Sentenze Abnormi e Declini Segnati
Finanza Mercati
Un atto giudiziario incredibile. Se c'è qualcosa di profondamente insano, nell'estendersi delle pronunzie giudiziarie in forme irrituali e in ambiti impropri, è il fine di suscitare vasti consensi giustizialisti
Un atto giudiziario incredibile. Se c'è qualcosa di profondamente insano, nell'estendersi delle pronunzie giudiziarie in forme irrituali e in ambiti impropri, è il fine di suscitare vasti consensi giustizialisti grazie ai cui strepiti ogni osservazione fattuale viene travolta, e passa in second'ordine. Dopo la recente stagione di sconfinamenti della giustizia penale nell'ambito del mercato, siamo ad un nuovo capitolo. E non vi sarebbe errore peggiore che esultare alla decisione del giudice, solo perché del banchiere oggetto del provvedimento si nutrono magari opinioni critiche. Stiamo parlando della sentenza con la quale il giudice d'appello del Tribunale di Bologna, Alessandra Arceri, ha respinto il ricorso contro l'interdizione decretata dal gip di Parma a Cesare Geronzi. Una sentenza nella quale il giudice tracima da ogni merito del ricorso, per tratteggiare un profilo a tutto tondo del banchiere come "esponente di incommensurabile potenza", "non solo economica ma politica", che per almeno dieci anni di storia italiana "ha reiteratamente commesso crimini di gravità inaudita mostrando la più totale insensibilità nei confronti delle sue vittime indifese e non facendosi scrupolo di anteporre personale sete di potere ai canoni di trasparenza e correttezza".
E ancora, "impermeabile ad eventi e previsioni che avrebbero indotto qualunque soggetto responsabile a recedere dalle condotte fino a quel punto tenute". L'interdizione appare al giudice di Bologna perciò "decisamente sproporzionata in difetto": ed è evidente a cosa si alluda, alle manette e all'arresto.
Proprio poiché si tratta di Geronzi - il banchiere italiano che più di tutti ha saputo per così tanto tempo coniugare dall'interno del Palazzo strategie di crescita del suo gruppo e intrecci industriali, fino a disegnare egli più di altri il nuovo equilibrio italiano successivo alla caduta di Mediobanca - era ed è il mercato l'unico chiamato ad emettere un giudizio appropriato. Anzitutto gli azionisti di Capitalia, magari insieme a quelli di un'altra banca che si candidasse all'integrazione con l'istituto capitolino. Ma che a un atto già discutibilissimo come un'interdizione assunta a oltre due anni dall'inizio delle indagini, segua una vera e propria condanna in effigie da parte di un giudice che non è chiamato a esprimersi nel merito dei complessi procedimenti, tutto ciò non può e non deve piacere. C'è una parte importante di storia italiana degli ultimi vent'anni, che non può e non deve essere liquidata dall'abnormità di un giudice penale.
Naturalmente, dei giudici noi garantisti possiamo dire solo parole destinate a rimbalzare contro il marmo delle loro decisioni. Ciò che resta, nell'esame algido e distaccato dei fatti, è che il giudice Arceri esprime un segnale oramai incontrovertibile, e cioè che la lunga e densa parabola del grande banchiere romano ha imboccato la direzione del declino. Perché nei prossimi anni avrà troppo da fare in aule giudiziarie, per credere di poter tornare ad esercitare la propria guida in Capitalia. Geronzi è un combattente nato, e nella vita ne ha spuntate di situazioni anche apparentemente assai complesse. Questa volta però i rinvii a giudizio che si annunciano per sicuri riguardano più tronconi delle indagini parmensi. E per quanto iniqua sia l'occasine che ha determinato tutto ciò, a una Capitalia senza Geronzi bisognerà che il mercato d'ora in avanti si abitui e si regoli di conseguenza.
E ancora, "impermeabile ad eventi e previsioni che avrebbero indotto qualunque soggetto responsabile a recedere dalle condotte fino a quel punto tenute". L'interdizione appare al giudice di Bologna perciò "decisamente sproporzionata in difetto": ed è evidente a cosa si alluda, alle manette e all'arresto.
Proprio poiché si tratta di Geronzi - il banchiere italiano che più di tutti ha saputo per così tanto tempo coniugare dall'interno del Palazzo strategie di crescita del suo gruppo e intrecci industriali, fino a disegnare egli più di altri il nuovo equilibrio italiano successivo alla caduta di Mediobanca - era ed è il mercato l'unico chiamato ad emettere un giudizio appropriato. Anzitutto gli azionisti di Capitalia, magari insieme a quelli di un'altra banca che si candidasse all'integrazione con l'istituto capitolino. Ma che a un atto già discutibilissimo come un'interdizione assunta a oltre due anni dall'inizio delle indagini, segua una vera e propria condanna in effigie da parte di un giudice che non è chiamato a esprimersi nel merito dei complessi procedimenti, tutto ciò non può e non deve piacere. C'è una parte importante di storia italiana degli ultimi vent'anni, che non può e non deve essere liquidata dall'abnormità di un giudice penale.
Naturalmente, dei giudici noi garantisti possiamo dire solo parole destinate a rimbalzare contro il marmo delle loro decisioni. Ciò che resta, nell'esame algido e distaccato dei fatti, è che il giudice Arceri esprime un segnale oramai incontrovertibile, e cioè che la lunga e densa parabola del grande banchiere romano ha imboccato la direzione del declino. Perché nei prossimi anni avrà troppo da fare in aule giudiziarie, per credere di poter tornare ad esercitare la propria guida in Capitalia. Geronzi è un combattente nato, e nella vita ne ha spuntate di situazioni anche apparentemente assai complesse. Questa volta però i rinvii a giudizio che si annunciano per sicuri riguardano più tronconi delle indagini parmensi. E per quanto iniqua sia l'occasine che ha determinato tutto ciò, a una Capitalia senza Geronzi bisognerà che il mercato d'ora in avanti si abitui e si regoli di conseguenza.