Generali di nome e di fatto

Il Riformista

L'importanza di chiamarsi Generali

Tra poco più di un mese si terrà l’assemblea delle Assicurazioni Generali, la multinazionale italiana. Sarà un'assemblea importante, perché gli osservatori e gli analisti scommettono sull’addio di Antoine Bernheim alla presidenza e perché da quello che succederà deriveranno delle conseguenze sull’assetto della società e sul quadro delle alleanze nel risiko economico.
Ma perché Assicurazioni Generali è così importante per il sistema economico e finanziario italiano? Innanzitutto è una società quotata al centro di una catena di partecipazioni fondamentali nel risiko; inoltre ha un grande patrimonio e grandi riserve che servono a garantire l'attività assicurativa; perché è la società finanziaria italiana più internazionale; e infine perché sviluppa un suo fascino soggettivo, una ininterrotta serie di storie nella storia: da Franz Kafka, che ne era un impiegato, a Enrico Cuccia, che per quasi cinquant’anni ne fu il dominus.

Generali è nata prima dell'Unità d'Italia, e la storia finanziaria del paese ha vissuto anche della sua solidità e del suo ruolo.

Per capire che cos'è, partiamo dall’intreccio azionario. Gli azionisti sopra il 2 per cento sono Mediobanca con 14,76 per cento, la Banca d’Italia con il 4,49 per cento, l’Unicredit (2,98 per cento, ma quasi senza diritto di voto), il fondo Blackrock con il 3 per cento, il gruppo De Agostini al 2,52 per cento e Francesco Gaetano Caltagirone al 2 per cento. Sotto il 2 ci sono Fondiaria, i Del Vecchio, i Benetton e la Ferak un gruppo di imprenditori del Nord-Est, tra i quali gli acciaieri Amenduni. La catena di comando di Generali è molto significativa, perché spiega la centralità della società. Unicredit, prima banca italiana, è azionista di riferimento di Mediobanca con una quota del 9 per cento. Mediobanca, guidata da Cesare Geronzi, è il primo azionista di Generali. Generali è azionista della seconda superbanca italiana, Intesa Sanpaolo, presieduta da Giovanni Bazoli, con una quota del 5 per cento, con cui per anni ha avuto un accordo di bancassicurazione terminato nel 2009. Dunque Generali è uno dei luoghi in cui si fanno scelte che riguardano l’intero sistema finanziario.

Trieste ha un portafoglio di partecipazioni molto ricco, a partire dalla finanza. Oltre a Intesa, ha una quota del 5 per cento nella banca tedesca Commerz (a sua volta azionista di Mediobanca con l’1,7) e l’un per cento della potentissima banca spagnola Santander, già azionista rilevante di Sanpaolo Imi. Ha anche una quota di poco superiore all’un per cento nell’assicurativa tedesca Munich Re.

Nelle telecomunicazioni – insieme con Telefonica, Intesa e Mediobanca – è azionista di Telco con una quota del 28 per cento, la società che controlla Telecom Italia. Ha due piccole partecipazioni dello 0,35 per cento in France Télécom e Deutsche Telekom. Ha quasi il 4 per cento di Rcs, editoriale del Corriere della Sera, e il 2,3 per cento del gruppo Espresso. Ha una cospicua serie di partecipazioni varie: poco meno del 2 per cento in Enel e Snam rete gas, il 2,4 di Terna, il 5 per cento dell’Autostrada To-Mi, il 3,35 per cento di Atlantia, che controlla la Società autostrade; poi il 5 per cento di Pirelli, il 3,6 di Gemina, il 3 per cento di Impregilo, e l’1,4 di Philips.

La massa di queste partecipazioni, dal cospicuo valore di Borsa, spiega il secondo aspetto dell’importanza di Generali. Per la sua attività assicurativa deve avere delle riserve tecniche che devono essere tenute liquide a certe scadenze. Quindi Trieste gestisce una notevole liquidità finanziaria: è concentrata in un patrimonio immobiliare da oltre 24 miliardi di euro, e in 300 miliardi di risparmio investito soprattutto in obbligazioni (più della metà titoli di Stato). Per questo inevitabilmente sviluppa affari, potere, nomine opportunità. Gli azionisti forti di Generali, quelli che siedono in consiglio, hanno interesse a partecipare all’azione di governo dell’azienda per provare a orientare le scelte dei grandi investimenti, l’utilizzo delle riserve sia nel settore finanziario sia nel settore immobiliare.

A partire dalla metà degli anni Cinquanta, Enrico Cuccia dalla plancia di comando di Mediobanca utilizzò per decenni Generali e un’altra compagnia, la Fondiaria, come le sue braccia operative: «Vennero considerate le compagnie che potevano fare da supporto ai piani di sviluppo dell’istituto di via dei Filodrammatici», scrive Fabio Tamburini in “Un siciliano a Milano” (Longanesi), biografia di Cuccia. Fu in quegli anni che Mediobanca e Generali divennero simbiotiche. Ed è per questo legame tra le due società che in questa fase di vigilia dell’assemblea, anche nelle analisi sulla successione a Bernheim, i giornali registrano e soppesano con una attenzione da telecronaca sportiva i movimenti del presidente di Mediobanca Geronzi.

