Il potere a tavola

L’alta finanza sta a dieta

Non sono molti quelli che hanno trascorso il viaggio di nozze chiusi negli uffici della Bri, la Banca dei regolamenti internazionali, a Basilea. Ebbene sì sono davvero  pochi coloro ceh possono vantare da giovani un’esperienza come quella dell’ormai settantenne presidente di Capitalia, Cesare Geronzi. Allora a 35 anni, interruppe, come racconta lui stesso, il viaggio di nozze a Madeira perché chiamato a Basilea per partecipare alla riunione del comitato sulla costituzione del serpente monetario, ovvero il sistema di rapporti di cambio tra le valute europee. “Se allora che avevo poco più di trent’anni ho rinunciato alle vacanze con mia moglie, figurarsi se oggi mi lascio attirare dei salotti mondani” mi dice mentre mi riceve nella sede di via Minghetti in un salotto dal soffitto affrescato e con preziosi De Chirico alle pareti. “Altro che barche, ricevimenti, ristoranti; la mia vita è molto semplice, non sopporto mangiare fuori casa e poi i miei pasti sono più che altro degli spuntini”. Difficile infatti incontrarlo nei centri della mondanità, appartiene a quel potere di razza che preferisce stare nell’ombra, convinto che gli amici non si contano ma si pesano. L’ultima volta che lo si ricorda ad un evento mondano è stato il 14 giugno dell’anno scorso ad un matrimonio. Ma quella volta, di certo, non poteva mancare, dato che la sposa era sua figlia Chiara con Fabrizio Lombardo a San Gregorio al Celio. Al ricevimento c’era davvero tutta la Roma che conta, compreso Edward Lampert, testimone dello sposo, il nuovo Warren Buffet negli Usa.
A dispetto delle numerose operazioni finanziarie definite sotto la sua regia, i ritmi frenetici non fano parte della vita di Geronzi. La sua idea della finanza è una sorta di elogio del rispetto delle regole. “Non c’è niente di così importante – sostiene – che non possa essere risolto l’indomani”. E in perfetta coerenza con questa filosofia non si è fatto contagiare dallo stressa da cellulare (“lo tengo quasi sempre spento”) come pure dalla sindrome del presenzialismo, ovvero essere sotto i riflettori sempre e comunque. Così se gli si chiede quale ristorante preferisce, non ne sa indicare nessuno per il semplice fatto che non li frequenta e se ha un incontro di lavoro, si può star sicuri che non finisce a tavola. Per essere un romano, è davvero un’eccezione.

Cuffaro e i cannoli del patto

Quella volta Totò Cuffaro, il presidente della Regione Sicilia, ha dovuto sudare proprio le fatidiche sette camicie. Era da tempo che bussava alla porta di Geronzi per essere ammesso nel patto di sindacato, il salotto buono di Capitalia, tra  gli azionisti che contano. Eppure noi abbiamo un buon 3,34% del capitale, siamo i terzi azionisti, non ci possono lasciare fuori, andava dicendo Cuffaro da mesi. L’operazione però non era così semplice anche perché gli si era scatenata contro parte della stampa che aveva criticato l’ingresso di un ente pubblico, quale la Regione, in una banca privata. Ma Cuffaro che è uno tosto non si era dato per vinto. Alla fine riesce a spuntarla. L’occasione è fornita dalla scadenza del vecchio patto di sindacato. Si arriva quindi alla firma che sancisce l’ingresso dei siciliani nella stanza dei bottoni di Capitalia. Tutto era stato preparato per l’evento a Palazzo De Carolis, sede di Capitalia. Era il 22 ottobre del 2003. Concluse le ultime formalità, Cuffaro con un vero colpo di scena, come solo i siciliani sanno fare, ecco che fa entrare nella sala delle riunioni, una fila di camerieri, ciascuno con un vassoio con i migliori cannoli siciliani, fatti venire apposta per l’occasione, da una nota pasticceria di  Palermo. In quel caso, trasgredendo alla consuetudine, anche Gerozi, si è lasciato andare ad un peccato di gola.

Convention all’americana per Capitalia

Il fatto è del tutto insolito in Italia. Di solito le convention fanno parte della vita delle multinazionali americane che per cementare il senso di appartenenza del management, organizzano mega raduni conviviali in cui tutti non fanno che ripetersi quanto sono bravi e grandi. Questa usanza non fa proprio parte delle consuetudini aziendali italiane; i grandi gruppi spesso riuniscono i vertici, mantenendo però un tono austero e quindi niente affatto mondano. Così le due mega cene organizzate da Capitalia per di più in una cornice eccezionale, sono stati dei veri e propri eventi. La prima volta, il 19 settembre del 2003, l’idea era di festeggiare l’anniversario, a un anno di distanza, della nascita del gruppo Capitalia. Circa 160 invitati, tutti dirigenti, parteciparono alla cena di gala allestita all’interno del Colosseo, nel piano dell’Arena. Anche il menu, come la location, era ai massimi livelli. Dal taboulet di pesce alla menta, ai ravioli di ricotta in salsa di pomodori pachino, alla tagliata di filetto per finire con un semifreddo guarnito di fragoline. E siccome è stato un successo, l’anno dopo si è replicato. Anche in quell’occasione è stato scelto un posto di assoluto prestigio: la Galleria del Braccio Nuovo ai Musei Vaticani con un numero di invitati quasi raddoppiato. La sfilza di piatti non è stata da meno rispetto alla volta precedente: con riso Basmati bianco e nero guarnito da gamberi rossi di Sicilia e pistilli di zafferano, bigoli corti con faraona, tagliata di chianina e bavarese di lamponi. Non c’è che dire per un gruppo bancario che comunque non ama.