9° CONGRESSO AIAF, ASSIOM, ATIC FOREX
Introduzione
Vorrei porgere un caloroso saluto a tutti i convenuti e ringraziare gli Organizzatori per questo invito che mi consente di tornare fra gli analisti e gli operatori della finanza. Sono professionisti che possono vantare un credito rilevante perché hanno rivoluzionato il modo d’essere delle banche.
Un particolare saluto rivolgo al Presidente della Regione Sicilia che ci accoglie in questa splendida e millenaria cornice di Agrigento e al Governatore Fazio che con la sua autorevole presenza ha contribuito a collocare questo ricorrente Congresso fra gli appuntamenti importanti del nostro mondo finanziario.
Utilizzerò il breve tempo accordatomi per questa relazione introduttiva concentrandomi su due aspetti.
Il primo attiene all’attuale dibattito sugli assenti e i problemi della finanza. Il secondo riguarda la capacità della finanza stessa di operare a favore dell’economia reale e – tenuto conto delle esigenze della Regione che ci ospita – a sostegno dello sviluppo nel Mezzogiorno.
Per focalizzare il primo aspetto prenderò spunto da un recente intervento del Presidente della Federal Reserve da cui è possibile derivare abbastanza facilmente i termini principali del dibattito attuale.
Mi soffermerò brevemente, nell’ordine:
- sulle regole, degli intermediari e contabili delle società, nonché sul ruolo delle Autorità che le promuovono e le tutelano;
- sulla capacità degli intermediari di organizzare e controllare le gestioni in questo non facile contesto di mercato.
In un recente lucido intervento sulla capacità di gestione dei rischi nei mercati finanziari odierni, Alan Greenspan ha fornito un’interpretazione che volge in positivo molti di quei segnali che sono stati interpretati come indice di fragilità e presenza di disfunzioni della attuale finanza.
Egli annota la sequenza di eventi negativi degli ultimi anni e mezzo:
- il crollo della Borsa statunitense che ha distrutto attività finanziarie per un valore pari a 8.000 miliardi di dollari;
- la brusca caduta della domanda di investimenti dell’economia;
- il tracollo del settore delle telecomunicazioni che nella irruenta fase espansiva si era indebitato sui mercati internazionali per oltre 1.000 miliardi di dollari;
- gli avvenimenti dell’11 settembre, il terrorismo internazionale e i venti di guerra che hanno corroso la fiducia.
Greenspan osserva questa sequenza di eventi, che nel passato avrebbe verosimilmente determinato sconvolgimenti profondi, ha provocato un rallentamento significativo, ma non l’arresto, della crescita economica. E soprattutto, nonostante le perdite subite dagli intermediari, non sono emerse importanti situazioni di crisi sui mercati finanziari internazionali.
Secondo questa tesi le moderne economie industrializzate avrebbero maturato negli ultimi decenni una migliore capacità di assorbire gli shock imprevisti. Questa capacità sarebbe in larga misura collegata alla finanza e all’innovazione finanziaria che oggi offre ampi spazi di diversificazione alle forme di raccolta e impiego delle risorse.
I mercati sono più efficienti e gli intermediari sono più capitalizzati e possono disporre di sistemi molto più sofisticati per la gestione dei rischi di credito. Essi fanno uso di strumenti – si pensi alle varie forme di cartolarizzazione – in grado di trasferire e di diluire nel sistema finanziario i rischi eccessivamente concentrati verso un’area o un settore specifico.
Secondo Greenspan, il rischio tende così a riequilibrarsi tra le banche - che tipicamente hanno un’esposizione a breve termine – e i fondi pensione, le compagnie di assicurazioni e gli altri intermediari che gestiscono professionalmente risorse a medio-lungo termine.
Questo, a mio giudizio, è uno sviluppo significativo. Non è però uno sviluppo spontaneo, attribuibile solo all’innovazione finanziaria. È stato favorito dalla evoluzione delle regole, ha richiesto il ruolo vigile delle Autorità ed è stato reso possibile dalla capacità degli intermediari di padroneggiare le forze dell’innovazione finanziaria e di gestire il rischio in un contesto di crescente competizione.
