Review of Economic Conditions – L’Europa vista dalla Cina
Sono lieto di porgere un caloroso benvenuto a voi tutti, Autorità e studiosi, segnatamente agli illustri amici della prestigiosa Accademia Cinese delle Scienze Sociali, e al premio Nobel Edmund Phelps. Con questo incontro - dal significativo titolo: L'Europa vista dalla Cina - intendiamo celebrare i sessant'anni di vita della Review of Economic Conditions in Italy.
Nata nel 1947, anno di svolta per il Paese, su iniziativa dell'economista Costantino Bresciani Turroni, all'epoca presidente del Banco di Roma, la Review - unitamente ad altre due pubblicazioni poi sopravvenute, Economia Italiana e The Journal of European Economic History, tutte dirette oggi con autorevolezza dall'economista Paolo Savona - ha contribuito alla diffusione della ricerca nell'ambito della teoria e della politica economica e alla conoscenza della realtà economico-sociale dell'Italia, dell'Europa e del mondo: è dunque giusto considerarle un comune patrimonio da salvaguardare.
E' un'occasione, quella che ci vede qui riuniti, tanto più felice in quanto ricorre anche il cinquantenario della firma dei Trattati di Roma, dei trattati istitutivi della Comunità Economica Europea. Un'occasione, questa, per gettare un ponte tra un passato denso di eventi meritevoli di essere meditati e un futuro ricco di sfide da affrontare con determinazione.
L'incontro, mi piace ricordare ancora, nasce da una proficua collaborazione sviluppatasi, nel corso degli anni, tra la Direzione delle menzionate riviste e l'Accademia Cinese delle Scienze Sociali, il più importante istituto di ricerca di quel grande paese, che contribuisce non poco a diffonderne la conoscenza nel mondo.
I rapporti di collaborazione, avviati nel 1999, sono stati rinsaldati, nel 2002, grazie alla firma di una ''convenzione'' tra Capitalia e l'Istituto di Studi Europei, che nell'ambito di detta Accademia è chiamato ad approfondire tematiche economiche, sociali e istituzionali riguardanti l'Europa.
I programmi di ricerca sviluppati e gli studi condotti su temi di reciproco interesse dalla Review, in collaborazione con l'Accademia, sono sinteticamente annunciati nel programma che è stato inviato ai partecipanti. Essi puntano a rafforzare la cooperazione tra la Cina e l'Italia, due nazioni che hanno alle spalle una lunga storia e un ricco patrimonio culturale, e sono inoltre unite da una lunga tradizione di scambi e di amicizia.
L'incontro odierno si colloca in una nuova fase dei rapporti geopolitici e geoeconomici internazionali, sui quali l'Europa è chiamata a riflettere per poter svolgere il ruolo che le compete, se beninteso non vuole condannarsi ad essere emarginata in un sistema economico mondiale centrato sugli Stati Uniti e sempre più influenzato dalla crescita del continente asiatico.
Nessuno poteva immaginare, appena qualche decennio fa che, dopo il Giappone e la Corea del Sud, la Cina, unitamente all'India, avrebbe reso l'Asia un continente che si propone come centro gravitazionale dello sviluppo e degli scambi, determinando un mutamento dei rapporti di forza nel quadrante dell'economia globale.
E' certo che dopo secoli di riflussi, e a dispetto di apporti dati nel passato lontano, che ne aveva fatto il civilissimo ''impero di mezzo'', la Cina si presenta sulla scena globale in veste di protagonista. Essa si è ''aperta'' al mondo, ben consapevole della nuova fase della globalizzazione dei mercati.
La Cina, già terzo mercato d'importazione, dopo gli Stati Uniti e l'Unione Europea, ha consolidato la propria posizione quale terzo partner commerciale della UE. Con l'ingresso nell'area europea di nuovi paesi, essa si avvia a diventarne il primo partner in assoluto. E sarà quindi interessante conoscere come la Cina giudica l'evoluzione in atto nell'ambito dell'Unione Europea.
