Geronzi, il superbanchiere romano che sbarca nel nord-est
Il Foglio
Che vadano o meno in porto i progetti di incrocio azionario tra Popolare di Vicenza e Banca di Roma (ieri Mediobanca, ispiratore del progetto, evidentemente piccata per la fuga di notizie, gettava acqua sul fuoco), le strategie di Cesare Geronzi assumono contorni sempre più nitidi
Milano. Che vadano o meno in porto i progetti di incrocio azionario tra Popolare di Vicenza e Banca di Roma (ieri Mediobanca, ispiratore del progetto, evidentemente piccata per la fuga di notizie, gettava acqua sul fuoco), le strategie di Cesare Geronzi assumono contorni sempre più nitidi. Le quotazioni del banchiere capitolino, per unanime riconoscimento di amici e nemici uno dei più bravi in circolazione, nella seconda parte dell'anno appena chiuso si sono rese protagoniste di una clamorosa rimonta. A marzo, quando il San Paolo di Torino lanciò un'audace quanto impreparata offerta sulla Banca di Roma, tutti lo davano per spacciato. A dicembre, attraverso l'acquisizione del Mediocredito centrale con l'importante coda del Banco di Sicilia, era di nuovo al centro dei giochi, ma nella posizione di chi li fa, non di chi li subisce. Riconquistata la tranquillità, Geronzi si muove su due fronti. L'operazione con la Vicenza obbedisce al chiaro intento di delocalizzare la banca: da polo aggregante del centrosud, così come era negli auspici della Banca d'Italia, a colosso nazionale presente anche nelle zone del paese dove più ricco è il tessuto industriale. L'ingresso della popolare guidata da Gianni Zonin gli serve per parcellizzare ulteriormente l'azionariato.
Il ragionamento è quello noto secondo il quale avere più padroni equivale a non averne nessuno di predominante. Adesso, almeno sulla carta, è la Fondazione, cioè il socio con cui Geronzi ha avuto le maggiori incomprensioni, a pesare di più (il San Paolo aveva eletto a possibile cavallo di Troia del suo fallito blitz proprio la Fondazione). Dovrebbe però essere proprio l'ente presieduto da Emanuele Emmanuele, con il quale i rapporti di Geronzi sono correttissimi, a cedere parte della sua quota alla Popolare di Vicenza. Poi ci sono la Fiat, i libici, e gli olandesi della Abn-Amro che scalpitano per crescere. Ed è proprio la banca della regina a preoccupare di più Geronzi: ad Amsterdam non si perde occasione per dire pubblicamente che Roma diventerà a pieno titolo provincia dell'impero. Lo dice anche, ma in conversazioni private, Gilberto Gabrielli, il loro plenipotenziario italiano. Gabrielli non parla a vanvera, sa di poter contare sugli ottimi rapporti con Palazzo Chigi, che non a caso lo ha voluto nel consiglio d'amministrazione delle Ferrovie. Ma sa anche che Geronzi gode di altrettanta, se non maggiore considerazione, e che in più ha dalla sua tutto il peso e l'autorevolezza di Antonio Fazio. Il Governatore, come è noto, è sempre stato cauto nell'aprire la porta all'espansionismo delle banche straniere. Così l'ingresso della Vicenza, anche se dà fastidio a molti istituti del Nord che con Bankitalia marciano in piena sintonia, a cominciare dalla Banca Intesa di Giovanni Bazoli, gli pare un'ottima occasione per ''italianizzare'' il capitale dell'istituto romano. Inutile dire che la cosa suscita diffidenze all'Abn, e per due motivi: ne ferma la crescita, in più le porta concorrenza in casa propria, in quel Nord Est che presidia attraverso i forti legami con la popolare padovana Antonveneta. A cui va di traverso la seconda parte del progetto di matrimonio elaborata da Mediobanca, che prevede anche l'ingresso della Banca di Roma nella Vicenza al momento della sua futura quotazione in Borsa (si parla del 2001). All'Antonveneta, con piena soddisfazione del suo amministratore delegato Silvano Pontello, stimato banchiere, Geronzi ha appena venduto la Banca nazionale dell'Agricoltura. Come potrebbe ora fare un favore ai concorrenti vicentini? Tra Geronzi e Pontello i ben informati segnalano un calo di temperatura. Di qui l'irritazione dei protagonisti per l'improvvida pubblicizzazione di un piano che doveva restare ancora segreto. Infatti Geronzi e Zonin, dopo un rapido consulto telefonico con via Filodrammatici, si sono affrettati a smentire. Il vignaiuolo vicentino, che per altro in Banca Roma voleva entrare dai tempi della privatizzazione, ha bisogno di tempo per far digerire agli agguerriti soci della sua banca, molti dei quali simpatizzano per la Lega Nord, la presenza di una banca romana tra gli azionisti di riferimento. Geronzi ha bisogno di altrtettanto tempo per far capire ai suoi soci che, almeno finchè c'è lui in sella, nessuno può pensare a posizioni predominanti. Chi ne conosce le doti di sapiente e infaticabiletessitore di trame, giura che riuscirà a farcela. Con l'aiuto dell'establishment.
