Geronzocrazia
Il Foglio
Perchè non chiamare i cacciatori di teste per scegliere il prossimo presidente delle Generali? La proposta di Ft, che critica il capitalismo ottuagenario, suscita curiosità e stupore. Parlano manager ed economisti.
Perchè non chiamare i cacciatori di teste per scegliere il prossimo presidente delle Generali? La proposta di Ft, che critica il capitalismo ottuagenario, suscita curiosità e stupore. Parlano manager ed economisti.
Roma.Con l'avvicinarsi di appuntamenti clou nelle partite cruciali della finanza italiana, anche la stampa internazionale inizia a seguire le mosse dei poteri forti, o presunti tali, del nostro paese. L'inglese Financial Times ha scelto due giorni fa di dedicarsi all'ipotesi Telecom-Telefonica, e ieri, nelle rubrica non firmata ''Lex Column'', ha chiosato il toto nomine per la presidenza di Generali. Tradendo però, secondo alcuni addetti ai lavori italiani, una sorta di ''velo d'ignoranza'', o quantomeno una buona dose di ''bias'' anglosassone. Uno degli aspetti che ha attirato l'attenzione, suscitando in alcuni casi anche un certo stupore, è il capitolo sulla ''gerontocrazia'' dell'establishment finanziario nazionale.Ft ritiene plausibile lo scenario che vede Cesare Geronzi attuale presidente di Mediobanca,arrivare ai vertici di Generali che sono in scadenza in aprile. Salvo poi sottolineare,con una punta di rammarico,che un avvicendamento del genere può capitare soltanto nella
''gerontocratica Italia''. Non si menziona, però,che una delle ipotesi alternative all'arrivo a Trieste di Geronzi (classe 1935) sarebbe la permanenza alla presidenza di Generali di Antoine Bernheim (classe 1924). ''In ogni caso la questione anagrafica sollevata da Ft mi stupisce'', dice al Foglio Giulio Sapelli, docente di Storia economica all'Università statale di Milano, in passato consigliere d'amministrazione di grandi gruppi come Eni e Unicredit, e oggi, tra gli altri incarichi, nel cda di Sator fondata da Matteo Arpe. ''Basti pensare - aggiunge Sapelli - come il novantenne Cesra Merzagora abbia magnificamente guidato Generali, per non fare altri esempi come quello di Henry Ford''. Insomma niente largo ai giovani? ''Ma se sono stati proprio i giovanissimi manager, con tanto di Mba, a creare la crisi finanziaria! Quindi non solo viva i vecchi, ma anche viva i ragionieri'', risponde Sapelli.
Pure il secondo aspetto rilevato dal quotidiano della City lascia perplessi altri osservatori: è opportuno che i vertici dei grandi gruppi quotati siano selezionati dagli ''headhunter'', incalza il Financial Times. Osserva al Foglio uno dei maggiori cacciatori di teste italiani, oggi in una multinazionale del settore: ''Il quotidiano di
Londra scrive avendo come riferimento il modello anglosassone, dove nelle società quotate è molto diffuso un comitato nomine composto da professionisti esterni. Un modello trasparente, figlio anche di strutture societarie tipo public company, nelle quali gli azionisti sono prevalentemente fondi pensioni e pluralità di soggetti di mercato''. Mentre in Italia, e più generalmente nei sistemi latini, sono esaltati ''aspetti culturali tipici di gruppi nei quali c'è un nocciolo di azionisti forti che ovviamente sceglie il vertice''. Una particolarità che esperti di corporate governance dal taglio mercatista considerano un fattore negativo del capitalismo italiano.
Ma forse anche del modello anglosassone si tende ad avere un'immagine idealizzata, nota l'economista Geminello Alvi: ''Pure nelle élite finanziarie anglosassoni funziona la cooptazione''. E i celebri headhunter invocati dal Financial
Times? ''Sono utili, certo, ma per scegliere una seconda linea di manager'', nota Alvi.
