Parla Geronzi: in un altro Paese i miei non sarebbero reati
L'Unità
Forse ha ragione Cesare Geronzi. Se si vivesse «in un paese nel quale le responsabilità si accompagnano alle funzioni e alle deleghe che vengono utilizzate» le vicende giudiziarie non esisterebbero». Ma ognuno - ha detto mercoledì sera a Firenze l'ex presidente di Capitalia - «deve portare la sua croce e, se la croce che è stata destinata a me è questa, me la tengo ben stretta perché altre sono le croci che fanno male..»
Forse ha ragione Cesare Geronzi. Se si vivesse «in un paese nel quale le responsabilità si accompagnano alle funzioni e alle deleghe che vengono utilizzate» le sue «vicende giudiziarie non esisterebbero». Ma ognuno - ha detto mercoledì sera a Firenze l'ex presidente di Capitalia - «deve portare la sua croce e, se la croce che è stata destinata a me è questa, me la tengo ben stretta perché altre sono le croci che fanno male».
Rispondendo a una domanda del direttore della Stampa Giulio Anselmi, anche lui presente a un incontro sull'editoria, Geronzi si è detto convinto che in nessuno dei casi che lo riguardano, si può provare che io abbia non solo fatto né concorso a fare alcunché. Io sono assolutamente consapevole che nessuno troverà mai un pezzo di carta trasmesso né potrà avvalorare ipotesi e disegni, perché tali sono, anche se a volte fanno male. Ci sarà un giudice a Berlino che riconoscerà anche questo», ha aggiunto sorridendo.
Sicuramente Geronzi si riferiva ai processi in capo a Puma (crac Parmalat) e a Roma (crac Cirio). Non quello concluso a Brescia nel 2006 con una condanna, ben intesi, di primo grado per bancarotta flaudolenta per il caso Bagaglino Italcase. Un crac da più di 1.000 miliardi di lire che vide coinvolto il gruppo immobiliare creato da Mario Bertelli che aveva realizzato, tra l'altro, alcuni villaggi turistici nella zona di Porto Cervo in Sardegna. In quell'occasione il tribunale accertò che le banche concedettero finanziamenti al gruppo Bertelli quando la situazione era palesemente compromessa. E questo, sempre secondo l'accusa, sarebbe avvenuto al fine di trasformare i crediti delle banche da chirografari in privilegiati.
Quindi, come detto, visto che per Brescia c'è già una sentenza, la risposta di Geronzi riguardava sicuramente il processo Parmalat e quello Cirio. Nel primo il banchiere è accusato di estorsione (anche se sul capo d'imputazione c'è un ricorso della Procura in Casssazione). Per l'accusa nel 1999 Geronzi impose a Callisto Tanzi e a una Parmalat in forte diffìcoltà economica l'acquisto di Eurolat, società del Gruppo Cirio di Sergio Cragnotti, al prezzo di circa 800 miliardi di lire (molto superiore al valore di mercato, secondo i pubblici ministeri), pena la «chiusura degli affidamenti», che allora «ammontavano a 300/400 miliardi». Il giudice basa l'accusa sulle dichiarazioni di Fausto Tonna, numero due del Gruppo, confermate poi, da Tanzi. Nel processo Cirio, invece, oltre alla bancarotta, c'è anche l'ipotesi di truffa (cadrà comunque in prescrizione dati i tempi processuali), che le banche, e tra queste Banca di Roma, avrebbero perpetrato ai danni dei risparmiatori attraverso l'emissione di nove bond dal 30 maggio 2000 al 31 maggio 2002.
Se non fossimo in Italia, quindi, le vicende di Geronzi non esisterebbero. Ed è probabile. Se fossimo negli Stati Uniti, ad esempio, la giustizia, che lì ha tempi ridotti e pene molto alte per gli amministratori condannati, avrebbe già chiuso i conti. E forse Geronzi non avrebbe più un ruolo. lnvece, proprio perché siamo in Italia, gli tocca fare il presidente del comitato di sorveglianza di Mediobanca, la più importante banca d'affari italiana. È proprio un mondo ingrato.
Rispondendo a una domanda del direttore della Stampa Giulio Anselmi, anche lui presente a un incontro sull'editoria, Geronzi si è detto convinto che in nessuno dei casi che lo riguardano, si può provare che io abbia non solo fatto né concorso a fare alcunché. Io sono assolutamente consapevole che nessuno troverà mai un pezzo di carta trasmesso né potrà avvalorare ipotesi e disegni, perché tali sono, anche se a volte fanno male. Ci sarà un giudice a Berlino che riconoscerà anche questo», ha aggiunto sorridendo.
Sicuramente Geronzi si riferiva ai processi in capo a Puma (crac Parmalat) e a Roma (crac Cirio). Non quello concluso a Brescia nel 2006 con una condanna, ben intesi, di primo grado per bancarotta flaudolenta per il caso Bagaglino Italcase. Un crac da più di 1.000 miliardi di lire che vide coinvolto il gruppo immobiliare creato da Mario Bertelli che aveva realizzato, tra l'altro, alcuni villaggi turistici nella zona di Porto Cervo in Sardegna. In quell'occasione il tribunale accertò che le banche concedettero finanziamenti al gruppo Bertelli quando la situazione era palesemente compromessa. E questo, sempre secondo l'accusa, sarebbe avvenuto al fine di trasformare i crediti delle banche da chirografari in privilegiati.
Quindi, come detto, visto che per Brescia c'è già una sentenza, la risposta di Geronzi riguardava sicuramente il processo Parmalat e quello Cirio. Nel primo il banchiere è accusato di estorsione (anche se sul capo d'imputazione c'è un ricorso della Procura in Casssazione). Per l'accusa nel 1999 Geronzi impose a Callisto Tanzi e a una Parmalat in forte diffìcoltà economica l'acquisto di Eurolat, società del Gruppo Cirio di Sergio Cragnotti, al prezzo di circa 800 miliardi di lire (molto superiore al valore di mercato, secondo i pubblici ministeri), pena la «chiusura degli affidamenti», che allora «ammontavano a 300/400 miliardi». Il giudice basa l'accusa sulle dichiarazioni di Fausto Tonna, numero due del Gruppo, confermate poi, da Tanzi. Nel processo Cirio, invece, oltre alla bancarotta, c'è anche l'ipotesi di truffa (cadrà comunque in prescrizione dati i tempi processuali), che le banche, e tra queste Banca di Roma, avrebbero perpetrato ai danni dei risparmiatori attraverso l'emissione di nove bond dal 30 maggio 2000 al 31 maggio 2002.
Se non fossimo in Italia, quindi, le vicende di Geronzi non esisterebbero. Ed è probabile. Se fossimo negli Stati Uniti, ad esempio, la giustizia, che lì ha tempi ridotti e pene molto alte per gli amministratori condannati, avrebbe già chiuso i conti. E forse Geronzi non avrebbe più un ruolo. lnvece, proprio perché siamo in Italia, gli tocca fare il presidente del comitato di sorveglianza di Mediobanca, la più importante banca d'affari italiana. È proprio un mondo ingrato.