Geronzi sospeso dai giudici per Parmalat
Il sole 24 ore
La difesa: «Le contestazioni prive di fondamento». Il cda esprime «solidarietà». Le deleghe ai vicepresidenti Collee (Abn) e Federici.
Interdizione da ogni incarico per Cesare Geronzi: per due mesi non potrà ricoprire il ruolo di presidente di Capitalia, di vicepresidente di Mediobanca e di consigliere di Rcs. Con una mossa a sorpresa, a oltre due anni dal crack della Parmalat, il Gip di Parma Pietro Rogato ha accolto la richiesta del giovane Pm Vincenzo Picciotti di applicare la misura cautelare nei confronti del numero uno della banca romana. Un fulmine a ciel sereno per Capitalia (che ieri in Borsa ha comunque guadagnato il 2,5%), proprio nei giorni cruciali per il risiko bancario e per la sistemazione della quota Rcs. Un fulmine a ciel sereno, soprattutto, perché il Pm lo scorso 14 febbraio aveva chiuso l'indagine sui rapporti finanziari intercorsi con il gruppo di Calisto Tanzi a partire dall'aprile del 1994 e culminati con le vicende Parmatour e Ciappazzi del 2002.
La motivazione dell'interdizione — che il Pm aveva allo studio da tempo — sta in un poderoso documento di 200 pagine: pericolo di reiterazione del reato. Rischio che, secondo l'accusa, sarebbe suffragato da un contesto più ampio rispetto ai casi Parmatour e Ciappazzi: Geronzi è infatti rimasto coinvolto non solo nel fallimento della Parmalat (con cui ha lavorato per oltre un decennio), ma anche nel crack della Cirio e del Bagaglino (citati dal Gip) per i quali è stato indagato per bancarotta. Tutti casi che, secondo l'accusa, avvalorano il pericolo di reiterazione.
La reazione di Geronzi è stata immediata, bollando le contestazioni della Procura come «prive di fondamento». La banca, a sua volta, ha fatto quadrato attorno al presidente: ieri è stato convocato un breve cda straordinario, durante il quale è stata espressa all'unanimità «solidarietà, stima e fiducia». E anche il presidente del patto di sindacato, Vittorio Ripa di Meana, ha espresso «piena solidarietà e fiducia». Non solo: il legale di Geronzi, Guido Calvi, ha annunciato che ricorrerà subito in appello.
Tra Roma e Collecchio. Le accuse al numero uno di Capitalia sono sintetizzate sia nel documento del Gip sia nell'avviso di chiusura dell'indagine firmato dal Pm: «Capitalia assicurava un fondamentale contributo a Tanzi con una serie di operazioni dolose, e comunque di grave imprudenza, per effetto delle quali (...) si aggravava in misura considerevole il dissesto (...) nel tentativo di procrastinare l'emersione dell'ormai irreversibile condizione di insolvenza». Insomma: Capitalia per un decennio avrebbe sostenuto in modo «doloso» il gruppo Tanzi, pur conoscendo lo stato di dissesto in cui si trovava. Per questo la Procura ha iscritto nel registro degli indagati 8 manager del gruppo Capitalia, tra i quali l'amministratore delegato Matteo Arpe e il presidente Geronzi. Ma solo quest'ultimo — indagato per concorso in bancarotta fraudolenta e usura—è stato interdetto dal Gip.
I finanziamenti al turismo. La ricostruzione della Procura, coadiuvata dal nucleo regionale della Guardia di Finanza dell'Emilia Romagna, parte dall'aprile del 1994, quando l'allora Banca di Roma (oggi Capitalia) iniziò ad appoggiare il gruppo turistico che faceva capo a Tanzi «in totale assenza dei presupposti di merito creditizio». Poi si passa al 1997, quando viene erogato un finanziamento in pool da 120 miliardi di lire alla Itc&P, la holding del gruppo turistico di Tanzi, «garantita dalla fidejussione ca».
