Le confessioni di Cesare Geronzi
Il Sole 24 Ore
Il banchiere confida a Mucchetti intrecci e retroscena mai svelati
Le dimissioni di Maranghi
Il 7 aprile 2003, Francesco Cingano e Vincenzo Maranghi rassegnano le dimissioni da presidente e amministratore delegato al patto di sindacato di Mediobanca, presieduto da Piergaetano Marchetti... Un momento. Non fu al patto che vennero consegnate le lettere di dimissioni. C'è un antefatto.
Quale?
Questo. Prima che iniziasse la riunione del sindacato, mentre eravamo in attesa di entrare nella sala del consiglio di Mediobanca, Maranghi invitò me e Bolloré nel suo ufficio. Quando fummo soli, mi porse due buste bianche. "Io le dimissioni le do solo a un altro banchiere," disse consegnandomi la sua lettera e quella di Cingano, sotto lo sguardo muto di Vincent. Fui io a darne notizia al patto.
Come mai Maranghi volle Bolloré a testimone del gesto fatale?
Perché con Bolloré aveva trattato le condizioni ultime della sua uscita.
E lei, a sua volta, aveva fatto un accordo strategico con i francesi.
Bolloré e io avevamo raggiunto un accordo di fondo su come rappresentare il gruppo degli investitori francesi e non, di cui lui era il punto di riferimento, nel patto di sindacato di Mediobanca. La Finanziaria Perguet di Bolloré, il gruppo aeronautico Dassault, la compagnia di assicurazioni Groupama e poi lo spagnolo Banco Santander, il portoghese Espiritu Santo e un malese vennero ricompresi in un nuovo gruppo di azionisti, il gruppo C. Che si sarebbe affiancato nel patto al gruppo A, costituito dalle banche italiane, e al gruppo B, costituito dai soci industriali. Nel quadro generale del patto di sindacato, erano stati concordati dei patti secondari per regolare i rapporti all'interno di ciascuno dei tre gruppi, in particolare per assicurare la prelazione all'interno di ciascun gruppo nel caso un socio bancario, industriale o francese volesse cedere il proprio pacchetto. Ecco, mi attribuisco la paternità dell'invenzione del gruppo C.
Quando e in quale modo nasce l'intesa con Bolloré?
Come lei stesso ha raccontato, poco dopo la morte di Cuccia, era l'agosto del 2000, Maranghi e Bernheim avevano fatto pace a Crans. Ebbene, non so come e non so quando, ma dopo quella svolta i francesi, di cui abbiamo già parlato nel capitolo precedente, cominciarono a comprare azioni Mediobanca.
Fu una loro iniziativa o si mossero su suggerimento di qualcuno?
Bolloré mi spiegò che era stato Maranghi a invitarli.
Maranghi cercava una sponda per neutralizzare Capitalia e UniCredit che cominciavano a contestarlo?
Lo si evince dalla sua intervista a Cossiga, quando il presidente emerito esalta il ruolo dei francesi nel far cadere la candidatura di Mario Draghi alla presidenza di Mediobanca in vista dell'assemblea del 28 ottobre 2002. La verità è che io, Bolloré, lo incontro per la prima volta nel marzo 2003. Mai visto prima. Me lo mandava Silvio Berlusconi, al quale l'aveva presentato Tarak Ben Ammar. Il premier aveva una consuetudine di lunga data con Tarak, che è un valente produttore di opere cinematografiche e televisive. Tunisino d'origine, francese d'adozione, e italiano per simpatia, potremmo dire, Tarak è uomo brillante e, al tempo stesso, affidabile. "Vedi un po', Cesare, se puoi ricevere questi miei amici francesi," mi disse Silvio.
Bolloré si era fatto una certa fama come raider in terra di Francia.
