Cesare e Alessandro su Rcs già si dividono
La Stampa
Il futuro del 2% in Rcs? Alessandro Profumo e Cesare Geronzi hanno appena passato la prima notte di fidanzamento e già sembrano avere due visioni contrapposte sul tema. L'ad di Unicredit spiega chiaramente agli analisti che «tutte le partecipazioni che non rientrano nel core business verranno cedute», inclusa - è lecito presumere - quella nel gruppo editoriale che edita il Corriere della Sera.
Il futuro del 2% in Rcs? Alessandro Profumo e Cesare Geronzi hanno appena passato la prima notte di fidanzamento e già sembrano avere due visioni contrapposte sul tema. L'ad di Unicredit spiega chiaramente agli analisti che «tutte le partecipazioni che non rientrano nel core business verranno cedute», inclusa - è lecito presumere - quella nel gruppo editoriale che edita il Corriere della Sera. Il futuro vicepresidente vicario con delega alle partecipazioni la pensa invece in tutt'altro modo: dottor Geronzi la partecipazione in Rcs verrà venduta? «Chi lo dice? non mi pare che ci siano problemi su Rcs. In un patto al 63% il 2% è zero».
Insomma, su quel 2% di via Rizzoli e del Corriere della Sera - poca cosa in termini finanziari, circa 60 milioni di euro, ma partecipazione assai sensibile dal punto di vista politico - l'intesa Geronzi-Profumo mostra già qualche incrinatura.
Naturale, del resto, che accada proprio per Rcs: Geronzi vi entrò con un blitz nell'estate 2004 mentre si risistemava l'azionariato per l'uscita dei Romiti, mentre Profumo faceva sapere nelle stesse ore di aver sdegnosamente rifiutato una simile opportunità. A luglio di quell'anno, addirittura, l'ad di Unicredit si dimise dal consiglio di Rcs quotidiani per sottolineare la sua distanza dai banchieri che scoprivano improvvise passioni editoriali e poi vendette uno 0,95% della società editoriale che aveva in portafoglio.
Ma forse non ci sarà nemmeno bisogno che le posizioni si riconcilino: se davvero - come appare sempre più probabile - Geronzi andrà al vertice di Mediobanca lasciando, come annunciato, la vicepresidenza di Capitalia, lui e Profumo non si troveranno a lavorare nemmeno un giorno assieme.
Su Rcs, comunque, uno spunto - anzi più di uno spunto - arriva sempre ieri dal presidente di Capitalia nell'incontro con gli analisti. Geronzi, investito del ruolo di gestore delle partecipazioni del gruppo che nascerà, è infatti pronto a lanciare una proposta innovativa: «Sarei felicissimo se tutto si trasformasse in una fondazione e tutti gli azionisti di Rcs apportassero le loro azioni alla fondazione». Un semplice sasso nello stagno? Chi conosce bene il banchiere capitolino sa che non è così. Quando Geronzi parla lo fa con cognizione di causa. Lui stesso ha ricordato che il 7 febbraio tranquillizzò i mercati spiegando che per tre mesi non sarebbe successo nulla ed esattamente tre mesi dopo, ai primi di maggio, Unicredit e Capitalia hanno spinto l'acceleratore sulla loro unione.
Così, sondando tra gli azionisti di Rcs si ha la conferma che il progetto di una fondazione dove «sterilizzare» tutte le quote, sebbene mai portato ufficialmente al patto di sindacato, circola già da tempo, è stato oggetto di riflessioni coordinate dal presidente della Rcs Piergaetano Marchetti e adesso - dopo l'uscita di Geronzi - potrebbe riprendere quota con una qualche insistenza. I vantaggi? In primo luogo quelli di mettere al riparo una volta per tutte il controllo del Corriere, evitando anche esperienze traumatiche come l'impossibile scalata di Stefano Ricucci nel 2005. E anche svincolare Mediobanca dal possesso diretto del 14% di Rcs aumenterebbe la libertà di manovra della stessa banca e dei suoi soci - compresa appunto Unicredit-Capitalia - in eventuali alleanze internazionali, magari con soggetti che non comprendono l'italica commistione banca-editoria.