Regole e Autorità
Ovunque nell’area industrializzata le “regole” sul sistema finanziario sono mutate nel senso di una riduzione dei vincoli operativi e di un rafforzamento degli indirizzi di comportamento. Il paradigma più importante è stato quello fissato nell’Accordo sul capitale di Basilea del 1988, peraltro anticipato dalla introduzione nel nostro Paese dei coefficienti minimi obbligatori di patrimonializzazione.
Il più rilevante sviluppo dell’orizzonte resta la revisione e l’ampliamento di quell’accordo – il cosiddetto Basilea 2 – i cui effetti già si intravedono nell’impegno che oggi le gestioni bancarie stanno ponendo nella riorganizzazione delle strutture deputate al controllare i rischi.
I vincoli patrimoniali sono ormai la “spina dorsale” del sistema di regole sulle banche. Su di essa si innesta poi un reticolo normativo che investe aspetti particolari, come la tutela della concorrenza, la trasparenza e la protezione del consumatore, la concentrazione dei rischi e così via. Sempre più nel senso di minori vincoli e più regole di comportamento.
In questo ambiente regolamentare si è esaltata la responsabilità degli operatori e sono cresciuti gli incentivi a competere e a innovare. Questi hanno potuto far leva sull’utilizzo massiccio delle nuove tecnologie, che hanno trasformato la natura e la scala degli scambi di strumenti finanziari, le modalità organizzative dei mercati e il funzionamento dei sistemi di pagamento. Così si è prodotto il salto di efficienza nell’industria dei servizi finanziari.
L’attuale dibattito ha però anche messo in luce che non sempre e non in tutti i paesi l’evoluzione delle regole è stata coerente con la crescente complessità delle attività imprenditoriali e con l’articolazione dei mercati finanziari.
La presenza di imprese più integrate e diversificate, insieme alla disponibilità di strumenti e tecniche finanziarie innovative e sofisticate, ha prodotto zone d’ombra e aree di opacità sui risultati e i profili di rischio delle gestioni aziendali.
In casi di rilievo è emersa l’incongruenza di alcune regole di bilancio, l’insufficienza delle strutture di corporate governance, la sottovalutazione dei conflitti di interesse nella delicata funzione della revisione contabile.
L’opinione di consenso ritiene che questo sia soprattutto un problema degli Stati Uniti mentre le soluzioni regolamentari e di autoregolamentazione adottate in Europa – e, in particolare, in Italia, che ha appena messo a punto la riforma del diritto societario – sarebbero più avanzate e affidabili.
Questo è probabilmente vero, anche se la differenza può riflettere la disomogeneità del contesto.
In Europa la scala operativa e l’integrazione tra business diversi nella stessa impresa è minore, le public company sono un modello meno diffuso, il grado di affinamento della finanza d’impresa è in ritardo, la stessa offerta di servizi di corporate finance non ha ancora la varietà e la rilevanza che raggiunge negli Stati Uniti.
Intendo dire che se dobbiamo ancora scontare, sotto molti profili, un cammino di avvicinamento ai connotati del sistema statunitense, allora è opportuno seguire con grande attenzione il dibattito e le riforme in cantiere oltreoceano perché da esse possono derivare indicazioni preziose, in grado si prevenire futuri problemi.
Per concludere queste considerazioni sul piano delle regolamentazioni – annoto solo di sfuggita perché è tema di ricorrente doglianza - vi sono anche quelle disposizioni che potremmo definire “generali” o “di sistema” con cui si confronta ogni operatore economico e su cui il nostro Paese non può vantare molti primati.
Mi riferisco ai noti vincoli e oneri che ci derivano dal siste ma contributivo e fiscale, dal diritto del lavoro, dal funzionamento dell’amministrazione e delle procedure fallimentari. Tutti oneri che un operatore in Italia computa fra le cosiddette “diseconomie esterne”. Non parlo di cose da poco se è vero che il relativo effetto, secondo le stime dell’ABI, può sottratte alla redditività bancaria (ROE) fino a cinque punti percentuali.
L’evoluzione in atto nelle regole e nel funzionamento dei mercati ha stimolato anche una riflessione sul ruolo e l’assetto delle Autorità.
Non credo esistano soluzioni semplici e univoche a un problema complesso come quello del controllo dei mercati e degli intermediari finanziari. Osservo che il nuovo contesto richiede Autorità “forti”, indipendenti, in grado di dialogare e operare in maniera coordinata.
