L’asso di Geronzi cambia i giochi
Milano Finanza
Con Bancaroma-Toro-Bam nasce la più grande rete distributiva italiana di prodotti bancari e assicurativi. Sparigliando i rapporti di forza in un settore già scosso dalla fusione Ambrocariplo, dal polo Mediocentrale-Bds e da Pop. Verona-Creberg
Più di mille miliardi di utile netto nel 2000. la privatizzazione accenderà il turbo alla redditività della Banca di Roma. L’arrivo della Toro assicurazioni, Banca agricola mantovana, Eds, di altri investitori combinato con la cura ricostituente in corso di attuazione, promette copiosi risultati. La privatizzazione del colosso Capitolino da quale uscirà quasi totalmente l’Iri, che sarà formalizzata giovedì 11 settembre dai cda dell’istituto capitolino e delle società coinvolte, è l’ultimo scossone al mondo bancario italiano che, negli ultimi giorni, ha anche messo il sigillo al salvataggio della Sicilcassa da parte del Banco di Sicilia sotto l’egida del Mediocredito centrale.
Se si tiene conto che altri colpi sono stati sparati negli ultimi mesi, come la tormentata privatizzazione del Sanpaolo, la nascita a fine luglio di Ambro-Cariplo e lo shopping della Popolare di Verona sul Credito bergamasco, si può concludere che è in atto una vera e propria rivoluzione bancaria e assicurativa.
Nelle prossime settimane, nuove onde d’urto muoveranno il sistema per le decisioni di Banca commerciale italiana e Credito italiano sui tetti azionari e per i possibili sviluppi di alleanze tra Comit, Generali e Mediobanca. Tutti questi fermenti sono ispirati dalla necessità di razionalizzazione dei costi (incidendo specie sul costo del personale), di diversificare l’offerta dei servizi per compensare la riduzione degli spread, rimpolpando così i bilanci asfittici. Dietro l’angolo c’è poi l’euro, un traguardo ravvicinato che costringerà le aziende attrezzarsi con forti investimenti anche se allo stato poche banche hanno cominciato a prepararsi.
La cura dimagrante su 4 mila dipendenti del gruppo, avviata la scorsa primavera, è stata propedeutica alla costruzione del progetto industriale e strategico per la privatizzazione della Banca di Roma da parte di Geronzi, d’intesa con il presidente dell’Ente Cassa Roma Emanuele Emmanuele, la fondazione azionista di riferimento dell’istituto. Banca di Roma è controllata, infatti, al 65,54% dalla Cassa di Roma holding, al 10,34% direttamente dall’Ente e al 13,89 dall’Iri. Cassa di Roma holding a sua volta è posseduta al 65% dall’Ente Cassa Roma e al 35% dall’Iri. L’apertura ai privati è stata concepita sul presupposto dell’uscita delle banche dall’orbita pubblica e dalla necessità dell’Iri di risanare i conti. Il piano messo in piedi da Geronzi, con l’ausilio della Schroeder, prevede un aumento di capitale da 3 mila miliardi, con rinuncia del diritto di opzione da parte dell’Ente e dell’Iri, l’emissione di un prestito obbligazionario Iri convertibile in azioni Banca di Roma per 1.400 miliardi e la vendita di altri 400 miliardi di azioni dirette e indirette vantate dalla holding di via Veneto nell’istituto di Geronzi. Mediobanca guiderà l’intera operazione, attesa per novembre e articolata in un private placamento di 2 mila miliardi riservato alla costituzione del nucleo stabile di azionisti che precederà l’aumento di capitale da mille miliardi aperto agli investitori istituzionali mediante offerta pubblica di vendita. Nell’opv rientrerà anche la tranche di 400 miliardi azioni Bancaroma possedute dall’Iri. L’istituto pubblico guidato da Gian Maria Gros Pietro ha in carico a 1.077 miliardi il 35% nella Cassa di Roma holding e a 602 miliardi il 13,89% nella banca.
