Italia-Libia, dossier Eni e Generali
Il Sole 24 Ore
Vertice a Palazzo Grazioli tra i ministri di Tripoli. Ben Ammar, Geronzi e Tremonti
La Libia è pronta a fare da contrafforte agli invcstimcnti dello Stato italiano,o del sistema italiano, ncl capitale di aziende pubbliche e private quotate in Borsa. Si può sintetizzare cosi l'essenza dell'intesa che il Governo italiano e l'Esecutivo libico hanno raggiunto nell'ambito dell'accordo di cooperazione tra i due Paesi firmato lo scorso 3o agosto.
Per sancire l'avvio di una fase di collaborazione anche in campo finanziario ieri si tenuto un incontro a palazzo Grazioli cui ha preso parte il premier, Silvio Berlusconi, il ministro per l'Economia Giulio Trernonti. il sottosegreario alla presidenza Gianni Letta, i vertici di Mediobanca e una delegazione libica composta dal ministro per la pianificazione Abdul Hafid Zletni e dall'ambasciatore a Roma Hafed Gaddur. E' il primo rendez vous ufficiale che avviene in Italia tra le rappresentanze dei due Paesi dopo la firma dcl trattato, che verrà ratificato dalla Libia a inizio marzo. La riunione a palazzo Grazioli ha avuto più il sapore di una visita di cortesia che di una riunione per l'approfondimento di specifici dossier. Uno scambio di cordialità che è proseguito nella serata di ieri in occasione del ricevimento dato dall'ambasciatore libico all'hotel Parco dei Principi di Roma a cui ha preso parte anche il presidente di Mediobanca, Cesare Geronzi.
La presenza ieri a palazzo Grazioli di Geronzi e dell'a.d. Alberto Nagel - con i quali tra l'altro la delegazione libica si era incontrata in mattinata nella sede di piazza di Spagna - sembra avere una doppia valenza. L'istituto di piazzetta Cuccia si propone come "guida per gli investimenti libici in Italia" come ha detto ieri Tarak Ben Ammar, presente all'incontro. Ma anche come espressione delle esigenze del sistema italiano nel capitalismo privato.
Non è un mistero che la Libia guardi con interesse alla galassia che fa capo a Mediobanca. L'ambasciatore Gaddur nei mesi scorsi aveva accennato a pourparler con Generali, la compagnia controllata da piazzetta Cuccia, e di contatti intercorsi con i suoi vertici veicolati da Ben Ammar. I fondi libici potrebbero contribuire a stabilizzare la compagine azionaria del Leone di Trieste, anche a seguito dall'uscita dal capitale sociale di soci come Ligresti o della stessa Unicredit. Una funzione che potrebbero svolgere anche nel capitale di Telecom: già nell'ottobre scorso c'erano stati contatti con l'a.d.Franco Bernabé per valutare la possibilità di un ingresso nell'azionariato. Allora si era parlato della necessità controbilanciare le mire espansionistiche di Telefonia: l'operazione non sarebbe più di attualità, ma non è da escludere che se ne possa riparlare in futuro. In Unicredit la Central Bank of Libia è salita al 4,6% del capitale in ottobre, ma solo dopo aver informato il Governo italiano. Mentre pochi giorni fa i fondi libici si sono fatti avanti, assieme alle fondazioni Crt e Cassa di risparmio di Modena per sottoscrivere obbligazioni casher di Unicredit, per un controvalore di 440 milioni di euro, al posto della Fondazione Cariverona. Per ora le manovre nel capitale della banca dovrebbero essere esaurite: ma sono pronti a entrare ancora in campo, se sarà necessario. Sinora, comunque, le operazioni fatte da fondi e dalla Central Bank di Tripoli sul gruppo Unicredit non hanno avuto la regia di Mediobanca.
I dossier che i libici potrebbero aprire nell'immediato sembrano riguardare più che altro le società pubbliche. C'è innanzitutto la partecipazione nel capitale dell'Eni: a dicembre era stata annunciata l'intenzione di portare la quota posseduta dell'Energy fund libico, ora sotto l'1 per cento, fino al 5 per cento con l'obiettivo di salire al 10 per cento. Nel mirino c'è anche una quota tra l'1 e il 2 per cento nel capitale di Terna e possibili investimenti in Impregilo. E forse, qualora fosse necessario, un sostegno per eventuali operazioni straordinarie per contenere il debito di Enel.