In generale, in un contesto di “riflusso” del ruolo dello stato e di crescita della rappresentanza di aggregazioni “forti” di interessi, diviene indispensabile la presenza, altrettanto “forte”, di istituzioni – indipendenti e coordinate – di controllo e di garanzia.
Credo che l’aspetto del “coordinamento” fra autorità diverse sia ben più rilevante, per la funzionalità dei controlli e della vigilanza, di qualsiasi soluzione, più o meno semplicistica, relativa agli assetti.
È mio convincimento che i progressi in questo campo non possano ricercarsi con riferimento a paradigmi astratti ma debbano pragmaticamente poggiare sull’esperienza accumulata in questi anni di sviluppo, anche tumultuoso, del nostro sistema finanziario. Un’esperienza – forse più di altre, connotata dalla stabilità pur in un contesto di crescita delle concorrenza.
Vorrei semmai manifestare una preoccupazione. Se si è ampliato il terreno di gioco e si sono attenuate le regole, dobbiamo essere consapevoli che la funzione degli “arbitri” è divenuta ancora più essenziale!
Riorganizzazione del sistema bancario
Considerata l’evoluzione delle regole e il ruolo delle Autorità possiamo chiederci quale sia stata la capacità di reazione degli operatori – e segnatamente delle banche – all’incertezza della fase ciclica e all’aumento della concorrenza.
La debolezza congiunturale in Europa e in Italia ha determinato nel corso del 2002 un progressivo rallentamento della dinamica del credito che si è aggiunto al prolungato riflusso del mercato del risparmio gestito. Ne è derivata una contrazione dei ricavi complessivi delle banche e una flessione della redditività. per la prima volta nel 1997, le previsioni registrano una risalita del “cost/income” ratio per il 2002 e una sua stabilizzazione nel 2003.
In uno scenario previsivo di lenta ripresa nel corso del corrente anno le banche affidano la difesa dei propri margini di redditività in larga misura alla ristrutturazione organizzativa e al controllare i costi e i rischi.
Gli interventi sulle strutture sono ancora più incisivi per quei gruppi che – come nel caso di Capitalia – sono il risultato di recenti operazioni di consolidamento. Questi interventi hanno obiettivi comuni, seppur perseguiti con modalità diverse.
Direi che vi è innanzitutto la finalità di perseguire e massimizzare le economie di scala senza rinunciare ai vantaggi della diversificazione e della specializzazione. E questo porta a concentrare e razionalizzare le attività che possono essere messe in comune senza spezzare un rapporto fiduciario costruito con la clientela di riferimento. Nascono così le “società prodotto” e molte attività della finanza vengono unificate a livello di gruppo.
Il secondo obiettivo è quello di valorizzare quelle unità produttive che si qualificano per il contenuto specialistico della propria attività o per l’insieme di relazioni che hanno consolidato con un territorio di riferimento. Questo porta al rafforzamento delle “reti bancarie” e delle società specializzate nell’investment banking e nel corporate finance.
Il terzo obiettivo è quello di massimizzare le sinergie fra le diverse attività e i guadagni di efficienza all’interno del gruppo, attraverso un’azione di forte coordinamento e di controllo dei rischi accentrata e affidata, in genere, alla holding capogruppo che deve presidiare le complessive condizioni di equilibrio economico, finanziario e patrimoniale.
Il moltiplicarsi dei progetti di razionalizzazione e di consolidamento nel settore bancario conferma che anche in Italia, il prolungarsi dell’incertezza e la fragilità del ciclo economico non hanno interrotto, ma anzi hanno sospinto la modernizzazione e la riqualificazione del nostro sistema finanziario.
Non appare però evidente la propensione dell’economia reale e dello sviluppo di giovarsi di questi ulteriori progressi dell’industria del credito.
Finanza e Mezzogiorno
La considerazione appena formulata mi consente qualche valutazione sull’ultimo aspetto che mi ero riservato di trattare: il ruolo della finanza nel favorire le condizioni di sviluppo in un’area – il nostro Mezzogiorno – che continua a rappresentare un caso emblematico al riguardo.
