Geronzi: "Mediobanca sosterrà la ripresa"
Il Sole 24 ore
Varata la nuova governance - Il presidente: non vado in Generali. "Rilanciare l'economia contro la crisi dei mercati"
L'assemblea si è protratta più del previsto per sei ore, ma alla fine Cesare Geronzi ne è uscito incoronato presidcnte del consiglio di amministrazione, riunitosi subito dopo l'ok dei soci al ritorno alla governance tradizionale.
Con un programma condensato in uno slogan: «Contribuire, insieme alle altre grandi banche, alla ripresa economica del Paese». Che non significa che Mediobanca smetterà di fare la banca d'affari nell'ottica selettiva che finora l'ha contraddistinta, nè che sarà più sensibile ai richiami della politica, come ha fatto capire l'ad Alberto Nagel. Da parte sua Nagel ha parlato di «un modello innovativo basato sul tradizionale, ma con molti elementi del dualistico».
E Geronzi, a chi chiedeva se la svolta nella governance fosse stata per caso suggerita dal desiderio di partecipare alla gestione da parte di chi era chiamato a sorvegliarla e a chi adombrava "tentativi di assoggettare il management a interessi soggettivi e particolari disallineati da quelli dell'istituto", ha risposto indirettamente: "Non voglio fare nient'altro che il presidente di Mediobanca". Ribadendo ancora una volta che «nonostante nessuno ci creda, io non ho nessunissima intenzione di diventare vice-presidente ma neppure di entrare nel consiglio di Generali».
E il ritorno al sistema tradizionale - così l'ha spiegato il presidente - non ha nulla a che fare con supposti dissidi tra i due board, bensì con le "criticità nel funzionamento del duale" emerse in seguito alle norme emanate l'8 marzo scorso. "Norme - sostiene Geronzi (senza per altro mai citare la Banca d'Italia autrice del regolamento) - intervenute per mutare la natura del consiglio di sorveglianza, diventato una sorta di collegio sindacale allargato, senza averne i poteri". Con la conseguenza, a suo dire, di attribuire responsabilità all'organo di sorveglianza che i consiglieri non erano disposti ad assumersi. "Così abbiamo discusso di modificare la governance. Poi - ha spiegato ancora Geronzi - ci siamo detti: chiudiamo subito perchè altri problemi incombono e dobbiamo essere uniti. E' un atto di responsabilità, che ci conduce a un governo migliore".
Una ricostruzione che non ha evitato il no dei fondi esteri, presenti con circa il 2% del capitale, alla svolta. "Gran parte dei fondi esteri voterà contro e non appoggerà la lista dei consiglieri della maggioranza - ha dichiarato l'avvocato Dario Trevisan, che aveva le deleghe degli investitori internazionali per 17 milioni di azioni - Gli scopi perseguiti non sono chiari e il numero degli amministratori indipendenti non è adeguato".
Per il no si è schierato anche il fondo Hermes (0,03%), dal momento che, ha spiegato il suo rappresentante, "il sistema tradizionale comporta potenziali conflitti d'interesse che limiteranno l'autonomia del management. Un consiglio a 23 membri è eccessivo e c'è forte disappunto per il fatto che solo un posto sia riservato alle minoranze".
Se il clou della seduta è stato il cambio di governance, c'è stato spazio comunque per discutere anche di altri argomenti. Nagel ha sottolineato la solidità della banca che vanta un core iter superiore al 10%, ammettendo però che il contesto è difficile e che per il futuro la politica dei dividendi potrà essere rimodulata privilegiando la patrimonializzazione. Su Telco, il presidente del consiglio di gestione uscente, il direttore generale Renato Pagliaro, ha spiegato che Mediobanca ha apportato i titoli Telecom che aveva in portafoglio per una soluzione che evitasse la vendita ad AT&T e ai messicani non per questioni di italianità, ma per un'operazione ritenuta "opportuna in un'ottica di sviluppo della società".
Da segnalare infine che il "settimo uomo" del comitato nomine per le sedute consultative sarà il consigliere indipendente Roberto Bertazzoni.
Con un programma condensato in uno slogan: «Contribuire, insieme alle altre grandi banche, alla ripresa economica del Paese». Che non significa che Mediobanca smetterà di fare la banca d'affari nell'ottica selettiva che finora l'ha contraddistinta, nè che sarà più sensibile ai richiami della politica, come ha fatto capire l'ad Alberto Nagel. Da parte sua Nagel ha parlato di «un modello innovativo basato sul tradizionale, ma con molti elementi del dualistico».
E Geronzi, a chi chiedeva se la svolta nella governance fosse stata per caso suggerita dal desiderio di partecipare alla gestione da parte di chi era chiamato a sorvegliarla e a chi adombrava "tentativi di assoggettare il management a interessi soggettivi e particolari disallineati da quelli dell'istituto", ha risposto indirettamente: "Non voglio fare nient'altro che il presidente di Mediobanca". Ribadendo ancora una volta che «nonostante nessuno ci creda, io non ho nessunissima intenzione di diventare vice-presidente ma neppure di entrare nel consiglio di Generali».
E il ritorno al sistema tradizionale - così l'ha spiegato il presidente - non ha nulla a che fare con supposti dissidi tra i due board, bensì con le "criticità nel funzionamento del duale" emerse in seguito alle norme emanate l'8 marzo scorso. "Norme - sostiene Geronzi (senza per altro mai citare la Banca d'Italia autrice del regolamento) - intervenute per mutare la natura del consiglio di sorveglianza, diventato una sorta di collegio sindacale allargato, senza averne i poteri". Con la conseguenza, a suo dire, di attribuire responsabilità all'organo di sorveglianza che i consiglieri non erano disposti ad assumersi. "Così abbiamo discusso di modificare la governance. Poi - ha spiegato ancora Geronzi - ci siamo detti: chiudiamo subito perchè altri problemi incombono e dobbiamo essere uniti. E' un atto di responsabilità, che ci conduce a un governo migliore".
Una ricostruzione che non ha evitato il no dei fondi esteri, presenti con circa il 2% del capitale, alla svolta. "Gran parte dei fondi esteri voterà contro e non appoggerà la lista dei consiglieri della maggioranza - ha dichiarato l'avvocato Dario Trevisan, che aveva le deleghe degli investitori internazionali per 17 milioni di azioni - Gli scopi perseguiti non sono chiari e il numero degli amministratori indipendenti non è adeguato".
Per il no si è schierato anche il fondo Hermes (0,03%), dal momento che, ha spiegato il suo rappresentante, "il sistema tradizionale comporta potenziali conflitti d'interesse che limiteranno l'autonomia del management. Un consiglio a 23 membri è eccessivo e c'è forte disappunto per il fatto che solo un posto sia riservato alle minoranze".
Se il clou della seduta è stato il cambio di governance, c'è stato spazio comunque per discutere anche di altri argomenti. Nagel ha sottolineato la solidità della banca che vanta un core iter superiore al 10%, ammettendo però che il contesto è difficile e che per il futuro la politica dei dividendi potrà essere rimodulata privilegiando la patrimonializzazione. Su Telco, il presidente del consiglio di gestione uscente, il direttore generale Renato Pagliaro, ha spiegato che Mediobanca ha apportato i titoli Telecom che aveva in portafoglio per una soluzione che evitasse la vendita ad AT&T e ai messicani non per questioni di italianità, ma per un'operazione ritenuta "opportuna in un'ottica di sviluppo della società".
Da segnalare infine che il "settimo uomo" del comitato nomine per le sedute consultative sarà il consigliere indipendente Roberto Bertazzoni.