Geronzi, la "lunga marcia" verso Via Filodrammatici

la Repubblica - affari finanza

A Roma dieci anni fa era già il massimo, ma a Milano veniva snobbato. Oggi, però, la sua Banca di Roma non è più percepita come un buco nero e lui viene guardato con rispetto

Per capire chi è oggi Cesare Geronzi non bisogna ascoltare quello che dicono di lui a Roma, bisogna sentire come ne parlano a Milano. A Roma non c'è gara, il metro in questa città è il potere, come lo si è conquistato, come lo si esercita e a quale fine, non conta. A Roma dieci anni fa Geronzi era già il massimo. A Milano no, i metri sono diversi, il potere conta, ma anche i risultati, e come ci si arriva. Milano snobbava, per la Milano delle banche e della finanza Geronzi era quello che loro non erano, non amavano e un pochino anche disprezzavano. Ancora due anni fa sospettavano di lui, un coperchio pensavano, su tutto l'immaginabile e l'inimmaginabile che le banche dei democristiani, e anche dei  socialdemocratici, dei socialisti e dei comunisti, poi confluite nella Banca di Roma, potevano ritrovarsi nella pancia. Che poi erano anche le banche dei palazzinari, dei cinematografari, dei commercianti e dei preti. Figuriamoci!
Abile, dicevano, a navigare e a proteggere i suoi segreti, ma le regole di affidamento dei clienti che vengono seguite alla Comit, a Roma non sanno neanche cosa sono. Lì non conta se sarai in grado di restituire i soldi, conta chi ti ha presentato e se sai ripagare in potere, la valuta più preziosa della capitale. Quando Mediobanca voleva far sposare la Banca di Roma alla Comit, i valvassini di Piazza della Scala, che obbedivano a via Filodrammatici anche se chiedeva loro di starnutire, innalzarono orgogliosi bastioni, non gli piaceva l'idea di mischiarsi e comunque non si fidavano dei conti. Come loro la pensavano in molti. Poi qualcuno sostiene, e forse non a torto, che Geronzi li abbia guidati come burattini verso un gran rifiuto che faceva comodo soprattutto a lui, ma di questo parleremo dopo. Ebbene il tono è cambiato. Il modo in cui a Milano parlano di Geronzi non è più quello di due anni fa. Nessuno ti sta più lì a dire che dentro la Banca di Roma chi sa cosa c'è. Con la Banca di Roma, ti dicono, si lavora bene. Non meglio che con altre probabilmente, e neanche delle migliori, ma il punto non è questo, il punto è la percezione. La Banca di Roma a Milano non è più percepita come un buco nero e Geronzi viene guardato con rispetto.
Ora che si parla di lui come prossimo presidente di Mediobanca, personaggi non sospetti, che solo appunto due anni fa avrebbero risposto con un secco "impensabile", ora argomentano che sarebbe la persona adatta per gestire un passaggio difficile Non è, come al solito, che il diavolo è diventato un angelo.
E' una miscela: un po' si esagerava prima, un po' è cambiata la Banca di Roma, un po' è cambiato Geronzi e un po', parecchio anzi, è cambiata Tana.
La Banca di Roma in effetti, dalla preparazione dell'aumento di capitale del 1997 e dall'arrivo dell'amministratore delegato Giorgio Brambilla, ha fatto un bel po' di pulizia e aggiornato l'organizzazione, e gli azionisti della Abn Amro non sono tipi che vengono a Roma solo per mangiare italiano. Siamo ancora lontani dai migliori ma non più sotto la media.
Quello che è cambiato meno in realtà è Cesare Geronzi. In una intervista ad Alain Elkann, pubblicata lo scorso autunno da La Stampa, Geronzi candidamente dichiara' «Ho impiegato 22 anni per diventare direttore generale di una piccola cassa di risparmio. Ne ho impiegati altri 17 per arrivare a quello che faccio oggi». E' uno che non si ferma mai, che ha metodo, e che ha anche "un metodo": lui conquista prima le persone e poi i territori. Quando era funzionario e poi dirigente della Banca d'Italia si conquistò la stima e l'affetto di Carli, Ossola, Ercolani e Dini. Ora ha un legame fortissimo con Fazio. In politica, ai tempi della dc, Andreotti ma anche Bisaglia e, in seguito, De Mita, ma anche Craxi. E poi D'Alema, prima con l'intermediazione di Alfio Marchini e poi senza  intermediazione alcuna. Con Silvio Berlusconi si dava del tu ben prima che diventasse presidente del consiglio, con Prodi invece non era così a suo agio. Con Agnes, Pascale e Necci. Quando erano in sella, si sentiva praticamente tutti i giorni. Con loro aveva messo in piedi la Mmp, la concessionaria di pubblicità che è riuscita a perdere centinaia di miliardi in pochi anni, essenzialmente finanziando giornali di partito: di tutti i partiti. Se le affinità aiutano a capire un personaggio, Geronzi è stato in sintonia con Carli e Fazio, meno con Baffi e Ciampi, con Dini ma non con Sarchielli, con D'Alema ma non con Prodi.
