Le fondazioni, le banche, l'armi e gli amori
Il Riformista
RISIKO.Dall'incontro di ieri alla giornata mondiale del risparmio arrivano indicazioni sulla crisi finanziaria ed economica e su come il sistema bancario la fronteggerà: il presidente della fondaziorie Cariplo e capo dell'Acri, Giuseppe Guzzetti ha confermato che le istituzioni finanziarie da lui guidate difenderanno il loro ruolo nelle banche - dove sono disponibili a sostenere la patrimonializzazione come hanno fatto in Unicredit - e nella Cassa Depositi e Prestiti
Il provvedimento di intervento pubblico sulle banche non c'è ancora. Il governo lo sta mettendo a punto con la Banca d'Italia e con gli istituti finanziari. Sono ogni giorno più insistenti le voci di una dialettica in corso tra il ministro dell'Economia Giulio Tremonti e il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi. Ieri in occasione della Giornata del risparmio, i due si sono incontrati all'appuntamento organizzato dalle fondazioni bancarie. Draghi ha suggerito al Tesoro una linea più elastica in politica economica, e di non restare rigidamente vincolati ai parametri del patto di stabilità: un altro rovesciamento delle posizioni di partenza a cui assistiamo in questi tempi di crisi. Tremonti ha parlato di capitalismo etico.
Dalla giornata del risparmio arriva un forte segnale da parte dell'Acri. Il leader delle fondazioni bancarie, Giuseppe Guzzetti, dice che saranno pronte a fare la loro pane a sostegno dell'economia reale. Sul fronte della Cdp -ha detto Guzzetti - arriveranno delle novità per dare una mano privata a quella pubblica nella realizazzione di insfrastrutture, edilizia sociale e programmi di ricerca.
Sembra un punto a favore del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, che con Guzzetti dopo una lunga stagione di battaglia, nella scorsa legislatura di govemo, ha stabilito un solido rapporto. Tremonti è un leader divisivo, millenarista e apocalittico. Però ha una visione e sa come fissarla in una forma di carnalità politica. Mentre è in fase di preparazione il provvedimento del governo di sostegno al credito, ieri è intervenuto davanti a una platea di banchieri ospiti dell'associazione delle fondazioni e delle casse di risparmio guidate da Guzzetti. Ha ripetuto le cose che dice negli ultimi mesi. La causa remota della crisi internazionale, di base, risiede nell'incapacità dell'occidente di governare il processo di globalizzazione. In questa situazione si è sviluppata una degenerazione di capitalismo postmoderno (definizione interessante, visto che lui stesso è molto postmoderno).
Tremonti osserva tre caratteristiche specifiche: il capitalismo è entrato in una fase di anomia, cioè si è sviluppato in una condizione di assenza di rapporto tra norma e mercato. Qui la posizione di Tremonti e allineata a quella di un liberalisrno alla Mises: il mercato per essere tale non può essere selvaggio, ha bisogno di regole. In fondo la crisi finanziaria di questo ultimo anno e mezzo nasce dal fatto che le banche erano sottoposte a regole costruite per business di cui non si occupano più da tempo, sempre più impegnate in attività dirette di investimento e sempre meno in attività per conto dei clienti. Seconda questione: nella nuova economia è venuto meno il rapporto tra fiducia e rischio. Si è teorizzata la funzione sociale della riduzione del rischio attraverso, l'iperfinanziarizzazione dell'economia.
Tremonti non crede in questa funzione sociale. Del reso, molti osservatori notano da mesi che la crisi finanziaria ha colpito duramente un'aspettativa della cultura liberale, perchè gli effetti democratici della finanza (cioè una casa per tutti, con i mutui resi accessibili dai tassi prossimi a zero) incontrano un limite: per fare un acquisto è necessaria una quota di risparmio. Terzo punto: il nuovo capitalismo ha fatto prevalere il conto economico - fatto di prezzi, dice Tremonti -sul conto patrimoniale, fatto di valori. Questo terzo punto è il meno convincente, perché nel richiamo ai valori c'è sempre qualcosa di ideologico.
L'ideologismo tremontiano ieri è calato solo per un quarto d'ora sulla platea, poi siccome il programma ha subito una variazione, il ministro dell'Economia se n'é andato immediatamente e ha lasciato la parola al governatore della Banca d'Italia, portatore di un'altra visione.