Il ragionamento è quello noto secondo il quale avere più padroni equivale a non averne nessuno di predominante. Adesso, almeno sulla carta, è la Fondazione, cioè il socio con cui Geronzi ha avuto le maggiori incomprensioni, a pesare di più (il San Paolo aveva eletto a possibile cavallo di Troia del suo fallito blitz proprio la Fondazione). Dovrebbe però essere proprio l'ente presieduto da Emanuele Emmanuele, con il quale i rapporti di Geronzi sono correttissimi, a cedere parte della sua quota alla Popolare di Vicenza. Poi ci sono la Fiat, i libici, e gli olandesi della Abn-Amro che scalpitano per crescere. Ed è proprio la banca della regina a preoccupare di più Geronzi: ad Amsterdam non si perde occasione per dire pubblicamente che Roma diventerà a pieno titolo provincia dell'impero. Lo dice anche, ma in conversazioni private, Gilberto Gabrielli, il loro plenipotenziario italiano. Gabrielli non parla a vanvera, sa di poter contare sugli ottimi rapporti con Palazzo Chigi, che non a caso lo ha voluto nel consiglio d'amministrazione delle Ferrovie. Ma sa anche che Geronzi gode di altrettanta, se non maggiore considerazione, e che in più ha dalla sua tutto il peso e l'autorevolezza di Antonio Fazio. Il Governatore, come è noto, è sempre stato cauto nell'aprire la porta all'espansionismo delle banche straniere. Così l'ingresso della Vicenza, anche se dà fastidio a molti istituti del Nord che con Bankitalia marciano in piena sintonia, a cominciare dalla Banca Intesa di Giovanni Bazoli, gli pare un'ottima occasione per ''italianizzare'' il capitale dell'istituto romano. Inutile dire che la cosa suscita diffidenze all'Abn, e per due motivi: ne ferma la crescita, in più le porta concorrenza in casa propria, in quel Nord Est che presidia attraverso i forti legami con la popolare padovana Antonveneta. A cui va di traverso la seconda parte del progetto di matrimonio elaborata da Mediobanca, che prevede anche l'ingresso della Banca di Roma nella Vicenza al momento della sua futura quotazione in Borsa (si parla del 2001). All'Antonveneta, con piena soddisfazione del suo amministratore delegato Silvano Pontello, stimato banchiere, Geronzi ha appena venduto la Banca nazionale dell'Agricoltura. Come potrebbe ora fare un favore ai concorrenti vicentini? Tra Geronzi e Pontello i ben informati segnalano un calo di temperatura. Di qui l'irritazione dei protagonisti per l'improvvida pubblicizzazione di un piano che doveva restare ancora segreto. Infatti Geronzi e Zonin, dopo un rapido consulto telefonico con via Filodrammatici, si sono affrettati a smentire. Il vignaiuolo vicentino, che per altro in Banca Roma voleva entrare dai tempi della privatizzazione, ha bisogno di tempo per far digerire agli agguerriti soci della sua banca, molti dei quali simpatizzano per la Lega Nord, la presenza di una banca romana tra gli azionisti di riferimento. Geronzi ha bisogno di altrtettanto tempo per far capire ai suoi soci che, almeno finchè c'è lui in sella, nessuno può pensare a posizioni predominanti. Chi ne conosce le doti di sapiente e infaticabiletessitore di trame, giura che riuscirà a farcela. Con l'aiuto dell'establishment.