"Accuse ingiuste, i banchieri non fanno i poliziotti"

Corriere della Sera

Parla Amodio, legale dell'ex presidente della Banca di Roma


ROMA - «Nella requisitoria dei pubblici ministeri ci sono evidenti forzature. E contraddittoria. E non è possibile che tra gli imputati –  quasi tutti incensurati –  non ce ne sia nemmeno uno che meriti la concessione delle attenuanti generiche». Il professor Ennio Amodio, difensore insieme con la collega Paola Severino delpresidente delle Generali, Cesare Geronzi, non risparmia critiche all'atteggiamento processuale dell'accusa Non condivide né la richiesta di condanna a otto anni di carcere del banchiere, né tantomeno l'entità della pena «Il discorso dei pm è generico e immotivato», sostiene. E non si lascia pregare più di tanto –  anche se sottolinea il fatto di «non essere abituato a parlare così a lungo» –  nell'elencare, uno dopo l'altro, i motivi per i quali a suo parere tutti i manager (primo fra tutti Geronzi) dell'allora Banca di Roma non hanno alcuna responsabilità per quello che è accaduto al gruppo agroalimentare e, quindi, secondo lui, debbono essere assolti.
Entra nel merito del processo, il professor Amodio. E sostiene: «Questa requisitoria presenta un grave deficit di ragionevolezza: ci troviamo di fronte a una mancanza di proporzionalità tra i toni attenuati e sottovoce, utilizzati nella discussione orale, e la violenta esplosione aritmetica che ha contraddistinto le quantificazioni. Ci sono pene severe per tutti». Per un crac miliardario le previsioni erano di una requisitoria-stangata per gli imputati. E così è stato. Ma il difensore del banchiere contesta questa durezza: «È una giustizia che non sa distinguere, che ha gli occhi bendati. C'è stata una rigidità inconcepibile».
Il dibattimento va avanti da tre anni. Tre anni di eccezioni respinte, di consulenze, di interrogatori degli imputati, di testimonianze. «Sì, ma questa requisitoria non ha tenuto conto di nulla. Eppure durante le udienze sono emersi chiaramente dei distinguo tra la posizione dei banchieri e quella degli altri imputati: abbiamo fornito le prove attraverso il deposito dei documenti, delle consulenze tecniche e con le deposizioni dei testi dell'innocenza dei manager dell'istituto di credito. Nessuno poteva sapere – né tantomeno percepire – cosa stava per accadere all'interno di quel grande gruppo industriale», osserva l'avvocato. «Per ammissione degli stessi pubblici ministeri, che l'hanno sottolineato pubblicamente, era così complesso che ha reso difficile anche per loro capire».
Per la Procura non è però così. E Amodio avverte, intravvede un rischio per gli equilibri economici. «Il criterio del "senno di poi" è generalmente respinto. Questa è la prima requisitoria – e potrebbe anche essere la prima sentenza –  in cui passa il principio della responsabilità delle banche davanti a un grande dissesto di un'impresa. Potremmo trovarci di fronte alla figura del "banchiere timoroso" o dal "braccino corto": se dovesse avere il semplice sospetto sulla solidità di un'azienda, dovrebbe trasformarsi in un poliziotto per verificare quale sia la situazione. Ma se lo immagina cosa accadrebbe, quanto potrebbero essere ristretti i rubinetti del credito?». L'accusa sostiene che i manager bancari siano stati quantomeno distratti – se non addirittura inermi – di fronte a segnali che avrebbero dovuto far comprendere la gravità della situazione del gruppo Cirio. Il penalista non è dello stesso parere. E, a proposito di Geronzi, dice: «Per lui affiora dalle parole dei pm la tesi del "non poteva non sapere", Non basta. Bisogna avere le prove per chiedere una condanna».
F. Hav.