E Tanzi entrò nel cda. È nel 2001 che avviene un fatto su cui il Gip si sofferma: Geronzi invita il patron della Parmalat a entrare nel cda di Capitalia per «proteggerlo», «proprio quando il disastro del turismo era ormai imminente». «In data 19 aprile 2001, 10 giorni prima della nomina di Tanzi a membro del cda della banca, l'Area Crediti (di Capitalia ndr) aveva predisposto una relazione nella quale s'era suggerita l'adozione d'una "linea dura", ritenendo senza mezzi termini "improponibile" la proroga sic et simpliciter degli affidamenti. E giorno successivo, il "presentatore" dottor Martinetti, s'era tuttavia limitato a proporre favorevolmente al comitato Fidi l'accoglimento della proposta». Motivo: «Non possiamo, in questa sede, non tenere in considerazione la globalità dei rapporti con il gruppo Parmalat e soprattutto il fatto, dirimente, che il cavalier Tanzi ci offra la sua personale fidejussione, per questa posizione».
I biglietti aerei. Poi la ricostruzione arriva al 2002. «Tra il 14, o al massimo il 15 ottobre — scrive il Gip — il gruppo Tanzi era infatti destinato a fallire se, come Banca di Roma ben sapeva, non fosse stato pagato il noto "B.S.P." (cioè la biglietteria aerea, ndr). I soldi dei viaggiatori, destinati alle società aeree, venivano infatti regolarmente impiegati dalle agenzie turistiche di Tanzi per finanziare i propri bisogni operativi e, altrettanto regolarmente, bisognava poi andarli a cercare da qualche altra parte, per poterli poi far pervenire all'intermediario delle compagnie di volo». Sempre al 2002, inoltre, risale la vicenda Ciappazzi.
Geronzi al contrattacco. Il presidente di Capitalia respinge tutte le accuse. E il suo avvocato, Guido Calvi, giudica la misura interdittiva «un atto irragionevole». «Questi provvedimenti — spiega al «Sole-24 Ore» — vengono presi quando c'è il rischio di inquinamento delle prove o la reiterazione del reato. Ma nel nostro caso i fatti risalgono al 2002. Non solo. La misura cautelare è giunta quando l'istruttoria era ampiamente conclusa, e aspettavamo la fissazione dell'udienza preliminare». Ma così non è stato. Secondo il legale, i 50 milioni di euro del caso Ciappazzi sono «marginalissimi rispetto ai 14 miliardi di euro del default della Parmalat». «Il provvedimento — conclude Calvi — lascia perplessi anche per la tempistica, dato che arriva proprio mentre Geronzi è impegnato in una serie di scelte strategiche. Anche al Procuratore della Repubblica di Parma la responsabilità della scelta».
La motivazione dell'interdizione — che il Pm aveva allo studio da tempo — sta in un poderoso documento di 200 pagine: pericolo di reiterazione del reato. Rischio che, secondo l'accusa, sarebbe suffragato da un contesto più ampio rispetto ai casi Parmatour e Ciappazzi: Geronzi è infatti rimasto coinvolto non solo nel fallimento della Parmalat (con cui ha lavorato per oltre un decennio), ma anche nel crack della Cirio e del Bagaglino (citati dal Gip) per i quali è stato indagato per bancarotta. Tutti casi che, secondo l'accusa, avvalorano il pericolo di reiterazione.
La reazione di Geronzi è stata immediata, bollando le contestazioni della Procura come «prive di fondamento». La banca, a sua volta, ha fatto quadrato attorno al presidente: ieri è stato convocato un breve cda straordinario, durante il quale è stata espressa all'unanimità «solidarietà, stima e fiducia». E anche il presidente del patto di sindacato, Vittorio Ripa di Meana, ha espresso «piena solidarietà e fiducia». Non solo: il legale di Geronzi, Guido Calvi, ha annunciato che ricorrerà subito in appello.