Ma, detto questo, molte sono le questioni tecniche che resterebbero da sciogliere: si potrebbe pensare a una Fondazione che controlli il solo Corriere o l'intera Rcs? E perché i soci attuali - quelli aderenti al patto o addirittura la totalità degli azionisti - dovrebbero accettare l'onere economico di conferire le loro quote a un soggetto come una Fondazione? E a monte di tutto resta anche una questione «politica». Nell'azionariato del Corriere della Sera c'è Intesa-Sanpaolo che pesa per il 5%, ma che vede anche un ruolo del suo presidente Giovanni Bazoli come garante degli equilibri del Corriere. E ingressi recenti come quello dell'imprenditore delle cliniche lombarde Giuseppe Rotelli, con oltre il 7% di Rcs fuori dal patto, rafforzano indirettamente peso e ruolo del Professore. Difficile pensare che Bazoli - di questi tempi assai critico sulle mosse di Profumo e Geronzi - lasci via libera ai «desiderata» del prossimo presidente di Mediobanca.
Insomma, su quel 2% di via Rizzoli e del Corriere della Sera - poca cosa in termini finanziari, circa 60 milioni di euro, ma partecipazione assai sensibile dal punto di vista politico - l'intesa Geronzi-Profumo mostra già qualche incrinatura.
Naturale, del resto, che accada proprio per Rcs: Geronzi vi entrò con un blitz nell'estate 2004 mentre si risistemava l'azionariato per l'uscita dei Romiti, mentre Profumo faceva sapere nelle stesse ore di aver sdegnosamente rifiutato una simile opportunità. A luglio di quell'anno, addirittura, l'ad di Unicredit si dimise dal consiglio di Rcs quotidiani per sottolineare la sua distanza dai banchieri che scoprivano improvvise passioni editoriali e poi vendette uno 0,95% della società editoriale che aveva in portafoglio.
Ma forse non ci sarà nemmeno bisogno che le posizioni si riconcilino: se davvero - come appare sempre più probabile - Geronzi andrà al vertice di Mediobanca lasciando, come annunciato, la vicepresidenza di Capitalia, lui e Profumo non si troveranno a lavorare nemmeno un giorno assieme.
Su Rcs, comunque, uno spunto - anzi più di uno spunto - arriva sempre ieri dal presidente di Capitalia nell'incontro con gli analisti. Geronzi, investito del ruolo di gestore delle partecipazioni del gruppo che nascerà, è infatti pronto a lanciare una proposta innovativa: «Sarei felicissimo se tutto si trasformasse in una fondazione e tutti gli azionisti di Rcs apportassero le loro azioni alla fondazione». Un semplice sasso nello stagno? Chi conosce bene il banchiere capitolino sa che non è così. Quando Geronzi parla lo fa con cognizione di causa. Lui stesso ha ricordato che il 7 febbraio tranquillizzò i mercati spiegando che per tre mesi non sarebbe successo nulla ed esattamente tre mesi dopo, ai primi di maggio, Unicredit e Capitalia hanno spinto l'acceleratore sulla loro unione.
Così, sondando tra gli azionisti di Rcs si ha la conferma che il progetto di una fondazione dove «sterilizzare» tutte le quote, sebbene mai portato ufficialmente al patto di sindacato, circola già da tempo, è stato oggetto di riflessioni coordinate dal presidente della Rcs Piergaetano Marchetti e adesso - dopo l'uscita di Geronzi - potrebbe riprendere quota con una qualche insistenza. I vantaggi? In primo luogo quelli di mettere al riparo una volta per tutte il controllo del Corriere, evitando anche esperienze traumatiche come l'impossibile scalata di Stefano Ricucci nel 2005. E anche svincolare Mediobanca dal possesso diretto del 14% di Rcs aumenterebbe la libertà di manovra della stessa banca e dei suoi soci - compresa appunto Unicredit-Capitalia - in eventuali alleanze internazionali, magari con soggetti che non comprendono l'italica commistione banca-editoria.
Ma, detto questo, molte sono le questioni tecniche che resterebbero da sciogliere: si potrebbe pensare a una Fondazione che controlli il solo Corriere o l'intera Rcs? E perché i soci attuali - quelli aderenti al patto o addirittura la totalità degli azionisti - dovrebbero accettare l'onere economico di conferire le loro quote a un soggetto come una Fondazione? E a monte di tutto resta anche una questione «politica». Nell'azionariato del Corriere della Sera c'è Intesa-Sanpaolo che pesa per il 5%, ma che vede anche un ruolo del suo presidente Giovanni Bazoli come garante degli equilibri del Corriere. E ingressi recenti come quello dell'imprenditore delle cliniche lombarde Giuseppe Rotelli, con oltre il 7% di Rcs fuori dal patto, rafforzano indirettamente peso e ruolo del Professore. Difficile pensare che Bazoli - di questi tempi assai critico sulle mosse di Profumo e Geronzi - lasci via libera ai «desiderata» del prossimo presidente di Mediobanca.