Quindi la soluzione cacciatori di testa per la presidenza del Leone è plausibile? Sapelli avanza una spiegazione a carattere generale:''Si ricorre agli headhunter per il top management, quindi direttore generale e alti dirigenti.
Detto questo, sulla base della mia esperienza di amministratore di società anche quotate, posso garantire che spesso le scelte dei cacciatori di teste si sono rivelate non del tutto azzeccate. Questo perchè di solito si scelgono manager dal 'pensiero semplice'. Mentre, a maggior ragione in società con una pluralità di azionisti, occorrono manager dal ''pensiero complesso''. Perchè ''intrecciato e vischioso è anche l'azionariato di Generali'', conferma un manager di lungo corso, più tagliatore che cacciatore di teste:''Chi non vuole separarsi dal potere si sente tutelato dai propri 'pari', ovvero da figure che siano già interne agli stessi potentati''.
''gerontocratica Italia''. Non si menziona, però,che una delle ipotesi alternative all'arrivo a Trieste di Geronzi (classe 1935) sarebbe la permanenza alla presidenza di Generali di Antoine Bernheim (classe 1924). ''In ogni caso la questione anagrafica sollevata da Ft mi stupisce'', dice al Foglio Giulio Sapelli, docente di Storia economica all'Università statale di Milano, in passato consigliere d'amministrazione di grandi gruppi come Eni e Unicredit, e oggi, tra gli altri incarichi, nel cda di Sator fondata da Matteo Arpe. ''Basti pensare - aggiunge Sapelli - come il novantenne Cesra Merzagora abbia magnificamente guidato Generali, per non fare altri esempi come quello di Henry Ford''. Insomma niente largo ai giovani? ''Ma se sono stati proprio i giovanissimi manager, con tanto di Mba, a creare la crisi finanziaria! Quindi non solo viva i vecchi, ma anche viva i ragionieri'', risponde Sapelli.
Pure il secondo aspetto rilevato dal quotidiano della City lascia perplessi altri osservatori: è opportuno che i vertici dei grandi gruppi quotati siano selezionati dagli ''headhunter'', incalza il Financial Times. Osserva al Foglio uno dei maggiori cacciatori di teste italiani, oggi in una multinazionale del settore: ''Il quotidiano di
Londra scrive avendo come riferimento il modello anglosassone, dove nelle società quotate è molto diffuso un comitato nomine composto da professionisti esterni. Un modello trasparente, figlio anche di strutture societarie tipo public company, nelle quali gli azionisti sono prevalentemente fondi pensioni e pluralità di soggetti di mercato''. Mentre in Italia, e più generalmente nei sistemi latini, sono esaltati ''aspetti culturali tipici di gruppi nei quali c'è un nocciolo di azionisti forti che ovviamente sceglie il vertice''. Una particolarità che esperti di corporate governance dal taglio mercatista considerano un fattore negativo del capitalismo italiano.
Ma forse anche del modello anglosassone si tende ad avere un'immagine idealizzata, nota l'economista Geminello Alvi: ''Pure nelle élite finanziarie anglosassoni funziona la cooptazione''. E i celebri headhunter invocati dal Financial
Times? ''Sono utili, certo, ma per scegliere una seconda linea di manager'', nota Alvi.
Quindi la soluzione cacciatori di testa per la presidenza del Leone è plausibile? Sapelli avanza una spiegazione a carattere generale:''Si ricorre agli headhunter per il top management, quindi direttore generale e alti dirigenti.
Detto questo, sulla base della mia esperienza di amministratore di società anche quotate, posso garantire che spesso le scelte dei cacciatori di teste si sono rivelate non del tutto azzeccate. Questo perchè di solito si scelgono manager dal 'pensiero semplice'. Mentre, a maggior ragione in società con una pluralità di azionisti, occorrono manager dal ''pensiero complesso''. Perchè ''intrecciato e vischioso è anche l'azionariato di Generali'', conferma un manager di lungo corso, più tagliatore che cacciatore di teste:''Chi non vuole separarsi dal potere si sente tutelato dai propri 'pari', ovvero da figure che siano già interne agli stessi potentati''.