L’occasione della privatizzazione
La capacità di Geronzi e l’expertise della Schroeder hanno permesso di cogliere l’occasione della privatizzazione per coinvolgere nuovi soci in una logica innovativa per il mercato finanziario italiano: dare al possibilità a medie e ricche banche italiane, radicate in provincia ma prive di collegamenti internazionali e bisognose di servizi sofisticati per competere in Europa, di partecipare al capitale di un colosso del credito. È il caso della Bam molto radicata in Padania che in due anni ha fatto shopping di tre piccole banche e di una sim. Il successo della banca sta nell’intraprendenza del direttore generale Mario Petroni, un manager approdato a Mantova dopo Bnl, Banco di S. Spirito e la stessa Banca di Roma, coadiuvato dal giovane condirettore generale Massimo Bianconi (che segue l’attività commerciale).
La Bam acquisterà fino a 9-10% di Banca di Roma investendo circa 560 miliardi nel collocamento privato e altri 200 miliardi nel prestito. La banca virgiliana avrà un peso nella stanza dei bottoni con la nomina di un vicepresidente quasi certamente indicherà il suo numero uno Piermaria Pacchioni), due consiglieri che potrebbero essere il signor Parmalat Calisto Tanzi e il signor Olivetti Roberto Colaninno (entrambi consiglieri Bam) e avrà voce in capitolo nella nomina del futuro direttore generale del colosso capitolino, avendo alcuni uomini di standing da utilizzare senza scoprirsi in casa.
Una quota del 6,5% pari a 510 miliardi saranno spesi dalla Toro assicurazioni che rafforzerà con banca Roma l’asse di Bancassurance di Romavita e avrà un posto nel cda. Altre quote di circa il 2% l’una saranno assunte da altre medie banche regionali, da qualche solido imprenditore desideroso di fare parte di uno dei maggiori poli industriali italiani e da qualche banca estera.
A nord si muovono gli imprenditori
Tra gli istituti italiani potrebbe riprendere la trattativa con la Popolare vicentina, avviata in giugno, ma sospesa per una riflessione interna impostata dal cda sull’opportunità dell’istituto di deviare dalla mission del localismo; potrebbero andare in porto i contatti con la Banca delle Marche, nata dalla fusione tra le casse di risparmio di Macerata, Pesaro e Jesi. Alcuni imprenditori italiani specie nel Nordest che hanno rapporti con il colosso capitolino stanno vagliando l’ingresso fra i soci stabili, ma non sarà tra loro Alberto Aleotti, leader del gruppo farmaceutico Menarini,c eh ah smentito indiscrezioni di stampa: l’industriale fiorentino, come già fece in occasione della privatizzazione dell’Ina, è disponibile a investire solo in cambio di un coinvolgimento diretto nei consigli. Un altro nome circolato tra i soci stabili è quello del banco central Hispano-americano, già partner di Bancaroma in Europartner, anche se la banca spagnola sarebbe stata consigliata dalla banca centrale iberica a rendere compatibile al sua espansione estera con i ratio patrimoniali. Quasi certo invece l’ingresso di Eds, il gruppo americano di servizi informatici formato da Ross Perot, che presterà il know how per realizzare al mog (macchina organizzativa di gruppo, in cui verranno accentrate tutte le attività di controllo dei costi).
Il nocciolo duro avrà fino a un massimo del 20% del capitale dell’istituto, quota che sarà sindacata con il 35% dell’ente post-ricapitalizzazione, a cui non prenderà parte. L’accordo sindacale sui 4 mila esuberi, il write-off dell’ordine di 2.400 miliardi tra rettifiche di valori di crediti e di immobilizzazioni finanziarie e i mezzi freschi per 3 mila miliardi riequilibreranno i conti di Banca Roma favorendo al ripresa della redditività. Le proiezioni di conto economico redatte dallo staff di Geronzi stimano che nel 2000 l’istituto realizzerà un netto utile superiore ai mille miliardi con un roe di oltre il 10%. A questi livelli l’azienda perverrà progressivamente: quest’anno il risultato finale dovrebbe essere di 20 miliardi, nel ’98 di 450-500 miliardi con un roe del 4,5%, nel ’99 di oltre 700 miliardi con un roe superiore al 7%. La combinazione di alleanze nella privatizzazione del colosso romano non è la sola novità del mondo bancario che è attraversato da forti ventate.
