Mediobanca, Geronzi dice no

La Stampa

Per ora rifiuta la presidenza, vuole restare ''garante'' dei soci Capitalia in Unicredit

Milano - Cesare Geronzi dice di no - per ora - a Mediobanca. E lo fa mentre dal presidente di Intesa-Sanpaolo Giovanni Bazoli arriva un attacco alla nuova superbanca. In un'intervista al Sole 24 Ore, Bazoli chiede che Unicredit-Capitalia riduca il peso in Mediobanca o che espliciti il suo ruolo come merchant bank del nuovo istituto e propone anche che i soci bancari escano dalla Rcs. Questa mattina l'assemblea del patto di sindacato e il cda di Mediobanca vareranno la governance «dualistica» che dal 1° luglio - se tutto andrà come previsto - introdurrà in piazzetta Cuccia un consiglio di gestione composto da un minimo di quattro a un massimo di nove consiglieri e uno di sorveglianza, in rappresentanza degli azionisti, che conterà da dieci a ventuno membri. Il patto potrà essere anche l'occasione per discutere le prime proposte per sistemare l'8,6% dell'istituto che Unicredit ha dato mandato alla stessa Mediobanca di collocare. Tra i favoriti a una crescita i Benetton - lo ha confermato ieri il dg di Mediobanca Alberto Nagel - e la Fonsai. Per la presidenza del consiglio di sorveglianza appariva ormai sicuro il nome del presidente di Capitalia e vicepresidente «in pectore» di Unicredit con delega alle partecipazioni. Ma lui, Geronzi, non ci sta. Autorevoli fonti finanziarie hanno spiegato ieri che il presidente di Capitalia non intende assolutamente lasciare - almeno nei tempi e nei modi di cui si è parlato negli ultimi giorni - il suo ruolo nella banca romana, e in prospettiva in Unicredit, per spostare la residenza in piazzetta Cuccia. Anche perché Geronzi, si spiega, considera se stesso «garante della fusione» per gli azionisti della banca capitolina e in questa veste dovrà seguire l'iter dell'operazione con Unicredit almeno fino al completamento. Mediobanca conta - o contava fino a ieri - di ottenere il via libera della Banca d'Italia in tempo utile per poter varare il dualistico all'assemblea straordinaria del 29 giugno. Ma la fusione dovrebbe essere operativa dal 1° ottobre. Prima di quella data non appare probabile che Geronzi si muova. Con un progetto ancora in fieri e non ancora approvato dalle assemblee straordinarie, con Capitalia ormai senza più l'ad Matteo Arpe, quella del presidente rischierebbe di assomigliare a una fuga. Ma perché questo braccio di ferro al contrario, in cui tutti paiono volere Geronzi al vertice di Mediobanca e lui si sottrae? Sono posizioni tattiche o strategiche? Alcuni azionisti di Mediobanca hanno un chiaro interesse a vedere Geronzi a piazzetta Cuccia. Il primo è proprio l'Unicredit. Un'interpretazione benevola suggerisce che Profumo sarebbe assai soddisfatto di avere un banchiere di cui si fida e con il quale ha grande intesa sul trono di Mediobanca. Una lettura meno rosea, e forse più coerente con i fatti, vuole invece che Profumo possa in questo modo spostare in aree meno operative il banchiere di Marino che come vicepresidente di Unicredit dovrebbe occuparsi di partecipazioni. Anche i soci francesi di Mediobanca, guidati da Vincent Bolloré e spiazzati dalla fusione Unicredit-Capitalia, lo vogliono come garante dei nuovi equilibri. E Geronzi? Lui, a onor del vero, ha detto da settimane di «non essere disponibile» a ricoprire quel ruolo in Mediobanca. Non è nemmeno escluso che la posizione sia stata rinforzata proprio per placare i timori di Bazoli di vedersi piombare troppo vicino - a Milano e con un piede in Generali - il suo omologo capitolino. Ma qualche ragione di dire di no, o quantomeno di frenare, Geronzi pare averla anche a prescindere dalla fusione in corso. La nuova governance di Mediobanca punta infatti a un sistema dualistico «puro», che tenga separati in modo rigoroso gli azionisti - nel consiglio di sorveglianza - e il management proprio con lo scopo di ridurre al minimo i possibili conflitti d'interesse. È previsto ad esempio che il consiglio di sorveglianza «approvi» le proposte portate dal consiglio di gestione sulle partecipazioni strategiche. Insomma, su Generali e Rcs - i due tesori del forziere Mediobanca - Geronzi e il consiglio che andrebbe a presiedere avrebbero in sostanza potere di interdizione ma non di iniziativa. Oggi invece il banchiere, oltre a essere vicepresidente di Mediobanca siede anche nel comitato esecutivo, nel comitato nomine e in quello remunerazioni. Inoltre, anche con il dualistico, il consiglio di sorveglianza non sarebbe l'unico organo deputato a esprimere i voleri dei grandi soci perché, a quel che si apprende, in Mediobanca rimarrebbe anche il patto di sindacato. Insomma, nella stanza dei bottoni Geronzi rischierebbe di avere pochi tasti da schiacciare.