Guai al banchiere che si sottrae agli obblighi verso il sistema

Milano Finanza

Pubblichiamo alcuni stralci dell'ampia relazione svolta ieri da Cesare Geronzi, presidente delle Generali, durante l'annuale Meeting organizzato da Comunione e Liberazione a Rimini.

[_] L'esperienza maturata presso la Banca d'Italia sotto la guida (non solo professionale, ma di vita) di un personaggio che è stato per molti un maestro, Guido Carli, ha impresso in me caratteri incancellabili: la cura costante della professionalità, la capacità di decidere dopo aver approfonditamente analizzato il thema decidendum, il rigore dell'istruttoria, avendo sempre come stella polare, prima di predisporre la scelta conclusiva, quello che veniva definito il «superiore interesse dell'Istituto» coincidente con gli interessi generali, l'immancabile assunzione delle responsabilità dell'agire. Sono caratteri rigorosamente osservati da tutti i successori di Carli.
Dunque, imprenditorialità ma anche valutazione degli impatti generali delle decisioni del banchiere. Quando sono stato investito di funzioni esecutive, mi sono sforzato, e probabilmente non sempre con successo, di fare ciò che oggi le autorità monetarie chiedono ai vertici delle aziende di credito: cioè compiere uno scrutinio del merito di credito che tenesse conto non solo delle garanzie apprestate, ma anche e soprattutto della validità delle iniziative da finanziare, del progetto, delle sue ricadute anche se non a breve termine.
Gli effetti della crisi hanno messo in evidenza come sia importante che il banchiere sostenga le operazioni meritevoli anche quando i dati non sono a favore dell'impresa da affidare. La Banca d'Italia si è formata, agli inizi del secolo scorso, anche attraverso interventi in situazioni di dissesto e proprio con l'obiettivo di attenuarne le conseguenze. È nel suo dna il recupero di soggetti economici e finanziari in condizioni di acute difficoltà. Da questo punto di vista, l'osservatorio privilegiato di Via Nazionale è stato una grande scuola per me.
Di quegli insegnamenti mi sono giovato quando (anche per rispondere a logiche di sistema che mai tuttavia passavano sopra alle logiche d'azienda ma con queste ultime si combinavano) ho promosso, con i miei collaboratori, una nutrita serie di concentrazioni che avevano lo scopo di conseguire sinergie e, quindi, condizioni più avanzate sotto il profilo patrimoniale, reddituale e dell'efficienza operativa. Ma spesso rispondevano anche all'esigenza di impedire l'aggravamento delle condizioni della banca aggreganda e di conservare e sviluppare un radicamento territoriale.
Si conferivano, così, stabilità e migliori prospettive alle aziende di credito interessate, alla loro clientela, ai dipendenti, alle relazioni con altre banche, al contesto economico-territoriale, e così via. A volte si è trattato di veri e propri salvataggi. E tuttavia, anche in questo caso non sono mai state pretermesse le ragioni di economicità della banca aggregante, viste in una logica di medio-lungo termine.
Realizzata una delle migliori operazioni di concentrazione, nell'ambito della quale il gruppo da me presieduto (Capitalia) si è aggregato con una banca di livello internazionale come Unicredit, ho compiuto per circa un triennio una nuova esperienza in un intermediario assolutamente originale, qual è Mediobanca, la cui storia, fatta di alta professionalità e di straordinaria dedizione di chi vi lavora, attraversa l'intero periodo successivo alla seconda guerra mondiale fino ai giorni nostri. Ora sono al vertice delle Generali, la prima multinazionale italiana. [_]
