Cuccia ci riprova con la Comit

La Repubblica

Dei vecchi amori, c'è di bello che non si scordan mai. E parlando d'amori, finanziari s'intende, ce n'è uno cui Enrico Cuccia è particolarmente fedele: la privatizzazione della Comit

MILANO - Dei vecchi amori, c'è di bello che non si scordan mai. E parlando d'amori, finanziari s'intende, ce n'è uno cui Enrico Cuccia è particolarmente fedele: la privatizzazione della Comit. L' idea gli sta a cuore da anni, per irrobustire la cosiddetta "galassia del Nord" (le Generali, le grandi famiglie della finanza privata, un paio di istituzioni estere) ma fors'anche un po' per motivi sentimentali: alla Comit aveva cominciato a lavorare nel '38, alcuni anni prima che Raffaele Mattioli concepisse l'idea di far nascere Mediobanca e decidesse di affidarne la responsabilità a quel giovanotto, Cuccia appunto, giudicato così: "troppo intelligente per star qui da noi: meglio dargli una banca tutta sua". Soprattutto nel corso degli ultimi quattro anni, per la Comit Cuccia ha sfornato un progetto dopo l'altro: l'intesa con Ambroveneto e Generali, poi un aumento di capitale da 4 mila miliardi da fare sottoscrivere alle solite Generali e ad un gruppo di azionisti privati di rango, a cominciare dalla Fiat, poi ancora una nuova cordata preparata giusto pochi mesi fa, nella calma dei primi giorni d'estate. Nell'agosto scorso, la Borsa aveva creduto davvero che l'operazione Comit fosse oramai pronta, scommettendo pesantemente sul titolo e spingendo la Consob a pretendere da Mediobanca stessa la prima smentita ufficiale della sua storia. Poi è arrivato l'autunno, con la scelta del governo di procedere rapidamente sulla strada delle privatizzazioni. E le banche sono tornate d'attualità. Solo che il primo passo è stato fatto per il Credito Italiano e non per la Comit. Ma proprio in queste settimane sarebbero maturando importanti novità. Nulla di definito e ufficiale, naturalmente. Ma le voci che circolano negli ambienti bancari milanesi descrivono uno scenario che si può raccontare così. Si parte innanzitutto dalle difficoltà che sarebbero state incontrate per la privatizzazione del Credit: 6 mila miliardi per quella banca sono un po' troppi, avrebbero detto un paio di grandi istituti esteri, a cominciare dalla Deutsche Bank. E tra gli stessi gruppi privati italiani pochi sono disponibile a sganciare soldi per una banca pur bella, sì, ma priva di quell'appeal che ha invece la Comit. Un' idea fantasiosa Che fare, dunque? In ambienti dell'Iri e del Tesoro prende corpo un'idea fantasiosa: far comprare la quota Credit dell'Iri dalla Cariplo, che ha in cassa oltre 3 mila miliardi, che vorrebbe impiegare, com'è noto, per comprare l'Imi ma che, se quell'operazione fallisse, potrebbe pur spendere per il Credit (anche se 3 mila miliardi, dovendo fare probabilmente un'Opa, non basterebbero certo). Solo che vendere il Credit alla Cariplo significa fare una privatizzazione per modo di dire. Certo, non una di quelle privatizzazioni che il governo ha promesso e che dovrà varare comunque con urgenza, per non deludere le aspettative dei mercati esteri e non mettere in discussione la già precaria credibilità italiana. Cuccia avrebbe così rispolverato la vecchia idea di una vera privatizzazione, quella della Comit. Come? Mettendo insieme una cordata di azionisti privati pronti a comprare, con un meccanismo finanziario accettabile (con tanto di eventuale Opa). E poi andando dal presidente del Consiglio Amato con una proposta "chiavi in mano": ecco qui come privatizzare la Comit e incassare più di 5 mila miliardi, prendere o lasciare. Dal punto di vista del "metodo", c' è un esempio su cui gli uomini di via