Tra Roma e Collecchio. Le accuse al numero uno di Capitalia sono sintetizzate sia nel documento del Gip sia nell'avviso di chiusura dell'indagine firmato dal Pm: «Capitalia assicurava un fondamentale contributo a Tanzi con una serie di operazioni dolose, e comunque di grave imprudenza, per effetto delle quali (...) si aggravava in misura considerevole il dissesto (...) nel tentativo di procrastinare l'emersione dell'ormai irreversibile condizione di insolvenza». Insomma: Capitalia per un decennio avrebbe sostenuto in modo «doloso» il gruppo Tanzi, pur conoscendo lo stato di dissesto in cui si trovava. Per questo la Procura ha iscritto nel registro degli indagati 8 manager del gruppo Capitalia, tra i quali l'amministratore delegato Matteo Arpe e il presidente Geronzi. Ma solo quest'ultimo — indagato per concorso in bancarotta fraudolenta e usura—è stato interdetto dal Gip.
I finanziamenti al turismo. La ricostruzione della Procura, coadiuvata dal nucleo regionale della Guardia di Finanza dell'Emilia Romagna, parte dall'aprile del 1994, quando l'allora Banca di Roma (oggi Capitalia) iniziò ad appoggiare il gruppo turistico che faceva capo a Tanzi «in totale assenza dei presupposti di merito creditizio». Poi si passa al 1997, quando viene erogato un finanziamento in pool da 120 miliardi di lire alla Itc&P, la holding del gruppo turistico di Tanzi, «garantita dalla fidejussione ca».
E Tanzi entrò nel cda. È nel 2001 che avviene un fatto su cui il Gip si sofferma: Geronzi invita il patron della Parmalat a entrare nel cda di Capitalia per «proteggerlo», «proprio quando il disastro del turismo era ormai imminente». «In data 19 aprile 2001, 10 giorni prima della nomina di Tanzi a membro del cda della banca, l'Area Crediti (di Capitalia ndr) aveva predisposto una relazione nella quale s'era suggerita l'adozione d'una "linea dura", ritenendo senza mezzi termini "improponibile" la proroga sic et simpliciter degli affidamenti. E giorno successivo, il "presentatore" dottor Martinetti, s'era tuttavia limitato a proporre favorevolmente al comitato Fidi l'accoglimento della proposta». Motivo: «Non possiamo, in questa sede, non tenere in considerazione la globalità dei rapporti con il gruppo Parmalat e soprattutto il fatto, dirimente, che il cavalier Tanzi ci offra la sua personale fidejussione, per questa posizione».
I biglietti aerei. Poi la ricostruzione arriva al 2002. «Tra il 14, o al massimo il 15 ottobre — scrive il Gip — il gruppo Tanzi era infatti destinato a fallire se, come Banca di Roma ben sapeva, non fosse stato pagato il noto "B.S.P." (cioè la biglietteria aerea, ndr). I soldi dei viaggiatori, destinati alle società aeree, venivano infatti regolarmente impiegati dalle agenzie turistiche di Tanzi per finanziare i propri bisogni operativi e, altrettanto regolarmente, bisognava poi andarli a cercare da qualche altra parte, per poterli poi far pervenire all'intermediario delle compagnie di volo». Sempre al 2002, inoltre, risale la vicenda Ciappazzi.
Geronzi al contrattacco. Il presidente di Capitalia respinge tutte le accuse. E il suo avvocato, Guido Calvi, giudica la misura interdittiva «un atto irragionevole». «Questi provvedimenti — spiega al «Sole-24 Ore» — vengono presi quando c'è il rischio di inquinamento delle prove o la reiterazione del reato. Ma nel nostro caso i fatti risalgono al 2002. Non solo. La misura cautelare è giunta quando l'istruttoria era ampiamente conclusa, e aspettavamo la fissazione dell'udienza preliminare». Ma così non è stato. Secondo il legale, i 50 milioni di euro del caso Ciappazzi sono «marginalissimi rispetto ai 14 miliardi di euro del default della Parmalat». «Il provvedimento — conclude Calvi — lascia perplessi anche per la tempistica, dato che arriva proprio mentre Geronzi è impegnato in una serie di scelte strategiche. Anche al Procuratore della Repubblica di Parma la responsabilità della scelta».