Unicredit-Capitalia: il mercato s'allarga

Il Foglio

Ad ottobre avremo in Italia una nuova banca leader (la seconda in Europa, la sesta nel mondo). Valore in borsa 100 miliardi di euro, 9200 sportelli totali (5000 in Italia), nascerà da Unicredito e Capitalia

Ad ottobre avremo in Italia una nuova banca leader (la seconda in Europa, la sesta nel mondo) [1] Valore in borsa 100 miliardi di euro, 9200 sportelli totali (5000 in Italia), nascerà da Unicredito e Capitalia. [2] Federico De Rosa: «I marchi resteranno separati: al Centro e al Sud gli sportelli di Piazza Cordusio dovrebbero prendere il nome di Banca di Roma e Banco di Sicilia, mentre al Nord sarebbero le reti di Bipop-Carire e Capitalia a cambiare insegne». [3] Molti parlano di fusione, in realtà dal punto di vista organizzativo «sembra una federazione». [4] Poiché Unicredito capitalizza 80 miliardi e Capitalia 20, il peso del patto di sindacato che governa la banca romana scenderà dal 30 al 6%. [5] Parlare di fusione è perciò «solo un eufemismo», piuttosto assistiamo all'«acquisizione di Capitalia» da parte di Unicredito. [6]

Da un lato l'«Aufsichtsrat», il consiglio di sorveglianza di Deutsche Borse, dall'altro i palazzi romani che contano al di qua ed al di là del Tevere. Francesco Manacorda: «Da una parte il banchiere che sulla giacca si è cucito l'etichetta di "europeo", dall'altra quello che non si è mai levato "il saio di Bankitalia", indossato in anni lontani. Insomma direbbe Tonino Di Pietro "che c'azzeccano" Alessandro  Profumo e Cesare Geronzi?». [7] Bruno Tabacci: «Credo che Unicredit abbia valutato anche che Capitalia è strategicamente collocata in zone importanti per il Paese, e cioè al centro sud. D'altro canto Geronzi non poteva che aggrapparsi al miglior banchiere italiano, e ha compiuto una scelta che gli consente di rimettersi in circuito». [4] Da anni Unicredit ha messo in atto una strategia offensiva con la quale è riuscita a stabilire una presenza molto rilevante sul piano europeo. Mario Deaglio: «Tale strategia è quanto di più vitale sia stato messo in atto dalle banche italiane nel loro complesso e sarebbe veramente un gran peccato se l'acquisizione di Capitalia con il suo carattere tipicamente romano segnasse l'abbandono di una simile enfasi internazionale». [8]

La fusione Intesa-Sanpaolo compiuta ad agosto, si dice, fu dettata dalla politica (o quantomeno rispondeva ai suoi fini). Che dire ora dell'accordo Unicredit-Capitalia? Manacorda: «Che sia stato fortemente voluto dal governo e dalla Banca d'Italia è ben più di una suggestione». [9] Roberta Carlini: «Profumo, oltre che alle primarie dell'Ulivo, ha partecipato al grosso convegno della Fondazione Italiani/Europei che riconciliò il mondo dalemiano con quello della finanza dopo le note vicende dell'era Consorte-Fazio; ma è corteggiatissimo dalla Margherita, e vicino a molti suoi alti esponenti. E oltre tutto ha la testa più in Germania che a Roma. Così, se qualcuno già dà la targa del Pd alla nuova banca (così come naturaliter a quella di Bazoli si è affibbiata la targa prodiana), i giochi paiono in realtà più complicati: non solo perché ancora non si sa cos'è (e chi è) il Pd, ma anche perché non pare proprio che il pallino, in questo momento, ce l'abbia la politica». [10]

Il potere delle banche da tempo è sovraordinato rispetto a quello della politica. Tabacci: «Per esser chiari, che si tratti di un riequilibrio dei diesse rispetto a Prodi è un'ipotesi che lascia il tempo che trova. Piuttosto siamo di fronte all'effetto Draghi: abbiamo un governatore che ridefinendo per sé il ruolo di arbitro ha finito per rendere più ampi gli spazi dell'iniziativa del mercato». [4] Giovanni Pons: «Da qualche mese alcune istituzioni importanti, come per esempio la Banca d'Italia targata Mario Draghi, spingevano perché Capitalia non finisse in mani straniere. Il candidato ideale per muovere su Roma era stato individuato nell'Unicredit di Alessandro Profumo, già cresciuto prepotentemente all'estero». [11] Andrea Greco: «Per mesi il banchiere genovese ha resistito a mezza Italia politica e finanziaria, che gli chiedeva di mettersi l'abito da cerimonia e togliere dall'imbarazzo Capitalia, anello debole del sistema. Ora ha cambiato idea perché le cose sono mutate, sul mercato e in azienda, dopo una stagione che segnerà per sempre il mondo del credito». [12]

Le somme minime necessarie per operare sul mercato finanziario mondiale salgono continuamente mentre i margini tendono a scendere. Deaglio: «Nasce così un'autentica "fame" mondiale di capitali finanziari da impiegare, soprattutto a breve. Le banche tranne alcuni istituti "di nicchia" in grado di offrire servizi personalizzati a determinati territori o categorie di clienti sono quindi sospinte a cercare fusioni, a invadere il territorio altrui così come i barbari venivano sospinti a invadere l'impero romano da altre ondate di barbari di cui sentivano la pressione. I predatori sono costretti a essere predatori per non diventare prede, a mangiare per diventare più grossi ed evitare di essere mangiati. Nella grande battaglia in corso per il controllo dell'olandese Abn Amro i comportamenti aggressivi delle banche spagnole e britanniche sono in definitiva determinati dalla loro paura di essere troppo piccole per resistere a eventuali offerte d'acquisto da parte delle grandi banche degli Stati Uniti che cercano di sfuggire, mediante l'acquisto di grandi banche in altri Paesi, all'eventualità di un rallentamento e forse di una crisi seria, dell'economia del loro Paese. Le banche italiane e di altri Paesi cercano quindi di unirsi prima di tutto per non essere travolte». [13]