Draghi che avrebbe dovuto parlare prima di Tremonti ha seguito la traccia scritta del suo intemento senza fare modiche. C'erano due osservazioni nei confironti delle scelte Tesoro. La prima -è una vecchia polemica - riguarda i mutui: secondo Draghi l'accordo sulla rinegoziazione tra Tesoro e Abi non funziona. La seconda è più sostanziale; Draghi, che è stato uno dei sostenitori del rigorismo europeo ai tempi dell'ingresso nella moneta unica, oggi suggerisce a Tremonti di non vincolare l'economia alla rigida applicazione dei parametri: "occorre innazitutto evitare che la crisi si traduca in una severa contrazione dei flussi di credito d'economia reale; in secondo luogo, è necessario attivare efficaci politiche di sostegno che contrastino le tendenze recessive in atto. A questa esigenza potrà rispondere una politica di bilancio che faccia uso della flessibilità permessa dal Trattato e dal Patto di stabilita e crescita".
Dunque le parti si invertono: Tremonti che era stato uno degli artefici dello smantellamento del Patto stupido, oggi lo usa come un vincolo, e viene scavalcato su una posizione più elastica da Draghi. Secondo gli osservatori, questa dialettica cela un irrigidimento delle posizioni tra i due.Tremonti sin dall'inizio di questo terzo mandato da ministro dell'Economia ha attaccato Draghi.
Lo ha fatto apertarmente, contestando le ricette del Financial Stability Forum, che minimizzava gli effetti della crisi.
Forte del risultato psicologico dell'averla prevista (ancorché preoccupato dal fatto di doverla gestire da ministro) ha continuato a marcare stretto Draghi, considerato il simbolo della classe tecnocratica da ridimensionare per ristabilire il primato della politica. Draghi finora ha cercato di schivarlo, ma questa fase è decisiva. In questi giorni mentre si mette a punto l'investimento del Tesoro sulle banche, Draghi cerca di condizionare l'esito della partita, per limitare la discrezionalità del Tesoro. Entrambi vogliono ottenere la massima efficienza possibile delle banche e la massima collaborazione del sistema finanziario in una fase di incipiente recessione. Ma entrambi cercano di far prevalere la loro leadership sul sistema.
Sullo sfondo di questo scontro, se ne giocano molti altri e ciascuno dei protagonisti ha i suoi obiettivi che devono combinarsi con quelli degli altri. Alessandro Profumo cerca di uscire dall'isolamento in cui si è infilato nella gestione della crisi della sua banca in fase di ripatrimonializzazione.
Giovanni Bazoli deve cercare di riacquistare una centralità, perduta con la fine del governo Prodi e con l'arrivo di Cesare Geronzi a Milano alla guida di Mediobanca. Geronzi e Guzzetti cercano di dare la loro stabilità al sistema. Corrado Passera, prova in questa fase di rimescolamento a rafforzare la sua identità di banchiere erede delle tradizione della generazione precedente. Il resto del sistema aspetta. Aspetta Fabio Innocenzi capo della Banca Popolare, la banca considerata la più in difficoltà. Aspetta Giuseppe Mussari, che deve assorbire l'acquisto di banca Antonveneta.
Dalla giornata del risparmio arriva un forte segnale da parte dell'Acri. Il leader delle fondazioni bancarie, Giuseppe Guzzetti, dice che saranno pronte a fare la loro pane a sostegno dell'economia reale. Sul fronte della Cdp -ha detto Guzzetti - arriveranno delle novità per dare una mano privata a quella pubblica nella realizazzione di insfrastrutture, edilizia sociale e programmi di ricerca.
Sembra un punto a favore del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, che con Guzzetti dopo una lunga stagione di battaglia, nella scorsa legislatura di govemo, ha stabilito un solido rapporto. Tremonti è un leader divisivo, millenarista e apocalittico. Però ha una visione e sa come fissarla in una forma di carnalità politica. Mentre è in fase di preparazione il provvedimento del governo di sostegno al credito, ieri è intervenuto davanti a una platea di banchieri ospiti dell'associazione delle fondazioni e delle casse di risparmio guidate da Guzzetti. Ha ripetuto le cose che dice negli ultimi mesi. La causa remota della crisi internazionale, di base, risiede nell'incapacità dell'occidente di governare il processo di globalizzazione. In questa situazione si è sviluppata una degenerazione di capitalismo postmoderno (definizione interessante, visto che lui stesso è molto postmoderno).