Certo, non è solo questo grande paese a determinare il nuovo corso. Anche l'India si è inserita progressivamente nella global economy, condizionando il futuro economico e politico mondiale. C'è di più. Cina e India non sono solo l'aggregato delle due nazioni più popolose del pianeta, ma anche un nuovo centro che, con i paesi che gli fanno da corona, cresce demograficamente ed economicamente a ritmi eccezionali, al punto da produrre effetti dirompenti a livello mondiale, tanto nella mappa geoeconomica, che in quella geopolitica.
Non che manchino le contraddizioni proprie di ogni sviluppo accelerato: forti disuguaglianze e gravi disparità di reddito fra città e campagna; fenomeni di sostenibilità della crescita, per l'impatto che essa esercita sull'ambiente e sulla domanda di energia e di materie prime; congestione urbana, che alimenta altrettanti focolai di alterazione degli equilibri ecologici e sociali.
Le autorità cinesi hanno di conseguenza riconosciuto la necessità di adeguate e progressive riforme. L'ultimo piano quinquennale, infatti, sembra contenere un richiamo esplicito al riequilibrio dell'economia: vi si parla, non a caso, di ''sviluppo armonico''. Concetto, questo, certo da condividere e su cui riflettere, anche perchè l'attuale dibattito sulla globalizzazione tende colpevolmente a distogliere l'attenzione dalle ''questioni interne'' dei singoli paesi.
Questo vale sia per questi nuovi grandi soggetti economici, alle prese con le drammatiche disuguaglianze, sia per le economie occidentali, chiamate ad affrontare i problemi che si possono creare, sul fronte dell'occupazione, dai processi sempre più intensi di delocalizzazione.
In questo nuovo contesto ci si chiede quale sarà il ruolo dell'Europa che, seppur frammentata politicamente, rappresenta un blocco economico sempre più potente. E' infatti un grande mercato mondiale; è il primo esportatore, a livello mondiale, di beni e di servizi; sta creando una imponente rete di trasporti integrata, nel campo dell'energia, delle telecomunicazioni, della finanza. E si contraddistingue per la qualità della vita, per l'elevata solidarietà sociale, per l'attenzione posta alla tutela dell'ambiente.
Ma l'Unione è politicamente incompiuta e ciò non contribuisce alla governabilità globale. Il rischio è l'emergere di nuove forme di competizione tra grandi blocchi regionali, in cui altre grandi potenze economiche (Cina e India, ma anche Russia e Brasile) si presenteranno come attori principali.
In questo scenario, il peso dell'Unione Europea nell'economia mondiale si potrebbe progressivamente ridurre e la sua influenza politica ed economica pottrebbe trovarsi ridimensionata.
E' forte, quindi, la convinzione che sia necessario rilanciare il progetto europeo di integrazione, rimasto invero a metà del guado, e completare così l'opera avviata dai Padri fondatori.
Il tema del futuro istituzionale dell'Europa è di nuovo al centro dell'agenda europea e il recente vertice dei Capi di Stato a Bruxelles ha raggiunto un faticoso compromesso che consente di recuperare in un Trattato alcune parti significative della Costituzione comune. E' un compromesso che riflette divisioni, ma anche volontà di superare una difficile fase di stallo e i problemi seguiti all'ingresso nell'Unione di nuovi Paesi membri.
Se beninteso vogliamo fare dell'Unione una potenza economica con maggiore influenza sulla scena internazionale, è necessario proseguire nella realizzazione di un comune quadro costituzionale, attribuire maggiori poteri e più ampie risorse alle istituzioni comunitarie, rendere più efficaci le regole di funzionamento e le procedure in settori economici di grande rilievo.