«Le fusioni bancarie e il rafforzamento delle istituzioni italiane sono positivi per il Paese: se l'avessimo fatto anni fa avremmo una struttura anche industriale più forte»: così Romano Prodi ha commentato l'operazione Unicredit-Capitalia. [14] Pons: «Nella primavera del 1999, nel bel mezzo dell'Opa su Telecom lanciata da Roberto Colaninno ed Emilio Gnutti, si consumava un primo week end storico per le banche italiane. Protagonista, sempre lui, Alessandro Profumo: con Unicredit annunciava di voler acquisire la Comit mentre da Torino il Sanpaolo cercava l'affondo sulla Banca di Roma». [15] Rosario Dimito: «Le due nozze nel '99 non furono consumate. Si misero di traverso la Banca d'Italia di Antonio Fazio e la Mediobanca di Enrico Cuccia. L'ex governatore si oppose perché né Sanpaolo Imi né Unicredit gli avevano chiesto il via libera preventivo all'assalto di Comit e di Banca di Roma. E anche se glielo avessero chiesto, quasi certamente non sarebbe stato accordato. Via Filodrammatici remò contro perché l'unione di Unicredit-Comit da cui sarebbe nata Eurobanca, avrebbe concentrato in capo a un solo istituto il 18% di Mediobanca: corsi e ricorsi della storia». [16]

La nuova Unicredit parte col 18% di Mediobanca, il 6,35% di Generali, il 2% di Rcs, l'1,5% di Pirelli, il 22,12% di Banca d'Italia, il 19,8% di Borsa italiana spa ecc. La partecipazione in Mediobanca è di gran lunga superiore a quella degli altri soci del patto di sindacato che governa la merchant bank e che è suddiviso tra blocco A (le banche col 22,4%), B (gli industriali italiani col 25,7%) e C (gli stranieri col 9,5%). [17] Le regole del patto prescrivono che se cambia la proprietà di uno degli aderenti si devono redistribuire le azioni all'interno del gruppo di appartenenza. Ma se la redistribuzione nel gruppo B è regolamentata, non è la stessa cosa in caso di rimpasto tra le banche: Rosario Dimito: «C'è chi, come Profumo e il management, sembra voglia far posto in parte alle fondazioni Crt, Cariverona e a Perseo, finanziaria di cui la Crt ha il 49%, per mantenere inalterato il peso delle banche e in parte favorire gli attuali soci. Sullo sfondo ci sono poi i dubbi di Giovanni Bazoli che teme si alterino gli equilibri delle Generali». [16]

Mediobanca è ancora, soprattutto grazie al suo legame speciale con Generali e alla sua presenza in molte altre società di primo piano, l'asse portante della finanza italiana. [18] Paola Pica: «Presieduta da Gabriele Galateri, e guidata da Alberto Nagel e Renato Pagliaro, ha spinto in questi anni sull'acceleratore del cambiamento e dell'indipendenza. Con l'obiettivo, in buona parte già raggiunto, di affermarsi sul mercato con il ruolo di dealer nazionale e non solo. Negli ultimi tre mesi, Piazzetta Cuccia ha inanellato, una dopo l'altra, pur con ruoli diversi, le tre principali operazioni italiane con partner stranieri: l'ingresso di Enel in Endesa, l'accordo con Telefonica in Telecom Italia, la conquista di Endemol da parte di Mediaset e Telecinco. Gliene ha dato atto uno dei suoi principali concorrenti, Merrill Lynch. In un report gli analisti della casa d'investimento americana hanno confermato, per Mediobanca, l'indicazione positiva di '"buy", riconoscendole l'alto livello dì "coinvolgimento" nelle operazioni di fusione e acquisizione in Italia». [19]

Oggi, dentro Mediobanca, gli italiani si misurano con i francesi. Giuseppe Turani: «Di fatto non possono fare niente se i francesi non sono d'accordo. Forse, una volta fatto il merger, la tentazione di liberarsi dei francesi, o almeno di ridurli in una posizione marginale, potrebbe diventare forte. Anche perché a quel punto la nuova banca sarebbe un soggetto fortissimo, di fatto il nuovo centro, potente, della finanza italiana». [18] Profumo e Geronzi si avviano ad esaltare le rispettive specializzazioni con un "chinese wall" un po' casareccio. Manacorda: «All'ad di Unicredit il lavoro di banchiere vero e proprio, al vicepresidente che conterà ben più del presidente di Unicredit - per referenze chiedere a Fabrizio Palenzona - la gestione delle partecipazioni, il potere delle percentuali. Quello che intanto il mercato si chiede è se e come il banchiere favorito dalla Borsa riuscirà anche questa volta a "creare valore" dall'integrazione con Capitalia o se invece rimarrà invischiato in un sistema così diverso dal suo. Lui proprio un mese fa e con una certa preveggenza, ebbe a dire che "non scendo in politica, anche perché non è escluso che me lo abbiano già chiesto". Non è escluso nemmeno che questa, a suo modo, sia una discesa in un campo diverso»