Non vi è ormai analisi che non attesti il salto qualitativo subito dell’offerta dei servizi finanziari nelle regioni meridionali.
L’ingresso delle banche esterne all’area e una aggressiva politica degli sportelli hanno innalzato il livello della concorrenza e l’efficienza del sistema.
Le scelte di investimento delle famiglie considerano ormai la più vasta gamma di strumenti finanziari. Le strutture e le professionalità dedicate ai servizi di finanziamento hanno potenzialità sostanzialmente analoghe a quelle presenti nel resto del territorio nazionale. I divari nei tassi di interesse attivi, a livello regionale, si sono sensibilmente ridotti, nonostante permangano condizioni di maggiore fragilità delle imprese operanti nell’area meridionale.
Nei rapporti banca e impresa rileviamo una significativa evoluzione di comportamenti che rispecchia un’accresciuta sensibilità nei confronti del ruolo critico della finanza e che è volta a costruire una relazione più stabile con la banca di riferimento. Questa evoluzione rappresenta una positiva risposta alla percepita maggiore selettività dell’offerta di credito che già anticipa gli effetti dell’accordo Basilea 2.
Se il sistema finanziario si rafforza nel Mezzogiorno, meno chiari appaiono invece i segnali sul fronte dello sviluppo.
Tre anni or sono, intervenendo a Palermo in occasione della sesta edizione di questo stesso Congresso, avevo affermato che il nostro Gruppo aveva fatto una scommessa “forte” sul Mezzogiorno e avevo elencato una serie di presupposti che potevano alimentare una fiducia nuova sulle capacità di recupero di quest’area.
Fra questi avevo citato – oltre alla funzionalità della finanza – la consapevolezza del ruolo critico svolto dalle strutture amministrative, la qualità delle risorse umane esistenti, la natura delle nuove tecnologie, il rilancio delle infrastrutture e della grande progettualità.
Nonostante la negatività della fase ciclica, che ha frenato taluni concreti avanzamenti, sono portato a confermare questo quadro di positive potenzialità.
La capacità di realizzazione delle opere pubbliche resta però inadeguata, nonostante la consapevolezza del ritardo infrastrutturale dell'area e nonostante i progressi del quadro normativo che incidono sulle modalità di programmazione e sulle procedure autorizzative.
Avevo parlato del possibile ruolo della finanza nel coinvolgimento del capitale privato e nel finanziamento dei grandi progetti. Questo ruolo era e resta assolutamente affidabile.
La casistica internazionale è ricca di operazioni di project financing e di finanza strutturata a sostegno di grandi progetti privati e di opere pubbliche a cui i nostri intermediari specializzati partecipano – spesso anche in posizione preminente e di Lead Arranger - in collaborazione con le principali banche di investimento internazionale.
Queste operazioni molto importanti possono essere fronteggiate sotto il profilo del rischio complessivo perché esiste ormai una consolidata expertise che consente di gestire la combinazione degli strumenti di finanziamento e perché il prestito viene sindacato tra un numero elevato di operatori attivi su mercati diversi.
La logica sottostante riflette – in linea con quanto ha osservato Greenspan – la capacità della finanza di dare soluzioni al vincolo finanziario e di ottenere una ripartizione dei rischi indipendentemente dalla “dimensione” delle esigenze.
La stessa logica potrebbe trasferirsi, senza particolari difficoltà, al finanziamento delle nostre opere pubbliche.
Se ciò mi conforta sulle potenzialità della finanza, non posso non manifestare una certa delusione dell’osservare la lentezza con cui procede la soluzione di molti problemi di drammatica attualità – quale quello della disponibilità di risorse idriche, dello smaltimento di rifiuti, della riqualificazione urbana, delle reti di trasporti – ben individuati fra le priorità nei Piani Operativi di molte regioni meridionali.
Alle opere pubbliche si può affidare una più incisiva azione anticiclica e di impulso allo sviluppo.
Non vogliamo però indulgere nelle recriminazioni, ma vogliamo continuare a sollecitare e ricercare le opportunità di lavoro, di collaborazione e di impegno nella consapevolezza di poter contare su un sistema finanziario più stabile ed efficiente.
Con la speranza di poter contribuire a una mobilitazione di forze e di motivazioni che deve essere di tutti.
Vi ringrazio.