Geronzi e Profumo, la strana coppia

L'Unità

Il banchiere bipartisan alla fine incontrò anche il mercato.

POTERE «Avvocato, io di tassi non so nulla, io comando!». In queste parole sta l'essenza, la carriera, la filosofia d'impresa e il rapporto con il potere di Cesare Geronzi, l'uomo che da funzionario della Banca d'Italia ha scalato il mondo della finanza italiana offrendo stampelle economiche, appoggi politici, muovendosi come nessun altro banchiere.
Una dote che a breve, quando la fusione con Unicredit sarà operativa, gli permetterà di coronare il sogno di una vita: la presidenza di Mediobanca e il ruolo di mediatore tra le molteplici anime della più importante banca d'affari italiana. La frase citata in apertura non è famosa. Anzi, in pochi la conoscono. Geronzi l'ha pronunciata il 24 aprile scorso, quindi non molto tempo fa il banchiere l'ha data, in qualità di testimone, in risposta a una domanda dell'avvocato Antonio Tanza, che nel procedimento rappresenta il gruppo industriale calabrese De Masi, sugli alti costi del denaro praticati da Banca di Roma, oggi Capitalia.
Il processo è quello che si sta svolgendo a Palmi in Calabria e che vede coinvolte anche altre cinque banche, tutte a giudizio per usura. Di Palmi nessuno parla, della presenza di Geronzi neanche.
Nella carriera di Geronzi intralci del genere non sono stati infrequenti. Eppure il banchiere è riuscito a rimanere in sella lo stesso. Non sono bastati neppure due interdizioni dai pubblici uffici (una nel febbraio dell'anno scorso nell'ambito del procedimento relativo Parmatur e Ciappazzi, la seconda lo scorso dicembre a seguito della condanna di primo grado per l'affare Bagaglino Italcase).
In entrambi i casi nessuno ha avuto la forza di spostarlo. Né l'amministratore delegato Matteo Arpe, né i calvinisti soci olandesi dell'Abn Amro. E dire poi che Geronzi ha anche sulle spalle un rinvio a giudizio per il crac Parmalat e una richiesta di rinvio a giudizio per il crac Cirio. Accuse che sulle spalle di qualsiasi altro banchiere europeo o americano avrebbero di fatto chiuso la carriera. Non in Italia, però.
Dove gli scandali finanziari di Cirio e Parmalat saranno annacquati con il patteggiamento, nella migliore delle ipotesi, o con una riforma legislativa sulla bancarotta, in quella peggiore. Geronzi può quindi dormire sonni tranquilli. E assaporare il gusto di una vittoria che parte da lontano. Nato a Marino (Roma) nel 1935, la carriera di Geronzi inizia in Banca d'Italia come funzionario al servizio studi e rapporti con l'estero. Un ruolo che gli è andato stretto. Da via Nazionale si è trasferito alla Banca di Roma come direttore generale e a partire dal 1995 ne è diventato presidente.
E con questo ruolo Geronzi è stato protagonista di tutte le vicende che hanno consolidato l'istituto romano come terzo polo bancario, almeno fino a ieri. Non solo ha guidato la privatizzazione della Banca di Roma, nata  all'aggregazione dei tre istituti storici della Capitale (Cassa di Risparmio di Roma/Banco di Roma e Banco di Santo Spirito), ma ha anche promosso la sua trasformazione; (scuola Mediobanca) come guida operativa. Una carriera costruita anche su solidi rapporti politici. Bipartisan, come si ama dire oggi, trasversali, come si sarebbe detto un tempo. È stato grande elettore di Forza Italia, Berlusconi battezzò la sua banca come «arnica», Geronzi ha preso parte al risanamento e allo sbarco in Borsa di Mediaset, che rischiava la bancarotta. E ha dato una mano a garantire l'esposizione dei Ds. Trasversale in politica (il suo avvocato è il senatore Ds Guido Calvi) e negli affari (siede nel patto Rcs e in quello Generali), Geronzi ha anche buttato un occhio al calcio. I tifosi di Roma dovrebbero erigergli un monumento. È stata la banca di Geronzi che convertì 35 milioni di debiti in azioni, acquisendo parte del patrimonio dei Sensi pur di salvare dal fallimento la squadra di Totti. Anche Lazio e Perugia dovrebbero un sentito "grazie". Per un certo periodo sono state in mano alla banca romana che ne ha garantito mezzi e sopravvivenza. Forse anche perché sua figlia Chiara, giornalista del Tg5, è stata una delle fondatrici della Gea, la società che aveva in mano una larga fetta del calcio italiano.