Geronzi: "Bene Tremonti sulla Robin tax"

Il Messaggero

Cesare Geronzi a tutto campo. Come non era mai avvenuto prima. Davanti a un'affollata platea di studenti in un incontro organizzato dall'osservatorio giovani editori - in prima fila anche alcuni nomi noti della finanza

FIRENZE - Cesare Geronzi a tutto campo. Come non era mai avvenuto prima. Davanti a un'affollata platea di studenti in un incontro organizzato dall'osservatorio giovani editori - in prima fila anche alcuni nomi noti della finanza (Sergio Balbinot, Rainer Masera, Massimo Pini) - il presidente del consiglio di sorveglianza di Mediobanca ha risposto su tutto: dalla politica alle fusioni di cui è il pioniere, da Mario Draghi al caro-petrolio, dal confronto banche-clienti fino ai rapporti con Giovanni Bazoli. Prima incalzato dalle domande di Giulio Anselmi, direttore de La Stampa, poi da quelle degli studenti. Il padrone di casa Andrea Ceccherini, con eloquio fluido, introducendo la serata si è rivolto ai giovani: «Per chi è ancora fuori dalla società, occorrono regole chiare di ingresso e quale, se non la meritocrazia, può essenre una? Quella meritocrazia dove contano le performance e i risultati che dai. Quella meritocrazia che riconosce solo la conoscenza e non le conoscenze». Il banchiere romano ha colto la palla al balzo: i giovani «devono battere i piedi quando è necessario, approfondire ciò che accade intorno, essere più curiosi e soprattutto riflettere su cosa potete fare di più per il vostro futuro e per la società».
Richiamato ai temi concreti, Geronzi ha riconosciuto che Giulio Tremonti «fa bene» a eliminare «le discrasie» sull'andamento dei prezzi del petrolio, approvando quindi la Robin Hood tax. In un contesto dove «i problemi della crisi finanziaria non sono finiti», perché «avremo ripercussioni durante l'anno in corso». Geronzi non crede «che il governatore di Banca d'Italia sia stato ottimista» nelle Considerazioni finali di sabato scorso. «E' stato molto prudente, senza prendere partito e ha fatto bene, ha suscitato il dibattito che appartiene agli altri». Da parte dei banchieri «c'è prudenza oggi, possiamo dire che siano orgogliosi che le banche italiane abbiano tenuto botta». Quello italiano è per Geronzi «il miglior sistema bancario degli ultimi 10 anni». E il banchiere partendo dalla riforma degli statuti voluta da Andreatta, preliminare al «disboscamento della foresta pietrificata per dirla come Amato», ripercorre le tappe che hanno portato «la piccola Cassa di Roma» a promuovere un processo di consolidamento «prendendo sul letto di morte la Cassa molisana, la Banca mediterranea, il Banco di S.Spirito e il Banco di Roma: queste banche non avrebbero avuto vita». Poi l'autocritica. «Ci prendiamo la colpa di essere stati distratti nel rapporto coi clienti. Il sistema non ha meditato sui danni reputazionali che derivano dal malessere del consumatore. Nella ristsutturazione del sistema è mancato un seguito: non abbiamo saputo vedere bene come la conservazione della clientela fosse un bene assoluto». Geronzi approva l'accordo Governo-Abi sui mutui: «E' un fatto positivo, certamente non è un atto di ripagamento immediato a quello che la demagogia chiama maltolto, certo dal giorno successivo all'accordo, tutti hanno qualcosa in più da spendere». Il banchiere allarga il suo realismo. «Non ci sono motivazioni» dice riprendendo una delle sollecitazioni di Draghi, «nel sostenere le commissioni di massimo scoperto: è necessario ripensarle». C'è nel Geronzi-pensiero un mix di realismo e compiacimento. Quando a una domanda sulle retribuzioni dei top manager troppo alte, replica: «la mia è molto più bassa di quella di molti colleghi, non ho mai voluto appartenere alla categoria dei destinatari di stock option», solo «perché ho sempre ritenuto che una persona deve avere indipendenza di giudizio e tornaconto al momento di prendere una decisione». Il rapporto con la politica? «Non mi raffiguro con Belzebù, ma non perché non voglio essere paragonato ad Andreotti, solo perché non ho fatto banca e politica». Verso la fine del confronto, le domande si fanno incalzanti. Il futuro di Telecom? «Ho aspettative positive. La situazione è complessa, ci sono state situazioni anomale non incidentali che hanno creato problemi che non hanno avuto a che vedere con l'azienda. Ho grande apprezzamento per Tronchetti, ora c'è un management nuovo e capace: è il momento del riordino e il primo segnale di contenimento dei costi, è un fatto positivo immaginare l'uscita di 5 mila dipendenti».
Geronzi e Bazoli sono duellanti essendo uomini di potere? «Niente di più inverosimile. Ci conosciamo da anni» afferma sicuro, «abbiamo avuto valutazioni diverse ma sempre abbiamo fatto prevalere buon senso e saggezza di chi ha il dovere di essere saggio». A proposito del «disappunto» di Bazoli dopo la fusione Unicredit-Capitalia sulla filiera Mediobanca-Generali-Rcs, il banchiere è efficace: «Abbiamo avuto dialoghi, poi ci siamo accorti che i fatti servono più delle parole. I fatti si sono veficati, lui ha verificato la mia indipendenza e l'assoluta non volontà dell'a.d. di Unicredit di attuare prevaricazioni. Questo ha rinsaldato ancora di più il nostro rapporto». Dulcis in fundo le sue vicende giudiziarie. Geronzi risponde sereno: «Se vivessimo in un paese nel quale le responsabilità si accompagnano alle funzioni esercitate, le mie vicende giudiziarie non esisterebbero. Ognuno deve portare la sua croce, se quella che mi è stata destinata è questa me la tengo stretta, perché altre croci fanno male».