In campo Calvi, l'avvocato «rosso» di Panagulis e D'Alema

Corriere della Sera

Davanti al pubblico ministero di Parma, l'avvocato Guido Calvi ha già difeso le ragioni del suo assistito Cesare Geronzi, e adesso è pronto a farlo davanti al giudice

ROMA - Davanti al pubblico ministero di Parma, l'avvocato Guido Calvi ha già difeso le ragioni del suo assistito Cesare Geronzi, e adesso è pronto a farlo davanti al giudice. «Nel merito della causa sono tranquillo», dice. Il reato di concorso in bancarotta, secondo la difesa, si basa essenzialmente sulle dichiarazioni di Tanzi, che sostiene di essere stato costretto ad acquistare la società Ciappazzi, mentre Geronzi nega. «All'udienza preliminare ce la vedremo, abbiamo argomenti solidi per dimostrare l'inconsistenza dell'accusa». Ma allora perché tanto scandalo e anche un po' d'indignazione per il provvedimento d'interdizione? «Perché arriva dopo il deposito degli atti e dopo che c'è stata negata una richiesta di proroga - s'inalbera il legale -. Un diniego del tutto inspiegabile. Legittimo, per carità, ma per esempio a Roma, nel caso Cirio, ci hanno dato tutto il tempo necessario a studiare le carte. Qui ci sono migliaia e migliaia di pagine, non prorogare i venti giorni previsti dal codice significa impedirci perfino di presentare una memoria. Ma va bene, va bene...». Che cos'è allora che non va bene? «L'irragionevolezza del provvedimento. L'inchiesta è finita, questa interdizione durerà giusto il tempo necessario per arrivare davanti al giudice. Che senso ha, per fatti che risalgono al 2002? Questi sono provvedimenti utili nell'immediatezza, non quattro anni dopo». E i diritti dei risparmiatori rimasti intrappolati nel crack Parmalat? «Sono sacrosanti, ci mancherebbe. Ma con la vicenda dell'acqua Ciappazzi non c'entrano. Basta pensare che il valore di questo affare è di 50 milioni di euro, a fronte di un buco pari a 14 miliardi». Così parla l'avvocato Calvi. Il professor Calvi. E il senatore Calvi, parlamentare Ds da due legislature e iscritto al partito che prima si chiamava Pci dal 1971. Prima era un seguace di Lelio Basso. «Una storia politica che rivendico totalmente», assicura. E adesso, sol perché viene toccato un suo cliente illustre imita i colleghi del centro-destra nell'attacco ai magistrati? «Ma neanche per sogno!», reagisce il senatore. E l'avvocato: «Io non attacco il magistrato, che ha agito nel pieno rispetto delle regole. Dico che ha preso una decisione irragionevole. Capita. E lo spiegheremo nelle sedi opportune, all'interno del processo». Per un indagato famoso, un avvocato famoso è la norma. Meno normale, forse, è che uno degli uomini simbolo del capitale italiano, sia difeso da un legale che è stato comunista e oggi non si definisce né ex né post; semplicemente «un militante che ha seguito l'evoluzione del suo partito dopo i cambiamenti epocali del 1989. E che difende con forza la battaglia dei comunisti italiani per la democrazia e la Costituzione». Del resto, ai tempi di Mani Pulite, diversi imprenditori si sono rivolti a Calvi. Oltre al tesoriere del Pci-Pds Marcello Stefanini, per conto del quale ebbe dei ruvidi faccia a faccia col pubblico ministero Antonio Di Pietro, oggi suo collega e alleato politico al Senato. Cesare Geronzi, che Calvi assiste insieme a Francesco Vassalli, è solo uno dei clienti illustri. Un altro, per restare nell'attualità politica, è Massimo D'Alema, che Calvi assisté (come Achille Occhetto) nelle indagini veneziane e romane sulle presunte «tangenti rosse». Ma Calvi preferisce elencare altri processi famosi che l'hanno visto protagonista, anche all'estero: parte civile per il dissidente greco Alekos Panagulis, perseguitato dal regime dei colonnelli; difensore del leader del partito comunista cileno Luis Corvalan dopo il golpe militare del 1973; in Italia, di Pier Paolo Pasolini: «Lo conobbi da studente, nel 1963, quando lo invitai per una conferenza e fu aggredito dai fascisti»; di Pietro Valpreda, l'anarchico accusato e poi scagionato per la strage di Piazza Fontana: «La mia prima difesa, la più bella». E poi parte civile nei dibattimenti per le stragi nere e per gli omicidi delle Brigate rosse, nel maxi-processo alla mafia e in quelli per diffamazione di magistrati come Gian Carlo Caselli. Nato nel 1940, professore universitario di Teoria del processo, autore di saggi sulla filosofia del diritto, su Kierkegaard e su Condorcet, appassionato di buone letture e cultore di musica sinfonica, Guido Calvi fa l'avvocato da 39 anni e il senatore da dieci. La battaglia parlamentare a cui tiene di più? «Quella per l'introduzione dei principi del giusto processo nella Costituzione, con i quali abbiamo stabilito che la ricerca della verità deve avvenire attraverso il contraddittorio». Un garantista? «Ma certo! La contrapposizione tra garantisti di destra e giustizialisti di sinistra è un'enorme sciocchezza. Anche la difesa dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura è una battaglia che rivendico in pieno, soprattutto in tempi di leggi vergogna e di una riforma della giustizia assurda. Ma ciò non significa assenza di controllo, anzi. In sostanza, io difendo la magistratura, non i singoli magistrati», proclama il senatore Calvi. Che da avvocato è pronto a scontrarsi con i pubblici ministeri di Parma, nell'interesse dell'assistito Geronzi. E spiega che non c'è alcuna contraddizione: «La dialettica processuale, anche aspra, è del tutto fisiologica. Lo sarà pure in questa causa, ma nel pieno rispetto delle funzioni e del ruolo del magistrato. Che pure stavolta, ripeto, ha assunto un provvedimento del tutto legittimo. Irragionevole, però. Lo diremo al giudice d'appello».