Terzo aspetto: vista dall’Europa è, insieme a Unicredit, l’attore più incisivo sui mercati finanziari internazionali. Oggi è la più forte presenza italiana in Cina, per esempio (intuizione di Alfonso Desiata e buon lavoro di Sergio Balbinot, uno dei due attuali amministratori delegati). D’altra parte, se un attore di mercato internazionale vuole avere rapporti in Italia, deve passare da Generali. È importante perché è la porta sull’Italia.

Ha un ruolo decisivo nel risiko internazionale delle assicurazioni. Vediamo perché. È la terza assicurazione europea per valore di Borsa (28 miliardi circa) e la quinta al mondo. Le due assicurazioni più forti d’Europa sono la tedesca Allianz (valore 40 miliardi di euro) e la francese Axa (37 miliardi). Entrambe cercano di stabilire rapporti di alleanza con Generali, ovviamente antitrust europea permettendo.

Così in Generali si confrontano due anime internazionali, una tedesca e una francese. C’è quella tedesca di cui Unicredit è un’espressione, perché è forte in Germania e perché Allianz è anche azionista di Unicredit (cioè il primo azionista di Mediobanca) con una quota del 2 per cento. Generali ha anche il 5 per cento di Commerz, oggi seconda banca tedesca dopo l’acquisizione di Dresdner, ceduta proprio da Allianz. Una cessione che – secondo gli osservatori di risiko europeo – avrebbe però indebolito l’ipotesi di una grande alleanza italo-tedesca.

Anche il partito francese è influente a Trieste. C’è un presidente francese uscente, Antoine Bernheim, vicinissimo a Vincent Bolloré, socio forte di Mediobanca e amico personale di Nicolas Sarkozy. Bolloré ha un rapporto diretto con il mondo di Crédit Agricole, ma anche con il mondo Banque Lazard (da cui proviene Bernheim). Da sempre il sospetto che alcuni nutrono è che i francesi – i quali di solito fanno sistema – prima o poi cerchino di tirare una zampata sul sistema Mediobanca-Generali.

Tra il 2002 e il 2003, Vincenzo Maranghi, successore di Cuccia in Mediobanca, cercò di consolidare il suo potere periclitante, assecondando un rafforzamento dei francesi. Intervennero contro di lui l’Unicredit di Alessandro Profumo, in funzione filotedesca, e la Banca d’Italia, che già si era opposta a Maranghi quando aveva sostituito Desiata, cresciuto alla scuola di Cesare Merzagora, con Gianfranco Gutty.

Il quarto fattore dell’importanza di Generali è la sua dimensione identitaria, la sua storia, le sue caratteristiche. Innanzitutto Generali ha centottant'anni ed è ancora la regina del listino della Borsa italiana. È un titolo anti-ciclico, si rafforza quando c’è crisi (c’è stato un momento lo scorso anno in piena temesta dei mercati globali in cui mentre i concorrenti scendevano, si era stabilizzata, salendo al primo posto nella classifica mondiale delle società assicurative per valore di Borsa). Prima delle privatizazzioni, per cinquant’anni il cassettista italiano doveva avere Generali. È così tanto regina del listino, che la Banca d’Italia attraverso il suo fondo d’investimento previdenziale mantiene una partecipazione azionaria. Ovviamente col tempo quella quota è diventata anche un fattore di stabilizzazione.

Poi c’è la storia della porta d’Europa, Trieste, la Mitteleruropa, Kafka. È un posto dove ancora si sente il senso della continuità di una classe dirigente: il ruolo di Marco Besso, storico capo azienda all'inizio del Novecento, il complesso rapporto tra Cuccia e Cesare Merzagora, Enrico Randone, Desiata, un umanista laureato in fisica, lo stesso Bernheim, sfinge del potere finanziario internazionale, oggetto di discussione per gli analisti perché è il simbolo di uno dei punti di debolezza della compagia, dove la complessità della compagine azionaria, e le diverse influenze, generano un rischio di staticità. E ancora la storia azionaria, la relazione con la finanza ebraica, i Morpurgo, Camillo De Benedetti, i de Corinaldi di Padova, la Lazard di André Meyer e dei Weill. La ricostruzione, dopo la Seconda guerra mondiale che aveva tolto alle Generali la sua forza in Europa centrale. O le grandi battaglie del passato, la più cruenta quella che vide al centro Euralux. Tamburini la raccontò con una serie di rivelazioni nella biografia di Cuccia. Segnò l’uscita della Montedison di Eugenio Cefis da Generali e l’ingresso di una società internazionale la cui composizione azionaria era misteriosa, ma di fatto controllata da Cuccia. Tra i protagonisti della transazione, insieme a Cefis, Merzagora, e Cuccia, c’era gia Bernheim. Era il 1973.

Marco Ferrante