Geronzi tende una mano a Bazoli, Faissola alla guida dell'Abi
Il Foglio
Battuto Mazzotta, capo della Popolare di Milano, sostenuto da Profumo, che avrebbe dovuta dare alle banche soggettività politica
Roma. La designazione di Corrado Faissola al vertice dell'Abi, pronosticata già da qualche giorno, non è affatto neutra per il quadro che rappresenta: sia nello scacchiere generale del sistema bancario, sia per l'atteggiamento che le banche vorranno tenere nei confronti del nuovo potere politico. Faissola è amministratore delegato della Banca Lombarda, un bresciano che gravita nel sistema di relazioni del presidente di Banca Intesa, Giovanni Bazoli, che ne è stato il grande sponsor. Nella cordata è entrato da subito il SanPaolo Imi, dove il neo presidente - piemontese di origini - ha lavorato a lungo. La designazione a "larga maggioranza" (l'elezione formale avverrà il 12 luglio) indica poi che lo hanno votato in tanti, e sicuramente Capitalia e Monte Paschi. Dall'altra parte correva Roberto Mazzotta, già ministro di Prima Repubblica, già presidente di Cariplo e ora presidente della Banca popolare di Milano, sostenuto da uno schieramento guidato dalla Unicredit di Alessandro Profumo, che inizialmente aveva sponsorizzato il suo vice presidente, Carlo Salvatori.
Per mesi cinque saggi dell'associazione hanno sondato il sistema, e solo alla fine è emerso un vantaggio per il bresciano, dopo un lungo testa a testa. Decisiva sembra sia stata la scelta di Cesare Geronzi, riapparso in pubblico due giorni fa dopo l'interdizione di primavera e la bufera intorno al caso Gea. Il discorso del banchiere romano, pronunciato alla vigilia del voto dell'esecutivo Abi, è stato decisivo: le banche popolari, ha detto, quando raggiungono dimensioni tali da non pter giustificare i vantaggi normativi sono un'anomalia. Quello di essere presidente di una popolare era stato da subito percepito come uno svantaggio per Mazzotta (la governance di Bpm è di fatto in mano ai sindacati, che sono a livello nazionale controparti dell'Abi nelle trattative sul contratto), ma la parola di Geronzi è stata definitiva. La questione di fondo è che Geronzi ha bloccato le popolari perché da una parte non vuole che crescano troppo e dall'altra perché le guarda con interesse in vista di un rafforzamento di Capitalia. Ma certo, la conseguenza dello stop alle popolari è che comunque Geronzi è andato in aiuto di Bazoli, suo controparte su due partite decisive: Intesa-Capitalia e Rcs.
La maxi fusione Roma-Milano è un fiume carsico, scompare e riappare di continuo. Due giorni fa Corrado Passera ha detto che le opa possono essere ostili e che i manager (quelli romani, intende...) non devono essere di ostacolo. Geronzi ha ributtato la palla: gli azionisti fanno quel che dicono i manager. E così eccoci daccapo, con rimbalzi che il potere politico non può ignorare, visto che Bazoli e Passera sono ulivisti-prodiani, Geronzi un bipartisan moderato stimato dal Cav, mentre Arpe è in dichiarata sintonia con Walter Veltroni. Poi c'è Rcs: l'ingresso nel capitale dell'imprenditore romano Toti (presente nel patto di Capitalia) ha rafforzato l'asse Geronzi-Tronchetti e indebolito Bazoli. Ma il voto di Faissola è una mano tesa: come dice che c'è spazio per gli accordi, a condizione che le trattative siano da pari a pari.
C'è un altro aspetto che riguarda la figura del presidente. Profumo - che sta recuperando spazi nell'inner circle prodiano dopo una parentesi di dalemismo - avrebbe voluto Mazzotta, per dare all'Abi un'impostazione meno sindacale e più politica. Ma evidentemente ai banchieri questo salto (simile a quello della stagione di Piero Barucci negli anni ottanta) non piace, e l'elezione di Faissola ne è la conferma: il dirigente bresciano, monumento all'understatement, dovrà essere grintoso sulla partita cuneo fiscale e nel difficile rapporto con i consumatori.
Per mesi cinque saggi dell'associazione hanno sondato il sistema, e solo alla fine è emerso un vantaggio per il bresciano, dopo un lungo testa a testa. Decisiva sembra sia stata la scelta di Cesare Geronzi, riapparso in pubblico due giorni fa dopo l'interdizione di primavera e la bufera intorno al caso Gea. Il discorso del banchiere romano, pronunciato alla vigilia del voto dell'esecutivo Abi, è stato decisivo: le banche popolari, ha detto, quando raggiungono dimensioni tali da non pter giustificare i vantaggi normativi sono un'anomalia. Quello di essere presidente di una popolare era stato da subito percepito come uno svantaggio per Mazzotta (la governance di Bpm è di fatto in mano ai sindacati, che sono a livello nazionale controparti dell'Abi nelle trattative sul contratto), ma la parola di Geronzi è stata definitiva. La questione di fondo è che Geronzi ha bloccato le popolari perché da una parte non vuole che crescano troppo e dall'altra perché le guarda con interesse in vista di un rafforzamento di Capitalia. Ma certo, la conseguenza dello stop alle popolari è che comunque Geronzi è andato in aiuto di Bazoli, suo controparte su due partite decisive: Intesa-Capitalia e Rcs.
La maxi fusione Roma-Milano è un fiume carsico, scompare e riappare di continuo. Due giorni fa Corrado Passera ha detto che le opa possono essere ostili e che i manager (quelli romani, intende...) non devono essere di ostacolo. Geronzi ha ributtato la palla: gli azionisti fanno quel che dicono i manager. E così eccoci daccapo, con rimbalzi che il potere politico non può ignorare, visto che Bazoli e Passera sono ulivisti-prodiani, Geronzi un bipartisan moderato stimato dal Cav, mentre Arpe è in dichiarata sintonia con Walter Veltroni. Poi c'è Rcs: l'ingresso nel capitale dell'imprenditore romano Toti (presente nel patto di Capitalia) ha rafforzato l'asse Geronzi-Tronchetti e indebolito Bazoli. Ma il voto di Faissola è una mano tesa: come dice che c'è spazio per gli accordi, a condizione che le trattative siano da pari a pari.
C'è un altro aspetto che riguarda la figura del presidente. Profumo - che sta recuperando spazi nell'inner circle prodiano dopo una parentesi di dalemismo - avrebbe voluto Mazzotta, per dare all'Abi un'impostazione meno sindacale e più politica. Ma evidentemente ai banchieri questo salto (simile a quello della stagione di Piero Barucci negli anni ottanta) non piace, e l'elezione di Faissola ne è la conferma: il dirigente bresciano, monumento all'understatement, dovrà essere grintoso sulla partita cuneo fiscale e nel difficile rapporto con i consumatori.