La versione di Capitalia sulle mancate fusioni

L'opinione

Il banchiere Cesare Geronzi svela l'arcano sulle mancate fusioni. La decisione di spifferare i fatti che hanno coinvolto la sua banca nella convention degli azionisti di Capitalia sembra una prova di forza.

Rijkman Groenink, leader di Abn Amro, aveva fatto un pensierino sul conto di Capitalia, ma ha dovuto cambiare idea di fronte al rifiuto di aggregarsi del suo alleato privilegiato, Cesare Geronzi. Figurarsi che per la nuova banca italo – olandese di nuovo conio c'era già il nome bell'e pronto: Abn Amro Capitalia Europe. Ma capita l'aria, il plenipotenziario della banca olandese non se n'è avuto troppo a male, perché nel giro di una settimana ha confermato di restare partner nel patto di sindacato. Il progetto di cui si era fatto carico Groenink dava una soluzione amichevole ai problemi di cui è carica la banca romana, in un momento in cui le operazioni di cross border non guardano in faccia nessuno, men che meno una banca con un forte appeal come quella guidata da Geronzi, presidente, e  Arpe, amministratore delegato. Un matrimonio a cui la banca di Amsterdam avrebbe portato una dote pari a 42 miliardi di euro, mentre l’istituto di Roma soltanto 17 milioni di euro. Tuttavia, la Fusione con gli olandesi avrebbe avuto il via libera penetrare nel Gotha internazionale, lasciandosi dietro la nomea di banca prettamente regionale.
Di grazia un banchiere del rango di Rijkman Groenink ha lanciato la proposta di fusione tanto per aumentare il suo prestigio e quello di Abn Amro, oppure faceva sul serio, cosciente, però che le risorse finanziarie a sua disposizione non erano poi tanto numerose. Oltre a questa aggregazione, c'era anche l'ipotesi di fusione di AntonVeneta con Capitalia. Una operazione che avrebbe, certamente, riscosso successo e se Geronzi, banchiere di lungo corso non l'ha presa in considerazione, significa che ha in mente un’altra carta a cui affidarsi. Monte Paschi di Siena? Forse. Entrambe le banche sono single e non possono restare in questo stato troppo a lungo. Mps ha ultimamente rifiutato di sposarsi con San Paolo Imi e ha escluso ogni accordo con l’Unipol per la formazione del polo bancassurance. Dopo l’acquisizione di Bnl, la compagnia di assicurazione bolognese è stata costretta a vendere la banca romana alla francese Bpn Paribas, grazie alla mediazione dell'avvocato Guido Rossi. Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti hanno fatto di tutto per costituire il polo bancario – assicurativo, non hanno avuto la fortuna sperata, ma in compenso, hanno lasciato nelle casse di Unipol 2,7 miliardi di euro di capitale che non sono altro che i soldi raccolti sul mercato a fine 2005 e che servivano a finanziare la scalata Bnl. In più, ci sono i milioni di euro ricavati dalla cessione della banca ai francesi. Quel capitolo è chiuso per sempre, dato che la coppia dei manager è stata allontanata, come visto dal vertice della compagnia di Via Stalingrado per le note vicende giudiziarie alle scalate di AntonVeneta e Bnl. Al posto di Consorte e Sacchetti, ora c’è Pier Luigi Stefanini, presidente, e Carlo Salvatori, amministratore delegato. Per il banchiere, l’Unipol ha una sorte segnata: espansione nel business assicurativo e nuove acquisizioni di rilievo nel mondo del credito. L'Iccrea (la finanziaria a cui fanno capo oltre 400 istituti di credito cooperativo)? Alcuni esponenti della LegaCoop, come Turiddu Campani, hanno puntato sul matrimonio tra consanguinei: Unipol e Mps, ma è sfumato per sempre, per i dissidi interni al mondo cooperativo toscano ed emiliano. Mps è la banca più antica e, nel contempo, la più anomala per la sua forte caratterizzazione politica, ragion per cui deve conciliare parecchi interessi tra cui quelli più evidenti legati agli Enti locali. Oltretutto, la Fondazione, le cui quote di capitale superano il 50%, è gelosa di perdere i propri privilegi di potere locale e nazionale, perciò alcune forze, all’interno di Mps, frenano i processi di fusione. Proprio per colpa di Palazzo Sansedomini l'aggregazione con il San Paolo Imi è saltata ed Mps è rimasta sola soletta. Altrettanto Capitalia per ragioni, però, opposte, per come l'ha raccontata Geronzi nella convention, non ha accettato la fusione con Intesa prima e Abn Amro poi.