Imperatori di Sicilia
Contemporaneamente agli sforzi compiuti da Geronzi, il ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi e il governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio hanno confezionato un’altra grande operazione che ha evitato il default del credito siciliano: il salvataggio della Cassa di risparmio Vittorio Emanuele, meglio conosciuta come Sicilcassa, commissariata da 18 mesi, il termine massimo consentito dalla normativa. Da lunedì 8 settembre i 250 sportelli della Sicilcassa isseranno le insegne del Banco di Sicilia che en ha rilevato attività e passività. Il salvataggio della cassa è stato reso possibile attraverso un’iniezione di liquidità di mille miliardi approvata dall’assemblea del Mediocentrale di giovedì 4 settembre e lasciata aperta fino al giorno successivo. L’istituto di credito agevolato per le medie e piccole aziende presieduto da Gianfranco Imperatori acquisirà il 40% del Banco e sindacherà la sua quota con il 18,5% della fondazione e il 20% della regione. Resta fuori il 21% del tesoro che controlla al 100% il Mediocentrale e che presto dovrebbe conferire la sua partecipazione nel Bds in sede di aumento di capitale dello stesso Mediocredito. L’istituto per le piccole e medie imprese a sua volta lancerà inoltre un prestito subordinato che potrebbe diventare convertibile di 500 miliardi a favore dell’istituto centrale delle banche popolari e di alcune popolari italiane. Con la conversione del prestito, sarà avviata la privatizzazione del Mediocentrale che nell’operazione siciliana vorrebbe coinvolgere la Winterthur come partner assicurativo.
Ma dopo il polo romano e quello siculo, quali sono le reali forze in campo? Bancaroma-Bam-Toro possono vantare la rete distributiva più numerosa e capillare del paese. I concorrenti per mezzi amministrativi e per dimensioni sono Ambrocariplo e il grande Sanpaolo. L’integrazione tra la più grande cassa del mondo e la maggiore delle autentiche banche private italiane è stato un progetto realizzato per privatizzare la Ca’ de strass, che da quattro anni inseguiva questo traguardo e dal vita a un polo bancario di dimensioni ragguardevoli. L’integrazione dovrà essere consumata tra fine novembre e i primi di dicembre quando l’Ambroveneto, con la liquidità dei 6.413 miliardi di aumento di capitale complessivo, acquisirà il 100% della Cariplo spa dalla fondazione. In gennaio o febbraio, il Bav potrà scorporare l’attività bancaria in una nuova spa e assumere le vesti di holding che a quel punto deterrà tutte le azioni di Ambroveneto banca e di Cariplo spa. Il nuovo raggruppamento da 252 mila miliardi si attivo avrà al forza per competere alla pari con gli altri gruppi esistenti e con gli altri che potrebbero formarsi.
Il leader per mezzi amministrati e per raccolta resta il Sanpaolo, freso reduce dalla privatizzazione. Il magro risultato (vedere MF del 2 settembre) della semestrale che mostrerà un utile in flessione sul budget, potrebbe dare fiato ai nuovi soci provati che spingono per un rafforzamento del top management. E l’alleanza con la Reale mutua è ancora lontana dal portare dei risultati concreti, almeno paragonati a Romavita o ad Assiba.
Un gradino più sotto è la ricca Comit, che nelle prossime settimane dovrà definire i suoi assetti futuri. L’elevazione dal 3% al 10% del tetto massimo detenibile da un singolo socio, fermamente voluta soprattutto da Paribas, potrebbe dare una svolta ai rumor che coinvolgono le Generali, altro socio importante di piazza Scala e Mediobanca. Anche l’altra ex bin milanese, il Credito italiano, è alle prese col tappo del 3% ma per alzarlo quasi certamente al 5%. Qualche lampo rischiara il cielo della Banca Montepaschi, dove tra fondazione e spa è in gestazione il confronto sulla privatizzazione, mentre il direttore generale Divo Gronchi ha prenotato lo 0,5% di Telecom e ha in serbo qualche chiarimento di fondo in campo assicurativo dove è alleato con al Sai, sapendo veh al Fondiaria è geograficamente vicina.
Infine, da non trascurare il colpo dello scorso luglio operato dalla ricca Popolare di Verona, che investirà fino a 2.185 miliardi per acquistare il Creberg e consolidare le sue posizioni a Nordest in un vibrante testa a testa con l’altra banca scaligera, Cariverona, leader di Unicredito, la holding che unisce anche Crt, Cassamarca e Cassa Trieste.