Per sancire l'avvio di una fase di collaborazione anche in campo finanziario ieri si tenuto un incontro a palazzo Grazioli cui ha preso parte il premier, Silvio Berlusconi, il ministro per l'Economia Giulio Trernonti. il sottosegreario alla presidenza Gianni Letta, i vertici di Mediobanca e una delegazione libica composta dal ministro per la pianificazione Abdul Hafid Zletni e dall'ambasciatore a Roma Hafed Gaddur. E' il primo rendez vous ufficiale che avviene in Italia tra le rappresentanze dei due Paesi dopo la firma dcl trattato, che verrà ratificato dalla Libia a inizio marzo. La riunione a palazzo Grazioli ha avuto più il sapore di una visita di cortesia che di una riunione per l'approfondimento di specifici dossier. Uno scambio di cordialità che è proseguito nella serata di ieri in occasione del ricevimento dato dall'ambasciatore libico all'hotel Parco dei Principi di Roma a cui ha preso parte anche il presidente di Mediobanca, Cesare Geronzi.
La presenza ieri a palazzo Grazioli di Geronzi e dell'a.d. Alberto Nagel - con i quali tra l'altro la delegazione libica si era incontrata in mattinata nella sede di piazza di Spagna - sembra avere una doppia valenza. L'istituto di piazzetta Cuccia si propone come "guida per gli investimenti libici in Italia" come ha detto ieri Tarak Ben Ammar, presente all'incontro. Ma anche come espressione delle esigenze del sistema italiano nel capitalismo privato.
Non è un mistero che la Libia guardi con interesse alla galassia che fa capo a Mediobanca. L'ambasciatore Gaddur nei mesi scorsi aveva accennato a pourparler con Generali, la compagnia controllata da piazzetta Cuccia, e di contatti intercorsi con i suoi vertici veicolati da Ben Ammar. I fondi libici potrebbero contribuire a stabilizzare la compagine azionaria del Leone di Trieste, anche a seguito dall'uscita dal capitale sociale di soci come Ligresti o della stessa Unicredit. Una funzione che potrebbero svolgere anche nel capitale di Telecom: già nell'ottobre scorso c'erano stati contatti con l'a.d.Franco Bernabé per valutare la possibilità di un ingresso nell'azionariato. Allora si era parlato della necessità controbilanciare le mire espansionistiche di Telefonia: l'operazione non sarebbe più di attualità, ma non è da escludere che se ne possa riparlare in futuro. In Unicredit la Central Bank of Libia è salita al 4,6% del capitale in ottobre, ma solo dopo aver informato il Governo italiano. Mentre pochi giorni fa i fondi libici si sono fatti avanti, assieme alle fondazioni Crt e Cassa di risparmio di Modena per sottoscrivere obbligazioni casher di Unicredit, per un controvalore di 440 milioni di euro, al posto della Fondazione Cariverona. Per ora le manovre nel capitale della banca dovrebbero essere esaurite: ma sono pronti a entrare ancora in campo, se sarà necessario. Sinora, comunque, le operazioni fatte da fondi e dalla Central Bank di Tripoli sul gruppo Unicredit non hanno avuto la regia di Mediobanca.
I dossier che i libici potrebbero aprire nell'immediato sembrano riguardare più che altro le società pubbliche. C'è innanzitutto la partecipazione nel capitale dell'Eni: a dicembre era stata annunciata l'intenzione di portare la quota posseduta dell'Energy fund libico, ora sotto l'1 per cento, fino al 5 per cento con l'obiettivo di salire al 10 per cento. Nel mirino c'è anche una quota tra l'1 e il 2 per cento nel capitale di Terna e possibili investimenti in Impregilo. E forse, qualora fosse necessario, un sostegno per eventuali operazioni straordinarie per contenere il debito di Enel.