Banca Roma, nocciolo a tre

Corriere della Sera

Emanuele attacca Lamanda: la trattativa con Bam andava chiusa prima

Roma - Cesare Geronzi, presidente della Banca di Roma, ha ottenuto il via libera dell'azionista di maggioranza, la fondazione Ente Cassa di risparmio di Roma, al suo progetto di aumento di capitale. Sono state necessarie quattro ore di discussione ma alla fine il presidente dell'ente Emmanuele Emanuele è riuscito a spuntare la quasi unanimità dei voti in assemblea: solo due i soci contrari, il principe Sforza Ruspoli e l'avvocato Rinaldo Chidichimo, e undici gli astenuti. Intanto è arrivata la conferma ufficiale della rottura delle trattative tra la Banca di Roma e la Banca Agricola Mantovana, che era uno dei tre candidati al ruolo di azionista stabile accanto all'ente, alla Toro e all'Eds.
La quota di aumento del capitale che era destinata alla Bam «andrà sul mercato», ha detto Emanuele. Non ci saranno sostituti nel nucleo degli azionisti stabili che sarà retto da un patto di sindacato nel quale l'ente sindicherà solo una parte della sua quota (circa il 32% dopo l'aumento di capitale). Quanto a Toro (che ieri ha definito l'investimento nella Banca di Roma «di particolare interesse») ed Eds, che dovrebbero entrare nel capitale con una quota rispettivamente del 7-8% e del 2%, il presidente della fondazione ha auspicato un ampliamento della loro partecipazione in modo da portare il «nocciolo» attorno al 50%.
Emanuele si è detto fiducioso sulla riuscita del rilancio della Banca di Roma sulla base del progetto Geronzi. Rilancio che dovrebbe assicurare all'ente «il recupero in valore della riduzione della partecipazione», determinata dalle rettifiche di bilancio e dal conseguente pesante deficit dei conti economici (- 2.800 miliardi) nonché dalla non sottoscrizione del prossimo aumento di capitale. Emanuele ha quindi snocciolato le cifre a sostegno del suo ottimismo: «Un anno fa il patrimonio netto contabile dell'ente nella banca era di 5.513 miliardi, con un valore di carico pari a 4.945 e di Borsa pari a 2.367 miliardi». Con un titolo attestato tra 1.200 e 1.700 lire «il 32% del futuro è superiore, nel valore di costo, al 51% del passato». L'Iri, ha aggiunto Emanuele a mo' di esempio, «ha deciso di vendere e di scontare subito la perdita, l'ente di ridurre la quota e di guadagnare quando, una volta recuperato il valore, cederà l'intera partecipazione». Al momento però il problema è il successo dell'operazione sul capitale: il nucleo stabile con l'appoggio esterno degli investitori istituzionali, come la Comit e il Credit, «basterà» a condurlo in porto. Senza contare «l'interesse» degli investitori libici e americani. E la Bam? Emanuele non ha dubbi: «La trattativa andava chiusa prima» ha affermato, imputando al direttore generale della holding della Cassa di Roma, Carmine Lamanda, la responsabilità di aver «trascinato per le lunghe» i contatti con i mantovani.