Il banchiere di Marino, per le sue qualità umane e per il suo far play politico, è bipartisan, per cui raccoglie molte simpatie a destra e, guarda caso, Fininvest è entrata da poco con circa il 2% di azioni come socia di Capitalia, e, nello stesso tempo, non dispiace a sinistra, in special modo a D'Alema e Veltroni. Nel caso che Geronzi si mettesse in marcia verso Siena certamente, non troverebbe ostacoli da parte de Botteghino. Capitalia non è solo alle prese con operazioni di "m&a", ma anche con l'affaire Telecom Italia, avendo l'azienda telefonica come azionista Pirelli&C con una quota pari all'1,92%. Stando ai fatti, l'ex presidente di Telecom, nonché numero uno di Pirelli, aveva, in tempi non sospetti, annunciato l’intenzione di uscire da Capitalia e da Mediobanca, di cui la Bicocca possiede l’1,8%, in vista del riassetto del gruppo. A dire il vero, non aveva dato alcun segnale di disimpegno ai pattisti fino a quando, in questi giorni, il gruppo Pirelli ha chiesto la fuoruscita dall’azionariato della banca romana. Una mossa non imprevista, alla luce degli ultimi avvenimenti che ruotano attorno al riassetto di Telecom, la cui operazione per portarla in porto ha bisogno di tanta liquidità finanziaria. Anche il pacchetto del gruppo De Agostini che si aggira attorno all’1%, controllato attraverso la compagnia del Toro acquistata dalle Generali, dovrebbe essere messo sul mercato. Non è detto che gli acquirenti di questa quota non possano essere Lamaro, Fondiaria Sai e Fininvest.
Non è tutto. Si parla in queste ore del fatto che Capitalia sarebbe disponibile a investire a favore della ricapitalizzazione di Olimpia, la holding che controlla con il 18% Telecom. Della partita dovrebbe essere anche Banca Intesa. Almeno in questa operazione la banca romana è in sintonia con la banca milanese, rispetto al recente passato in cui non ha trovato interesse nell’aggregarsi con l’istituto di credito guidato da Giovanni Bazoli. In che consiste l’intervento dell’asse Roma – Milano? Innanzitutto per rilanciare la catena che va da Camfin (la finanziaria attraverso la quale Gpi, a capo della quale c’è MTP, controlla il 19,63% di Pirelli) a Telecom Italia. Il rilancio è sinonimo in questo caso di "rifinanziare l’esposizione: 494 milioni di euro (centrale rischi Bankitalia a luglio scorso) con 21 banche di cui 480 milioni nella forma tecnica a scadenza. Sul fronte più basso della catena, Olimpia – Telecom, un ulteriore passo avanti potrebbe avvenire molto presto Capitalia, che ha in pegno circa un miliardo di azioni Telecom, cioè la metà dei titoli detenuti da Olimpia, potrebbe considerare l'ipotesi ricapitalizzazione, così come ventilata da Tronchetti" (Giulia Leoni, il Messaggero).
Detto questo, resta ancora un mistero perché Cesare Geronzi, nella convention degli azionisti di Capitalia, abbia spifferato i fatti che hanno coinvolto la sua banca. Una prova di forza, probabile. E comunque, ha voluto dimostrare che lui è inossidabile ed è sempre, di là dalle sventure capitategli, al centro dei giochi di potere. Insomma, con lui bisogna fare i conti, avendo in mano. per quello che gli compete, i destini di Mediobanca, Generali, Rcs, Gemina, Pirelli e Camfin.