Filodrammatici hanno riflettuto a lungo: la nascita della Banca di Roma. Era un'operazione di fusione complessa, quella: coinvolgeva il Banco di Roma, la Cassa di Risparmio romana e il Banco di Santo Spirito. Ma si risolse in poche mesi. Perchè appunto due abili banchieri come Cesare Geronzi e Pellegrino Capaldo misero a punto un buon progetto in tutti i dettagli, interpretarono acutamente interessi politici e finanziari e si fecero forti dell' ppoggio del presidente del Consiglio del tempo, Giulio Andreotti, cui peraltro Capaldo e Geronzi sono legatissimi. Il rapporto tra il governo Amato-Barucci e il presidente di Mediobanca Cuccia, naturalmente, non è così stretto e amichevole come quello tra Andreotti e i banchieri romani. Ma Cuccia spera comunque di poter contare non solo sulla stima di Amato, ma anche su un suo calcolo di opportunità politica: il governo ha bisogno di Mediobanca per spingere il piano delle privatizzazioni nel suo complesso e a Mediobanca sa di dover pagare un prezzo. La Comit, appunto. Una cordata di azionisti Chi comprerebbe dunque la banca milanese? L'elenco è quello di sempre. Le Generali, per esempio. Alcuni grandi gruppi italiani (a cominciare dalla Gemina-Fiat, che potrebbe avere risorse da investire, come quei 400 miliardi circa che potrebbe incassare dalla vendita della sua quota dell'Ambroveneto). Alcune banche estere, a cominciare dalla Deutsche Bank (che potrebbe pur dedicare alla Comit l'attenzione negata al Credit) o dalla Berliner Handelsbank. Alcune autorevoli istituzioni finanziarie come la Lazard, da sempre legatissima a Mediobanca. Una cordata di azionisti, insomma, anche per venire incontro al desiderio della Banca d' Italia di non avere una presenza predominante nella compagine azionaria dei grandi istituti di credito. E quanto costerebbe la Comit? Difficile fare un calcolo esatto. Uno studio recente della Banca Internazionale Lombarda, usando il criterio del patrimonio netto rettificato e del valore della raccolta, parla di oltre 11 mila miliardi per la Comit e di poco più di 9 mila miliardi per il Credit, stimando dunque un' azione Comit 10.731 lire (più del doppio dell'attuale quotazione di borsa: 4.556 ieri). Per la Comit, comunque, un progetto sembra oramai tramontato: quello di una sua unione con la Bnl, "sponsorizzata" da uomini del Psi. Semmai, tra i banchieri lombardi, c'è chi mette nel novero delle possibilità anche un "polo bancario milanese", da contrapporre al "polo romano" (la Banca di Roma) e al "polo torinese" (Istituto San Paolo-Crediop) e che potrebbe fondarsi su un matrimonio Comit-Cariplo: un'idea già avanzata, tempo fa, da Carlo Bombieri, ex amministratore delegato della Comit e oggi discussa in alcuni ambienti bancari cattolici. Ma se ci si mette a tracciare possibili nuove mappe del potere bancario negli anni ' 90, di alleanze e fusioni se ne possono immaginare moltissime. Come Imi-Bnl, per esempio, se non andasse in porto un'operazione opportuna e realistica come Imi-Cariplo. O Cariplo-Credit di cui abbiamo detto (una sorta di "polo milanese"). O ancora Credit-Ambroveneto-Bna. Quest'ultima, a quel che dicono indiscrezioni di buona fonte, sarebbe addirittura qualcosa di più d'un vago progetto. Il Credit, infatti, di Bna è azionista. E l'Ambroveneto è molto interessato ad Interbanca (l'istituto di medio termine della Bna), fors'anche disponibile a diventarne azionista rilevando parte del pacco detenuto dal finanziere Francesco Micheli. E nulla esclude che nel giro di poco tempo, proprio attorno all'Ambroveneto, che partecipi alla privatizzazione del Credit e stringa i suoi rapporti con la Bna, possa crescere un nuovo grande popolo privato.