Sede legale a Roma e tre marchi retail ecco il piano industriale del colosso

La Repubblica

Al nord sportelli targati Unicredit, al centro sud Banca Roma e Banco Sicilia nell'isola

ROMA — La cosa più difficile non è stata la preparazione del piano industriale ma la parte che riguarda il cosiddetto, famoso e famigerato "potere". Capitalia ha un peso nel sistema superiore alla sua dimensione proprio grazie a questa componente, coltivata con abilità e astuzia sopraffina dal suo presidente Cesare Geronzi, ed era questo il nodo davvero delicato da sciogliere, quello che per tanto tempo ha tenuto Alessandro Profumo, che invece questa parte del lavoro l'ama meno e a maneggiarla non si sente a suo agio, lontano dal dossier romano. La soluzione trovata è già nota. Dopo la fusione Unicredit cederà metà delle azioni Mediobanca che ha in portafoglio, mantenendo così immutato il suo peso nell'istituto di Piazzetta Cuccia, e indirettamente nelle sue partecipate.
Cesare Geronzi ha accettato di assumere la carica di vicepresidente vicario di Unicredit con la delega alle quattro partecipazioni che Capitalia porta in dote: Mediobanca, Generali (una partecipazione destinata ad estinguersi con la conversione delle obbligazioni convertibili che i due istituti hanno emesso negli anni scorsi), il 2 per cento di Rcs e le quote in Pirelli e Camfin. È inteso che appena Mediobanca varerà il modello duale per la sua governance, Geronzi andrà a fare il presidente del consiglio di sorveglianza. L'amministratore delegato di Capitalia Matteo Arpe è stato sin dall'inizio favorevole all'operazione ma estraneo ai suoi sviluppi, e ieri ha confermato che non farà parte del progetto. Risolto in questo modo il problema del potere si è passati ad affrontare il piano industriale vero e proprio, al quale hanno lavorato silenziosamente nelle ultime settimane Claudio Costamagna, chiamato da Cesare Geronzi a fargli da advisor, e un ristretto gruppo di uomini del vertice di Unicredit. Il documento che lo contiene, e sul quale domenica i consiglieri di amministrazione delle due banche dovranno esprimersi, è relativamente semplice perché riesce a garantire il pieno mantenimento della struttura divisionale di Unicredit senza che, per ottenere questo risultato, si debba ridisegnare da cima a fondo la struttura del gruppo Capitalia. Lo schema è questo: Capitalia si fonde in Unicredit e apporta direttamente le attività di banca d'impresa e di merchant banking che venivano svolte quasi interamente dalla holding. Le attività di asset gathering di raccolta del risparmio e di promozione finanziaria, verrà concentrata tutta in Fineco, che è un gioiellino del settore. Per quanto riguarda il retail, la scelta è stata di utilizzare i tre marchi più forti del nuovo gruppo dividendo tra di essi il territorio nazionale.
Nel Nord ci sarà Unicredit Banca, nella quale sarà fusa la Bipop e che assorbirà tutte le filiali che Banca di Roma ha nelle regioni settentrionali. Nel centro e nel sud ci sarà Banca di Roma, che assorbirà le filiali che Unicredit ha nelle regioni di sua competenza, passando così dalle attuali 1.100 a 1.500. In Sicilia opererà invece il Banco di Sicilia, che assorbirà tutte le filiali del gruppo nel territorio regionale. Il Banco di Sicilia conserverà fuori regione solo le filiali di Roma e di Milano, e il Banco di Roma, fuori dall'area di sua competenza, solo quella di Milano.
Infine Unicredit si rafforzerà in un settore dove oggi è debole, quello del finanziamento agli enti e alle infrastrutture, ruolo affidato al Mediocredito Centrale. Roma non perderà la sede della banca retail per il centro sud, né il Mediocredito Centrale, ma in più diventerà la sede legale di tutto il gruppo. Relativamente semplice, quindi, e in grado di accontentare tutti i principali stakeholders, quelli romani e quelli siciliani soprattutto, che non potranno lamentare la perdita di centri direzionali. I consigli di domenica non dovrebbero riservare sorprese.