds l’hanno preso in parola: pronti a mettere sul piatto 1.000-1.200 miliardi in cambio di sinergie operative e posti in consiglio. Puramente finanziario, invece, l’investimento di altri istituti di credito – come la Banca commerciale e il Credito italiano – e di alcuni investitori italiani ed esteri decisi a impegnarsi per complessivi 5-600 miliardi. L’offerta pubblica, infine, consentirà al gruppo bancario di moltiplicare il numero dei soci minori che oggi detengono l’11% del capitale.
Agli azionisti – chiamati in assemblea per deliberare, tra l’altro, alcune modifiche statutarie per rendere più flessibili gli organi sociali, a partire dal consiglio di amministrazione – Geronzi racconterà che i mezzi freschi rivenienti dalla ricapitalizzazione serviranno per finanziare il piano industriale 1997-2000, costruito con la collaborazione della McKinsey, che conta di andare al recupero di redditività già dall’anno prossimo (per cui si attende un Roe del 6%), attraverso l’aumento del margine di intermediazione, specie per effetto “del forte incremento dei ricavi da servizi, il miglioramento dell’efficienza complessiva e la cessione di attività non strategiche”. L’incremento dei ricavi dei servizi – dice il piano strategico – discende dallo sviluppo dei settori a più elevata potenzialità come il risparmio gestito, dove “si stima una forte crescita anche mediante conversione di una quota consistente della raccolta indiretta amministrata, che al 30 giugno era pari a oltre 83.000 miliardi”. Per il recupero di efficienza il piano punta, tra l’altro, sulla Macchina Operativa di Gruppo destinata ad aggregare alcuni servizi in comune tra Banca di Roma, Banca nazionale dell’agricoltura e altre controllate.