Milano, eterna terra di conquista
Liberal
Ancora una volta si ripete una tradizione antica che porta i milanesi ad adottare molti suoi “immigrati”. L’ultimo caso è quello di Geronzi, che ha “stregato” la grande finanza meneghina.
Nell’assetto, spesso discreto, del potere finanziario è emerso di recente come il crocevia determinante degli intrecci azionari e dell’influenza economica delle classi dirigenti sia diventato l’attuale presidente di Mediobanca Cesare Geronzi. E qualcuno ha voluto vedere una vera e propria nemesi storica. In pochi anni quel banchiere squisitamente romano che era descritto in contrapposizione, se non in alternativa, della Galassia del Nord non solo si è insediato alla guida della banca d’affari da dove per mezzo secolo aveva esercitato il suo riservato eppure spietato potere il mitico Enrico Cuccia, ma appare ormai il vero regista del capitalismo finanziario del Paese: e il preannunciato approdo alla testa delle Assicurazioni Generali, la vera cassaforte del sistema, ne costituirebbe ormai il riconosciuto sigillo.
Sia pure sottotraccia, non è tuttavia nascosto 1’intimo compiacimento per quella che appare una “rivincita” della Capitale nella guerra del potere e nell’eterno dualismo con Milano. La romanità del banchiere non è mai stata rinnegata: e la conquista progressiva del “sancta sanctorum” che era sembrato per decenni escluso e precluso al peso delle scelte rornane (anche quando le banche erano in gran parte pubbliche e influenzate bene o male dai vertici politici) acquista significati anche psicologici del tutto particolari. Ma forse si coglie più a Roma che a Milano. Perché nella metropoli ambrosiana esiste un’assuefazione più antica di quanto non si pensi a lasciarsi vivere e considerare come terra di conquista”. In fondo lo stesso Cuccia, nel diventare "primo motore immobile” della struttura finanziaria italiana, non era certo né milanese né tutt’al più lombardo: veniva infatti da più lontano, dalla Sicilia. Eppure del capitalismo meneghino e dell'intera area delle grandi aziende è stato per mezzo secolo il “dominus” incontrastato. Semmai Milano ha la seducente e misteriosa capacità di “adottare”e “riempire di sé” chi viene da fuori e per i suoi meriti di trovare fortuna. Così da trasformare tutto sommato in milanesi quasi purosangue tanti “immigrati” che a Milano hanno avuto l’opportunità, pur in feroce competizione, di giungere al vertice indiscusso della loro professione: e forse basta citare al riguardo l’esempio nel giornalismo di Indro Monranelli, altro “immigrato” di lusso.
Piuttosto l’emergere degli “immigrati” ha un senso, e acquista rilevanza, peso e fortuna, laddove riguarda ambiti della vita associata sul terreno immateriale dell’ingegno e dei numeretti della finanza più che nella corposa e concretissima area della produzione fisica e immediatamente percepibile del lavoro. Se infatti il “genio” della creatività è affidato alle cose tangibili, in questo campo i lombardi da sempre sono imbattibili. Se invece tocca ambiti più sofisticati e non immediatamente “toccabili”, ecco che rifulge, quasi per naturale vocazione, la sensibiIità e l’immaginazione degli “altri”. E vale soprattutto per le professioni che vivono di procedure e di prova delle dimensioni intellettuali, di cui persino la finanza non è certamente immune. Non e un caso, infatti, che tra gli studenti che frequentano l’università milanese “Bocconi”, sia di gran lunga prevalente la componente che proviene da Roma e dal Sud d’Italia. Come se le giovani intelligenze piu inquiete e più determinate del Paese cerchino proprio a Milano la formazione e l’ingresso nella vita produttiva, a condizione che sia di fatto immateriale, e non comporti di fatto la creatività imprenditoriale concreta e pratica. Non è altresì un caso che un qualche mugugno provenga da quella parte che, invece, storicamente legata alla “roba”, all’invenzione di “cose” da produrre e da vendere sui mercati internazicrnali, sente come intromissione illegittima l’emergere di figure non legate alla legittimità locale dell’intrapresa: e forse il successo della Lega Nord non è estraneo a questa logica.
