Capitalia, il patto è fatto ma il futuro resta aperto

La Repubblica

L'arrivo di quattro nuovi soci, tra cui la Fininvest della famiglia Berlusconi, nell'accordo che adesso vede insieme ben diciotto protagonisti, indica la strada verso un nuovo assetto che sarà determinato dalla decisione di Abn Amro, forse già a gennaio. Ma a tenere le fila è sempre Cesare Geronzi

Che cosa succede dentro Capitalia? L'arrivo nei giorni scorsi di quattro nuovi soci, tra cui la Fininvest di Berlusconi, nel patto di sindacato, rimette in movimento il quarto gruppo bancario italiano. Per andare dove? Una prima risposta si avrà al consiglio di amministrazione del prossimo gennaio, quando forse l’Abm Amro dirà se vorrà cedere la propria quota, oggi diluita al 7,68 per cento dopo le ultime decisioni del consiglio di amministrazione. Ma tutti gli osservatori hanno gli occhi puntati sulla questione Antonveneta e pensano che soltanto quando i magistrati rilasceranno le azioni ora sotto sequestro l'Abn Amro potrà sciogliere la riserva. Soltanto quando potrà portare a termine la fusione con l’Antonveneta, la banca olandese dirà se vuole vendere il suo pacchetto. Il presidente, Cesare Geronzi, ha dichiarato che Abn Amro potrebbe anche decidere di rimanere, ma tutti gli osservatori sono concordi nel ritenere questa un'eventualità alquanto remota. Come sarebbe possibile, infatti, conciliare il controllo di una banca italiana, l’Antonveneta, con la presenza, come primo azionista tra l'altro, nel patto di sindacato di una diretta concorrente?
La risposta che si attende a gennaio potrebbe però slittare ancora più in là, se per l’occasione non sarà stata messa la parola fine alla vicenda Antonveneta. Del resto, il patto varrà fino alla fine del prossimo ottobre, e dunque Abn Amro ha ancora molto tempo davanti a sé. Intanto in Piazza Affari si fanno le ipotesi più varie. La più accreditata è che l'ingresso dei quattro nuovi soci – oltre a Fininvest anche la Fineldo di Merloni, l’Italmobiliare di Pesenti e Angelini - sia in realtà il preludio all'acquisizione da parte di questi stessi soci di quote più consistenti di Capitalia nel momento in cui Abn Amro ne dovesse andare o anche se dovesse restare. Le attuali quote, infatti, sono molto piccole, e vanno dallo 0.40 ciascuno di Fininvest e Merloni allo 0.15 di Pesenti e Angelini. La holding guidata da Marina Berlusconi, in particolare, è molto liquida e Capitalia, che sta chiaramente tentando di diventare un nuovo crocevia nella finanza italiana, potrebbe rientrare fra le occasioni più appetibili.
L'ingresso dei nuovi soci nel patto di sindacato parte in realtà da un fatto "industriale", l'incorporazione delle controllate Fineco e Mcc. In quest'ultima i quattro nuovi soci di Capitalia erano azionisti di minoranza (fra il 2002 e il 2003 era stato ceduto il 25 per cento del capitale) e con la fusione hanno ricevuto in cambio azioni della controllante. Fineco era una subholding di cui non si sentiva più la necessità in vista di una semplificazione dell'assetto di controllo. Da Mcc sono state inoltre scorporate le funzioni di investment banking e trasferite in seno a Capitalia dove vengono divise in due tronconi: da una parte le attività corporate, dall'altra l'attività di sponsor nei collocamenti.
Tornando nell'assetto della governance, nell'ultimo consiglio d'amministrazione sono state poste le basi per le future mosse sia in senso difensivo sia eventualmente per un allargamento del "parco soci". Tra l’altro le attuali norme consentono adesso al patto, dopo la diluizione del capitale conseguente alle fusioni, di crescere ancora del 3 per cento.  L'innovazione più interessante si rintraccia in una delibera tra l'altro proprio quella contestata da Emmanuele Emanuele, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio, che lascia facoltà al consiglio d'amministrazione di effettuare un aumento di capitale fino al 10 per cento con esclusione del diritto di opzione degli attuali soci. Il che significa lasciare le porte aperte a nuovi ingressi nel libro soci (mentre il ritorno della Fondazione sembra di fatto escluso, al di là delle vaghe e cortesi dichiarazioni in proposito).
Proprio la possibilità di questo aumento di capitale è stata letta come l’espediente più valido per rintuzzare eventuali operazioni ostili. Le quali sono si considerate sempre possibili, ma non molto probabili. Un po' a causa delle dimensioni dell'eventuale Opa (Capitalia non è sotto questo profilo paragonabile all'Antonveneta), ma soprattutto a causa del diverso peso specifico che il gruppo bancario romano svolge negli equilibri della finanza (basta pensare che nel suo portafoglio c'è 1'8,4 per cento di Mediobanca, il 3,14 di Generali, il 2,02 di RCS, il 2,05 di Gemina e l’1 circa di Pirelli, tanto per fare qualche esempio).
Insomma, tutto lascia pensare che, anche nel caso probabile che Abn Amro esca, il management, guidato dal presidente Geronzi e dall'amministratore delegato Matteo Arpe, sia in grado di pilotare con sicurezza l'assetto della governance verso i futuri lidi. Del resto a rendere più forte la posizione del management c’è un patto di sindacato formato da ben 18 società che controllano il 30,5 per cento del capitale (a cui bisognerebbe aggiungere un 1 per cento in più fuori dal patto  in mano alla Regione Sicilia). L'assetto di controllo è dunque molto frastagliato ed è anche fortemente influenzato dalla capacità di aggregazione dei soci da parte di Geronzi.