Gli effetti della crisi finanziaria globale e della successiva tempesta innescata dalla Grecia non sono ancora superati. È stato un triennio di fuoco. In Europa, la ripresa, che può dirsi avviata, e appare migliore delle previsioni, è tuttavia ancora discontinua e incerta. Dagli Stati Uniti non vengono segnali rassicuranti, considerati i problemi della crescita e dell'occupazione. E si presenta con forza sulla scena internazionale la Cina. Ciò che è avvenuto in questi ultimi tre anni non è valutabile solo in base ai pur fondamentali dati macroeconomici, ma si avvicina a un passaggio d'epoca. [_] Come ha detto di recente il Presidente della Repubblica, dobbiamo però guardare avanti, al futuro. Dobbiamo essere in grado di costruire una società migliore per le generazioni che verranno. E a tal fine è necessario, oltre all'intelletto ovviamente, anche il cuore al quale voi vi riferite. Sarà fondamentale affrontare le riforme di struttura, reagire al calo demografico (considerato anche il rischio del sia pur controverso anticipo della «gobba» pensionistica) e contrastare il bradisismo economico che ci caratterizza da un quindicennio per il quale avanziamo sempre della metà rispetto ai concorrenti quanto a competitività, produttività, quota di commercio internazionale, eccetera. Non possiamo continuare a vivere a spese delle generazioni future. Non ce lo consentirebbero più neppure i nostri legami europei e internazionali.
Tutti, allora, debbono fare la propria parte, l'Europa, il governo, le istituzioni della politica in genere, le imprese (ivi comprese, ovviamente, le banche e le assicurazioni) i sindacati, le altre organizzazioni sociali. Nel versante dell'Unione Europea, è fondamentale dare avvio alla costruzione di un governo economico, per la quale non è sufficiente la pur importante revisione della struttura e dei contenuti del Patto di stabilità e di crescita. Nel frattempo occorrono scelte concrete, che facciano avvertire effettivamente l'essenzialità del ruolo dell'Unione, quale potrebbe essere un programma di emissione di titoli europei per finanziare un piano comunitario di sviluppo nelle infrastrutture e nella ricerca.
All'interno, e in coerenza con gli indirizzi europei, come accennato, è cruciale rialimentare la crescita. Dobbiamo, così, contrastare i dati non esaltanti sul lato del tasso di disoccupazione, della partecipazione delle forze di lavoro, dei cosiddetti «scoraggiati», degli «inattivi». Bisognerà fare di più. L'impegno del governo è valso a evitare impatti straordinari della crisi finanziaria globale. Gli ammortizzatori hanno svolto un ruolo importante. Ma occorre ora guardare alla prospettiva.
Una nuova regolamentazione dei rapporti di lavoro, un nuovo statuto non dei lavoratori ma dei lavori, che privilegi il momento della partecipazione di chi lavora al processo produttivo aziendale prevedendo un più efficace aggancio dei salari alla produttività senza, tuttavia, superare alcune garanzie di carattere nazionale, potrebbe essere la via da seguire secondo un modello di nuova, diversa, concertazione. Finita la centralità della fabbrica, superata la centralità della classe operaia, ma non il valore del lavoro nella fabbrica grande o piccola che sia, è tempo di allargare la visione dei partecipanti alla produzione e al lavoro in genere. Un modello di contrattazione e di rapporti di lavoro che dia maggiore stabilità di prospettive all'impiego ma, nel contempo, ne renda più flessibile lo svolgimento in relazione alle sorti della produzione potrebbe essere la via da seguire.
Una riorganizzazione del mercato del lavoro lungo le linee prospettate dal governo, deve consentire una riforma organica e di lunga durata degli ammortizzatori sociali; ci si deve, insomma, dare carico del mondo esterno all'impresa, dei giovani che aspirano a un lavoro. Vanno sperimentate forme articolate di partecipazione ai risultati aziendali.
Il lavoro e la conoscenza tecnica sono un bisogno universale, come Benedetto XVI afferma nell'enciclica Caritas in veritate. E si deve trattare di un lavoro «decente», che sia espressione della dignità e della libertà dell'uomo. Preparare il futuro significa inoltre darsi carico delle conseguenze dell'allungamento della vita media con tutto ciò che ne consegue sul piano dello sviluppo demografico, delle immigrazioni, dell'assistenza, insomma di un nuovo welfare. […]