Tremonti osserva tre caratteristiche specifiche: il capitalismo è entrato in una fase di anomia, cioè si è sviluppato in una condizione di assenza di rapporto tra norma e mercato. Qui la posizione di Tremonti e allineata a quella di un liberalisrno alla Mises: il mercato per essere tale non può essere selvaggio, ha bisogno di regole. In fondo la crisi finanziaria di questo ultimo anno e mezzo nasce dal fatto che le banche erano sottoposte a regole costruite per business di cui non si occupano più da tempo, sempre più impegnate in attività dirette di investimento e sempre meno in attività per conto dei clienti. Seconda questione: nella nuova economia è venuto meno il rapporto tra fiducia e rischio. Si è teorizzata la funzione sociale della riduzione del rischio attraverso, l'iperfinanziarizzazione dell'economia.
Tremonti non crede in questa funzione sociale. Del reso, molti osservatori notano da mesi che la crisi finanziaria ha colpito duramente un'aspettativa della cultura liberale, perchè gli effetti democratici della finanza (cioè una casa per tutti, con i mutui resi accessibili dai tassi prossimi a zero) incontrano un limite: per fare un acquisto è necessaria una quota di risparmio. Terzo punto: il nuovo capitalismo ha fatto prevalere il conto economico - fatto di prezzi, dice Tremonti -sul conto patrimoniale, fatto di valori. Questo terzo punto è il meno convincente, perché nel richiamo ai valori c'è sempre qualcosa di ideologico.
L'ideologismo tremontiano ieri è calato solo per un quarto d'ora sulla platea, poi siccome il programma ha subito una variazione, il ministro dell'Economia se n'é andato immediatamente e ha lasciato la parola al governatore della Banca d'Italia, portatore di un'altra visione.
Draghi che avrebbe dovuto parlare prima di Tremonti ha seguito la traccia scritta del suo intemento senza fare modiche. C'erano due osservazioni nei confironti delle scelte Tesoro. La prima -è una vecchia polemica - riguarda i mutui: secondo Draghi l'accordo sulla rinegoziazione tra Tesoro e Abi non funziona. La seconda è più sostanziale; Draghi, che è stato uno dei sostenitori del rigorismo europeo ai tempi dell'ingresso nella moneta unica, oggi suggerisce a Tremonti di non vincolare l'economia alla rigida applicazione dei parametri: "occorre innazitutto evitare che la crisi si traduca in una severa contrazione dei flussi di credito d'economia reale; in secondo luogo, è necessario attivare efficaci politiche di sostegno che contrastino le tendenze recessive in atto. A questa esigenza potrà rispondere una politica di bilancio che faccia uso della flessibilità permessa dal Trattato e dal Patto di stabilita e crescita".
Dunque le parti si invertono: Tremonti che era stato uno degli artefici dello smantellamento del Patto stupido, oggi lo usa come un vincolo, e viene scavalcato su una posizione più elastica da Draghi. Secondo gli osservatori, questa dialettica cela un irrigidimento delle posizioni tra i due.Tremonti sin dall'inizio di questo terzo mandato da ministro dell'Economia ha attaccato Draghi.
Lo ha fatto apertarmente, contestando le ricette del Financial Stability Forum, che minimizzava gli effetti della crisi.
Forte del risultato psicologico dell'averla prevista (ancorché preoccupato dal fatto di doverla gestire da ministro) ha continuato a marcare stretto Draghi, considerato il simbolo della classe tecnocratica da ridimensionare per ristabilire il primato della politica. Draghi finora ha cercato di schivarlo, ma questa fase è decisiva. In questi giorni mentre si mette a punto l'investimento del Tesoro sulle banche, Draghi cerca di condizionare l'esito della partita, per limitare la discrezionalità del Tesoro. Entrambi vogliono ottenere la massima efficienza possibile delle banche e la massima collaborazione del sistema finanziario in una fase di incipiente recessione. Ma entrambi cercano di far prevalere la loro leadership sul sistema.
Sullo sfondo di questo scontro, se ne giocano molti altri e ciascuno dei protagonisti ha i suoi obiettivi che devono combinarsi con quelli degli altri. Alessandro Profumo cerca di uscire dall'isolamento in cui si è infilato nella gestione della crisi della sua banca in fase di ripatrimonializzazione.
Giovanni Bazoli deve cercare di riacquistare una centralità, perduta con la fine del governo Prodi e con l'arrivo di Cesare Geronzi a Milano alla guida di Mediobanca. Geronzi e Guzzetti cercano di dare la loro stabilità al sistema. Corrado Passera, prova in questa fase di rimescolamento a rafforzare la sua identità di banchiere erede delle tradizione della generazione precedente. Il resto del sistema aspetta. Aspetta Fabio Innocenzi capo della Banca Popolare, la banca considerata la più in difficoltà. Aspetta Giuseppe Mussari, che deve assorbire l'acquisto di banca Antonveneta.