Unicredit-Mediobanca non ha senso industriale
Libero Mercato
Profumo e Geronzi spengono le voci
Cesare Geronzi, presidente di Mediobanca, e Alessandro Profumo, amministratore delegato di Unicredit, hanno ribadito che "non esiste alcun progetto di fusione tra Mediobanca e Unicredit, perchè una simile prospettiva non ha fondamento industriale per i due gruppi". Lo hanno riferito fonti vicine ai due gruppi dopo l'incontro di ieri fra i due banchieri, durato un'ora circa, e che si è tenuto presso il quartier generale di Unicredit, in Piazza Cordusio a Milano.
Finisce così, con una dichiarazione alquanto tranchant quello che a questo punto può essere battezzato come "il risiko della Befana". LiberoMercato non ci ha creduto neanche un minuto, per il semplice fatto che da queste parti abbiamo un'idea abbastanza precisa, per quanto perfettibile, di quali siano i perimetri di attività dei due gruppi e dei rapporti anche stretti che esistono da sempre fra le due istituzioni e i loro uomini di vertice (fino alla recente regia di Piazzetta Cuccia nella ricapitalizzazione di Unicredit), ma anche dei loro limiti. Nemmeno le mega-operazioni di sistema possono farsi sfidando le leggi di gravità. Immaginare una triplice Mediobanca-Unicredit-Generali pure non nuova fra gli operatori che da sempre vedono una naturale convergenza "a Est" fra Piazza Cordusio e il Leone triestino - è cosa che, almeno in questo momento, sfida davvero le leggi di gravità del mondo finanziario. Specialmente in un'epoca in cui i grandi conglomerati finanziari si sfaldano anzichè costruirsi.
Perciò, se dopo le doverose smentite dei due istituti, richieste martedì 6 dalla Consob ma giunta troppo tardi, quando ormai la frittata era fatta e sul mercato i titoli avevano preso il volo con punte di rialzo vicine al 10% Profumo e Geronzi hanno fatto piazza pulita delle speculazioni-ipotesi-indiscrezioni, mettendoci pure il suggello di "una prospettiva che non ha fondamento industriale" vuol dire proprio che non ce n'è. Con buona pace di Giovanni Puglisi, azionista della Fondazione Banco di Sicilia (azionista di Unicredit con una quota dello 0,5%), secondo cui la fusione fra la più grande banca retail e la maggiore banca d'affari d'Italia "è un'ipotesi che ha senso". Ma allora perchè tanto rumore per nulla. Certo, era il giorno della Befana, e Piazza Affari era in cerca di idee. Ne ha trovata per strada una abbastanza suggestiva, e l'ha cavalcata: poco male per Piazza Cordusio che ha così quasi riagguantato la soglia di 2 euro per azione.
Felici, peraltro, i trader e qualunque altro investitore che ci ha puntato su, contribuendo a montare la panna, a che ne abbia preso le distanze abbastanza in fretta, visto che ieri i titoli Unicredit hanno lasciato sul terreno il 2,49 per cento.
Cosa diversa è se dai fatti, che non ci sono, si passa invece alle ragioni che possono avere scatenato il risiko della Befana. Qui, però, si va sul campo delle ipotesi, per quanto suffragate dalle conferme raccolte fra chi conosce bene quel che sta accadendo attorno a Piazza Cordusio. La fantomatica fusione sarebbe, spiegano, un segnale neanche troppo velato che alcune fondazioni azioniste mandano all'ad Profumo. Il quale, superato lo scossone di ottobre, quando fu costretto a rimangiare le proprie parole e a chiedere nuovi mezzi per 3 miliardi, non pare avere alcuna intenzione di prendere ordini da questo o da quell'azionista. E anzi ha ripreso a solcare acque internazionali alla ricerca di nuove opportunità strategiche, consapevole che - è solo questione di tempo - si prepara una nuova stagione di risiko bancario internazionale, o quanto meno paneuropeo.
Finisce così, con una dichiarazione alquanto tranchant quello che a questo punto può essere battezzato come "il risiko della Befana". LiberoMercato non ci ha creduto neanche un minuto, per il semplice fatto che da queste parti abbiamo un'idea abbastanza precisa, per quanto perfettibile, di quali siano i perimetri di attività dei due gruppi e dei rapporti anche stretti che esistono da sempre fra le due istituzioni e i loro uomini di vertice (fino alla recente regia di Piazzetta Cuccia nella ricapitalizzazione di Unicredit), ma anche dei loro limiti. Nemmeno le mega-operazioni di sistema possono farsi sfidando le leggi di gravità. Immaginare una triplice Mediobanca-Unicredit-Generali pure non nuova fra gli operatori che da sempre vedono una naturale convergenza "a Est" fra Piazza Cordusio e il Leone triestino - è cosa che, almeno in questo momento, sfida davvero le leggi di gravità del mondo finanziario. Specialmente in un'epoca in cui i grandi conglomerati finanziari si sfaldano anzichè costruirsi.
Perciò, se dopo le doverose smentite dei due istituti, richieste martedì 6 dalla Consob ma giunta troppo tardi, quando ormai la frittata era fatta e sul mercato i titoli avevano preso il volo con punte di rialzo vicine al 10% Profumo e Geronzi hanno fatto piazza pulita delle speculazioni-ipotesi-indiscrezioni, mettendoci pure il suggello di "una prospettiva che non ha fondamento industriale" vuol dire proprio che non ce n'è. Con buona pace di Giovanni Puglisi, azionista della Fondazione Banco di Sicilia (azionista di Unicredit con una quota dello 0,5%), secondo cui la fusione fra la più grande banca retail e la maggiore banca d'affari d'Italia "è un'ipotesi che ha senso". Ma allora perchè tanto rumore per nulla. Certo, era il giorno della Befana, e Piazza Affari era in cerca di idee. Ne ha trovata per strada una abbastanza suggestiva, e l'ha cavalcata: poco male per Piazza Cordusio che ha così quasi riagguantato la soglia di 2 euro per azione.
Felici, peraltro, i trader e qualunque altro investitore che ci ha puntato su, contribuendo a montare la panna, a che ne abbia preso le distanze abbastanza in fretta, visto che ieri i titoli Unicredit hanno lasciato sul terreno il 2,49 per cento.
Cosa diversa è se dai fatti, che non ci sono, si passa invece alle ragioni che possono avere scatenato il risiko della Befana. Qui, però, si va sul campo delle ipotesi, per quanto suffragate dalle conferme raccolte fra chi conosce bene quel che sta accadendo attorno a Piazza Cordusio. La fantomatica fusione sarebbe, spiegano, un segnale neanche troppo velato che alcune fondazioni azioniste mandano all'ad Profumo. Il quale, superato lo scossone di ottobre, quando fu costretto a rimangiare le proprie parole e a chiedere nuovi mezzi per 3 miliardi, non pare avere alcuna intenzione di prendere ordini da questo o da quell'azionista. E anzi ha ripreso a solcare acque internazionali alla ricerca di nuove opportunità strategiche, consapevole che - è solo questione di tempo - si prepara una nuova stagione di risiko bancario internazionale, o quanto meno paneuropeo.