Ma è soprattutto urgente accrescere la concorrenza e ridurre le rigidità in tutti i comparti del mercato; offrire maggiori incentivi alla formazione e ridurre ulteriormente sussidi e protezioni; rinunciare a parte della tassazione e usare meglio le risorse per le politiche di protezione sociale. Una socialità che rallenta spesso la creazione di nuovi posti di lavoro, contentandosi di difendere quelli vecchi.
Certo, la politica a tutela della concorrenza e l'applicazione di regole che proibiscono gli aiuti di Stato sono le aree in cui l'Europa ha ottenuto i maggiori successi. Nondimeno, persistono preoccupazioni: sulla ''sosteniblità'' degli attuali livelli di welfare State; sulle pressioni demografiche in atto (l'invecchiamento è preoccupante); sull'immigrazione dall'Europa dell'Est e dall'Africa del Nord; sulla fuga dei migliori ricercatori verso gli Stati Uniti.
L'Europa rischia, in particolare, di essere schiacciata da una duplice spinta: quella della concorrenza mossa dai servizi ad alta tecnologia dell'America e, più in generale, dall'alta produttività ivi operante, e quella, non meno preoccupante, delle manifatture a basso costo dell'Asia. Accrescere l'efficienza dell'apparato produttivo, espandersi nei nuovi servizi, puntare alle fasce più alte di qualità, sono dunque obiettivi irrinunciabili. Non è insomma proteggendosi dagli effetti dell'integrazione economica e della globalizzazione che si fa molta strada.
E neppure chiudendo gli occhi sull'esigenza di porre sotto controllo i conti pubblici, da realizzare attraverso tagli della spesa e non aumenti di imposte, e di portare avanti con coraggio una riforma delle pensioni spostando il peso sull'iniziativa individuale.
Dieci anni orsono, per celebrare i cinquant'anni della Review, scegliemmo come tema della discussione quello della globalizzazione dei mercati e degli orizzonti del capitalismo. Direi che un ideale e solido rapporto ci lega a quella tematica, ripresa oggi da altre angolature e con nuovi protagonisti.
Le conclusioni di quell'importante incontro, stimolante per apporti e analisi di alto livello, diffusero la consapevolezza che le trasformazioni in corso, in quella stagione, all'interno del sistema mondiale non andavano considerate come una semplice esaltazione delle interdipendenze economiche e dell'integrazione tra economie.
In quell'occasione, fu sapientemente sottolineato che la globalizzazione si poneva come un fenomeno essenzialmente multidimensionale, e che, come tale, richiedeva sostanziali cambiamenti nelle istituzioni, nei sistemi sociali, nelle modalità di gestione della politica economica. Si era nel giusto: a dieci anni di distanza, è infatti decisamente cambiato il modo di concepire i rapporti economici, sociali e politici.
Il sistema monetario internazionale inaugurato a Bretton Woods, nel 1944, si è esaurito da tempo; sono emersi nuovi giganti economici che fanno sentire sempre più la loro influenza sul governo politico del mondo; il processo di globalizzazione influenza il modo di essere del capitalismo; lo spazio di manovra dei governi nazionali si restringe e ciò condiziona le politiche chieste dai cittadini. Se in questa fase non emergerà una nuova governance, il pericolo è quello di nuove forme di protezionismo.
In questo scenario l'Europa, che ha sviluppato da sempre la cultura della liberalizzazione degli scambi, può svolgere un ruolo determinante, soprattutto se saprà parlare con una sola voce.
Per concludere. Sono sicuro che da questo incontro verranno analisi che favoriranno una migliore comprensione dei problemi sommariamente richiamati e si tradurranno in potente stimolo a operare per una migliore cooperazione tra i popoli. La collaborazione che abbiamo instaurato con l'Accademia cinese si inserisce, infatti, nel solco di una antica tradizione che vuole nella diffusione della reciproca conoscenza una premessa per realizzare obiettivi non solo a carattere culturale, ma anche sociali e commerciali.
Un rinnovato caro benvenuto, dunque, e l'augurio di buon lavoro.