La sua storia è un susseguirsi di cicli, e di incontri. Dopo la Banca d'Italia il passaggio chiave è l'incontro con Pellegrino Capaldo, uno stratega silenzioso, un uomo considerato affidabile da quasi tutti quelli che in Italia contano qualcosa. E' con Capaldo che Geronzi diventa banchiere, non nel senso della creazione di valore, che è cosa che non è mai stata al centro dei suoi pensieri, ma nel senso degli orizzonti e della strategia. La strada fatta insieme lo spiega meglio: dalla Cassa di Risparmio di Roma alla Banca di Roma in soli tre anni. Poi c'è stato l'incontro con Cuccia, e lì c'è voluto un po' di tempo. Cuccia ha subito adottato Geronzi, che prendendosi il Banco di Roma aveva impedito che il 7 per cento di Mediobanca (che il Banco aveva in portafoglio) finisse all'Imi, e lo ha anche vezzeggiato, se così si può dire, ma non era il suo tipo. Troppa politica, troppa Banca d'Italia, troppa Roma, tutte cose che allora a Cuccia non piacevano. Col tempo però anche Cuccia è stato conquistato. Di quelli che aveva intorno Geronzi era il più abile, e man mano che Mediobanca perdeva il suo potere a Milano, quella Roma prima disprezzata cominciava per via Filodrammatici a diventare interessante. Tanti fili tra Mediobanca e Roma è stato Geronzi a cucirli.
L'ultima conquista, a tempo perfetto come sempre, sono stati gli Agnelli. La Fiat è importante azionista della Banca di Roma attraverso la Toro e i rapporti sono ovviamente antichi. Prima a tenerli era soprattutto Francesco Paolo Mattioli, l'uomo della finanza della Fiat di Romiti e anche dopo, ma ora Geronzi ha rapporti stretti anche con Fresco, e con Umberto Agnelli e Gabriele Galateri, presidente e amministratore delegato dell'Ifil.
Gli ultimi cinque anni sono stati un turbine, e guardare come Geronzi lo ha attraversato è istruttivo. La Banca di Roma era nata mettendo insieme cose, senza preoccuparsi troppo di fonderle davvero per aumentarne l'efficienza e creare valore, la redditività non era importante. Quando però è arrivato il momento in cui anche per la Banca di Roma i numeri hanno cominciato a contare, Geronzi ha trovato la strada. Ha chiamato Brambilla a gestire 1'istituto, ha venduto dei pezzi, si è trovato gli azionisti, è riuscito a persino a creare un certo entusiasmo intorno a un aumento di capitale.
E' stato il passaggio dalla banca alla romana a una banca accettabile anche a Milano. Poi c'è stato il fidanzamento difficile con la Comit. La Comit non voleva, ma forse neanche Geronzi voleva, perché dopo quella fusione non sarebbe stato più il padrone della sua banca, e l'aver fatto rompere agli altri potrebbe essere  stato un suo piccolo capolavoro. Attraverso quel passaggio anche il suo rapporto con Mediobanca è diventato più sicuro, quasi da pari a pari. E ancora di più dopo l'assalto congiunto di Unicredito alla Comit e di Imi San Paolo alla Banca di Roma, che se avesse avuto successo avrebbe scardinato il sistema di via Filodrammatici. A fermare quell'attacco sono stati l'astuzia straordinaria di Geronzi, a fronte della ingenuità di Rainer Masera, l'amministratore delegato di Imi San Paolo suo antagonista in quella vicenda, e il muro tirato su da Antonio Fazio, con l'accordo di Massimo D'Alema, ambedue molto legati a Geronzi.
- Il colpo finale del presidente della Banca di Roma è stato riuscire a farsi aggiudicare il Banco di Sicilia e il Mediocredito Centrale. E' stato il passaggio che ha tolto la Banca di Roma dalla condizione di preda e ha concluso la lunga e affannosa ricerca di una collocazione nel sistema, cominciata con il tentativo di fusione con la Comit. Ovvero: Geronzi è entrato in una fase turbolenta di  riassetto del sistema creditizio con una banca pesante, antiquata e piena di sofferenze, ha perso per strada compagni importanti come Agnes, Pascale e Necci, e alla fine esce con una banca più in linea e con una collocazione forte e autonoma nel sistema. Senza l'appoggio di Fazio e di D'Alema forse non ce l'avrebbe fatta, ma come stanno imparando anche i milanesi più duri e puri, la politica e la Banca d'Italia hanno un ruolo determinante ed è un fatto che con loro si debba fare i conti, anche se a chi crede nella competizione, nel mercato libero e, si perdoni il bisticcio, nel valore della creazione di valore, questo non fa piacere, e anche se negli anni del governo Prodi era sembrato che passare ad una fase nuova fosse possibile.
Se si volesse fare una fotografia ad oggi, il merito di Geronzi probabilmente è quello di aver preso tre banche assai disastrate, averle messe insieme e averne fatto la Banca di Roma. Forse il prezzo pagato dal sistema nel suo complesso è stato alto, sacrificare qualcosa avrebbe modernizzato assai di più di tanti salvataggi. Ma sono scuole di pensiero, quella dominante ha preferito i salvataggi e Geronzi di quella scuola di pensiero è stato il profeta.
Ora gli si potrebbe preparare la poltrona di Mediobanca. Quelli che lo vogliono lì non sono pochi, ritengono che servano il suo ecumenismo e la sua romanità. E soprattutto pensano che sia l'unico che possa garantire sia gli Agnelli che Romiti.