Vincent aveva concluso alcune fortunate operazioni, la più nota delle quali era stata l'improvvisa scalata alla Rue Imperiale, società del gruppo Lazard, dalla quale si era poi ritirato con un bel gruzzolo rivendendo alla stessa Lazard. Ma la famiglia Bolloré ha quasi due secoli di storia industriale alle spalle, in patria e nelle colonie africane. Pensare a Bolloré come a un raider, a un banale predatore di Borsa, è davvero superficiale. Lui voleva investire in Italia e aveva accettato le profferte di Maranghi.
Ed era andato a farsi benedire dal presidente del Consiglio.
E lo trova tanto strano? Non si entra in casa d'altri senza presentare le proprie credenziali. Provi lei a investire in Francia senza chiedere permesso, e poi mi racconterà. D'altra parte, introdotto da Sarkozy, Bolloré era andato a trovare anche Massimo D'Alema, ex premier e allora leader dell'opposizione, avendo anche da lui quella che lei chiama la benedizione. La verità non è poi così difficile da capire: i francesi erano preoccupati dall'iniziativa delle banche sulle Generali. Se Mediobanca avesse perso il suo primato a Trieste, il valore della medesima Mediobanca sarebbe caduto e il loro investimento ne avrebbe risentito. Al dunque, fu Bolloré a riferirmi le condizioni poste da Maranghi: la conferma di Bernheim e di Perissinotto alla guida delle Generali; la cessione dei pacchetti azionari della compagnia appena acquisiti dalle banche; la salvaguardia dell'indipendenza di Mediobanca attraverso la conferma della sua alta direzione, e cioè di Renato Pagliaro e Alberto Nagel. Tutte condizioni che, nel tempo, sono state soddisfatte.
In verità, i pacchetti Generali ve li teneste a lungo.
Non avevamo preso impegni da onorare a una scadenza prefissata e certo non si poteva pretendere che vendessimo in perdita. Ma vendemmo, e con profitto.
Maranghi voleva che Pagliaro e Nagel fossero promossi entrambi direttori generali. Questa sua richiesta, lui scrisse, venne registrata in un addendum al verbale del patto, aggiunto seduta stante nell'incontro che lo stesso Maranghi ebbe con lei, Bolloré, Tarak e Marco Tronchetti Provera dopo quella riunione del sindacato.
Non ho il ricordo di nessun addendum. Aggiungo che non sarebbe stato nemmeno possibile, perché la Banca d'Italia ha bisogno comunque di un referente unico ai fini della Vigilanza. In quelle ore, chi tenne i rapporti con la Banca d'Italia per assicurare la regolarità delle procedure e delle decisioni fu lo stesso presidente del patto, Piergaetano Marchetti. Insomma, per andare al nocciolo, puoi pure fare due direttori generali, ma alla fine uno deve essere un po' più generale dell'altro. La doppia direzione generale nasceva dal sentimento paterno che il banchiere anziano nutriva verso i suoi giovani collaboratori. È un sentimento che si può comprendere e rispettare, ma che non poteva costituire un vincolo o, peggio, una ragione di contrasto con la Vigilanza.
La quarta condizione di Vincenzo
In verità, c'era una quarta, ben più importante, condizione che Maranghi aveva posto per uscire in punta di piedi, come diceva lui: la soluzione radicale del conflitto d'interessi tra Mediobanca e le due banche socie. Era stata ribadita dallo stesso Maranghi il 10 marzo 2003 nel corso di un incontro, che si svolse a Milano, con il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, presenti anche il direttore generale del ministero, Domenico Siniscalco, e l'amministratore delegato di UniCredit, Alessandro Profumo. Questo sì che è un punto importante. Vede, oggi, con il senno di poi, potrei perfino ammettere che Vincenzo Maranghi avesse ragione. Ma mi chiedo anche - e forse, se fosse ancora tra noi, se lo chiederebbe anche lui - come Mediobanca sarebbe stata in grado di sopravvivere senza avere alle spalle UniCredit e Capitalia. Temo sarebbe già stata preda di qualcuno voglioso di assumere il controllo delle Generali, facendo leva proprio sulla partecipazione che vi ha Mediobanca. E poi quale sarebbe il potere di mercato di una Mediobanca senza più banche amiche alle spalle? Sono domande che oggi valgono anche per il futuro: se UniCredit uscisse da Mediobanca, che cosa resterebbe? Ma tornando al 2003, quella richiesta di Maranghi mi pare confermi l'intenzione dell'uomo di far uscire le due banche dal patto di sindacato. Ricorda la mia testimonianza? Giorgio La Malfa nega che quella fosse la reale intenzione di Maranghi e invece eccola qui, tra le richieste sue.
