Crack Bagaglino: assolto Geronzi
Liberal
In caso di condanna, avrebbe dovuto lasciare il vertice di Mediobanca.
Roma. Prosciolto perch il fatto non sussiste nel crack Bagaglino. Cesare Geronzi ha incassato ieri una grande vittoria personale, e, insieme a messo una serissima assicurazione sulla sua vita professionale in Mediobanca. L'accusa sosteneva che le banche nel 1998, nonostante il gruppo Italcase/Bagaglino fosse ormai decotto - le societ del gruppo, in tutto 19, sono state dichiarate fallite nel 2000 - imposero una ristrutturazione e, secondo la sentenza di primo grado, nel trattare la vicenda non ebbero un comportamento limpido. Questa impostazione stata ribaltata nella sentenza d'appello, che pur confermando le condanne agli amministratori del gruppo turistico-immobiliare, ha assolto i consiglieri delle banche coinvolte (Bam, Bna e Banca di Roma) dall'accusa di bancarotta preferenziale "perch il fatto non sussiste" e da quella di bancarotta semplice "per non aver commesso il fatto".
La vicenda del dissesto del gruppo Italcase/Bagaglino si trascina dal 2000, quando il tribunale di Brescia dichiarò il fallimento del gruppo bresciano fondato da Mario Bertelli (condannato in primo grado a 13 anni e condannato anche in appello), con un passivo di 600 milioni di euro. Ed è bene spiegare cosa questa sentenza significa. Geronzi è il presidente di Mediobanca, è arrivato alla poltrona dopo la fusione tra Unicredit e Capitalia, e dopo aver detto, durante la trattativa, di essere "indisponibile" alla carica. Ma il banchiere di Marino in realtà quel posto lo ha sempre sognato: un pò perchè era quello di Enrico Cuccia, il mito di tutti i finanzieri italiani; un pò perchè rappresentava per lui il coronamento di una grande carriera cominciata da impiegato di Bankitalia e proseguita attraverso un'esperienza poco felice al Banco di Napoli, e poi approdata alla Cassa di Risparmio di Roma. Inoltre Geronzi è indagato per usura aggravata e concorso in bancarotta fraudolenta nell'ambito del caso Ciappazzi-Parmalat-Eurolat, e rinviato a giudizio per estorsione e bancarotta societaria. Secondo l'accusa, Geronzi avrebbe imposto a Tanzi l'acquisto di Eurolat, società del Gruppo Cirio di Sergio Cragnotti ad un prezzo gonfiato, minacciando di chiudere gli affidamenti bancari, ma il processo è stato trasferito a Roma. Nel crack Cirio, Geronzi è indagato per l'emissione di due bond su un migliaio, mentre nel caso Telecom per frode fiscale. Come si vede, le accuse sono labili: molto probabilmente cadranno. La storia del Bagaglino invece lo preoccupava molto di più: intanto perchè aveva come accessorio l'interdizione dai pubblici uffici; e poi perchè lo statuto di Mediobanca pretende che non ci siano condannati in via definitiva tra chi è demandato alle cariche sociali. Una condanna in secondo grado, confermata in Cassazione, avrebbe avuto come risultato finale il suo pensionamento anticipato. Con l'assoluzione, questo "rischio" svanisce definitivamente, proprio mentre la crisi ha fatto tornare in auge i modelli di capitalismo di Stato, a sua volta aiutato dalla finanza "strategica". Praticamente, l'elemento naturale per uno come Geronzi.
Queste sono proprio le Sliding Doors della finanza italiana. Soltanto alcuni mesi fa Alessandro Profumo stava portando Unicredit alla guerra contro Geronzi in Mediobanca, che chiedeva più poteri rispetto a quelli dell'amministratore delegato e del direttore generale, i quali portavano ottimi risultati finanziari come argomento per dissuadere gli azionisti dal fare come diceva il presidente. Bisognava vedere se le azioni si pesavano (ovvero se il loro valore dipendeva da chi le possedeva) o si contavano (cioè, vigeva il principio della maggioranza), come diceva proprio la buonanima di Cuccia. Stavolta, si rischiava proprio che si contassero, e che Profumo, forse di essere al comando di un'impresa bancaria che poteva vantare risultati straordinari, riuscisse a vincere la partita. Poi è arrivata la crisi, i rovesci di Borsa e soprattutto è stato squarciato il velo su quei bilanci troppo belli per essere veri. Oggi il capitalismo finanziario italiano si ripiega su se stesso. Sia un bene o un male, lo sapremo tra qualche anno.