Al banchiere Geronzi, comunque “inquinato” dalla milanesità, accadrà poco: anche perché, suo malgrado, è comunque protagonista di un inatteso gioco delle parti. Infatti se Roma conquista terre incognite e pianeti un tempo maccessibili, Milano ha da tempo conquistato Roma e sul terreno ostico e maccessibile della politica. Il fenomeno Berlusconi, al di là di tutti i giudizi e con il conforto del consenso popolare, ha tentato di trapiantare Milano e la “cultura del fare” su Roma. I dubbi sono legittimi: a cominciare dal tempo. Durerà di più (e inciderà di più) Geronzi a Milano?
di Giuseppe Baiocchi
Sia pure sottotraccia, non è tuttavia nascosto 1’intimo compiacimento per quella che appare una “rivincita” della Capitale nella guerra del potere e nell’eterno dualismo con Milano. La romanità del banchiere non è mai stata rinnegata: e la conquista progressiva del “sancta sanctorum” che era sembrato per decenni escluso e precluso al peso delle scelte rornane (anche quando le banche erano in gran parte pubbliche e influenzate bene o male dai vertici politici) acquista significati anche psicologici del tutto particolari. Ma forse si coglie più a Roma che a Milano. Perché nella metropoli ambrosiana esiste un’assuefazione più antica di quanto non si pensi a lasciarsi vivere e considerare come terra di conquista”. In fondo lo stesso Cuccia, nel diventare "primo motore immobile” della struttura finanziaria italiana, non era certo né milanese né tutt’al più lombardo: veniva infatti da più lontano, dalla Sicilia. Eppure del capitalismo meneghino e dell'intera area delle grandi aziende è stato per mezzo secolo il “dominus” incontrastato. Semmai Milano ha la seducente e misteriosa capacità di “adottare”e “riempire di sé” chi viene da fuori e per i suoi meriti di trovare fortuna. Così da trasformare tutto sommato in milanesi quasi purosangue tanti “immigrati” che a Milano hanno avuto l’opportunità, pur in feroce competizione, di giungere al vertice indiscusso della loro professione: e forse basta citare al riguardo l’esempio nel giornalismo di Indro Monranelli, altro “immigrato” di lusso.
Piuttosto l’emergere degli “immigrati” ha un senso, e acquista rilevanza, peso e fortuna, laddove riguarda ambiti della vita associata sul terreno immateriale dell’ingegno e dei numeretti della finanza più che nella corposa e concretissima area della produzione fisica e immediatamente percepibile del lavoro. Se infatti il “genio” della creatività è affidato alle cose tangibili, in questo campo i lombardi da sempre sono imbattibili. Se invece tocca ambiti più sofisticati e non immediatamente “toccabili”, ecco che rifulge, quasi per naturale vocazione, la sensibiIità e l’immaginazione degli “altri”. E vale soprattutto per le professioni che vivono di procedure e di prova delle dimensioni intellettuali, di cui persino la finanza non è certamente immune. Non e un caso, infatti, che tra gli studenti che frequentano l’università milanese “Bocconi”, sia di gran lunga prevalente la componente che proviene da Roma e dal Sud d’Italia. Come se le giovani intelligenze piu inquiete e più determinate del Paese cerchino proprio a Milano la formazione e l’ingresso nella vita produttiva, a condizione che sia di fatto immateriale, e non comporti di fatto la creatività imprenditoriale concreta e pratica. Non è altresì un caso che un qualche mugugno provenga da quella parte che, invece, storicamente legata alla “roba”, all’invenzione di “cose” da produrre e da vendere sui mercati internazicrnali, sente come intromissione illegittima l’emergere di figure non legate alla legittimità locale dell’intrapresa: e forse il successo della Lega Nord non è estraneo a questa logica.
Al banchiere Geronzi, comunque “inquinato” dalla milanesità, accadrà poco: anche perché, suo malgrado, è comunque protagonista di un inatteso gioco delle parti. Infatti se Roma conquista terre incognite e pianeti un tempo maccessibili, Milano ha da tempo conquistato Roma e sul terreno ostico e maccessibile della politica. Il fenomeno Berlusconi, al di là di tutti i giudizi e con il conforto del consenso popolare, ha tentato di trapiantare Milano e la “cultura del fare” su Roma. I dubbi sono legittimi: a cominciare dal tempo. Durerà di più (e inciderà di più) Geronzi a Milano?
di Giuseppe Baiocchi