Ma allora non gli avete dato retta.
Capitalia e UniCredit rappresentavano un elemento di equilibrio in una Mediobanca che mi illudevo potesse ancora giocare un ruolo degno del suo grande passato.
C'è un passaggio, nella storia della defenestrazione del delfino di Cuccia, che dà proprio l'idea di come quello fosse un duello all'ultimo sangue.
All'ultimo sangue? Che paroloni a effetto! Insomma... Lei ricorderà che Vincenzo Maranghi aveva già offerto le dimissioni sue e di Cingano il 25 gennaio 2003, e cioè ben 42 giorni prima del fatto. Perché non le accoglieste subito? Volevate prima sconfiggerlo in campo aperto? Mi faccia fare mente locale.
Perché Generali
Andò così. Accompagnato da Pagliaro e Nagel in veste di testimoni a futura memoria, Maranghi rese visita all'ingegner Paolo Biasi, presidente della Fondazione Cariverona. L'incontro avvenne appunto il 25 gennaio nella città scaligera. A Biasi il banchiere comunicò che lui e Cingano si sarebbero dimessi perché i rapporti con le banche azioniste, UniCredit e Capitalia, si erano a tal punto deteriorati da danneggiare l'attività di Mediobanca. Ricordiamoci che il 20 gennaio Maranghi era stato messo in minoranza sull'affare Fondiaria, e prim'ancora c'erano state la Montedison e la Fiat. Il delfino di Cuccia era dunque pronto a uscire di scena in punta di piedi, purché il patto di sindacato di Mediobanca si impegnasse a rispettare le condizioni di cui abbiamo già detto: salvaguardia dell'alta direzione, continuità del vertice delle Generali, l'uscita delle banche socie da Mediobanca. In quell'incontro, Maranghi non poteva pretendere la pronta cessione dei pacchetti di azioni Generali, perché ancora non era a conoscenza del rastrellamento che era appena iniziato o stava per iniziare. Ora le chiedo per quale ragione non accettaste quella resa condizionata. Intanto, trovo irrituale rivolgersi a Biasi.
La Fondazione Cariverona era il primo azionista di UniCredit.
Che non era nemmeno il primo azionista di Mediobanca, perché il primo era Capitalia. Ma non è questo il punto. Mediobanca aveva un patto di sindacato con un presidente al quale rivolgersi.
E infatti Maranghi, pochi giorni dopo, fa lo stesso discorso al professor Marchetti, presidente del patto, e ai due principali soci privati. Nella lettera al Governatore Fazio e inviata per conoscenza anche al presidente della Camera, che abbiamo già citato, Maranghi scrive che Biasi gli diede conferma di aver prontamente informato lo stesso Governatore. E Biasi non smentì mai quel testo, pubblicato dalla "Voce Repubblicana".
Non posso commentare rapporti tra persone nei quali non ho avuto parte. E i contenuti di quella lettera, che lei cita spesso, furono contestati dalla Banca d'Italia. Andrei alla sostanza: Maranghi avrebbe potuto chiedere a Profumo e a me di far uscire UniCredit e Capitalia da Mediobanca, ma non l'ha fatto perché non ne aveva né il diritto né la forza. L'acquisizione dei pacchetti Generali chiarì quel che andava chiarito e rese possibile l'accordo conclusivo che lo stesso Maranghi negoziò con Bolloré e Tarak e che non comprendeva più la fuoriuscita delle banche, ma una misura assai più blanda: la discesa di entrambe al 6%...
Che non avete poi eseguito.
Massimo Mucchetti