Banca di Roma conquista Bna

Corriere della Sera

Un'operazione da mille miliardi. Previsto il lancio dell'Opa

ROMA - Alla fine la Banca di Roma ce l'ha fatta: la Banca Nazionale dell'Agricoltura passerà sotto il suo controllo. Pellegrino Capaldo e Cesare Geronzi, presidente e direttore generale della Banca di Roma hanno firmato ieri un'intesa con il padre padrone della Bna, il Conte Giovanni Auletta Armenise per l'acquisto del pacchetto di controllo di Bonifiche Siele, la società che a sua volta controlla la prima banca privata del Paese. Il trasferimento riguarda il 53,23% delle azioni ordinarie ed il 36,9% di quelle di risparmio di Bonifiche, ad un prezzo unitario rispettivamente pari a 36.000 ed a 7.500 lire. Successivamente, una volta perfezionato l'accordo con la ratifica dei consigli di amministrazione della Banca di Roma e della Fondazione che la controlla e soprattutto, una volta ottenuto il via libera della Banca d'Italia, Capaldo e Geronzi lanceranno, agli stessi prezzi, così come vuole la legge, l'Opa (offerta pubblica d'acquisto) sul capitale residuo di Bonifiche Siele. A conti fatti si tratta di una operazione da circa 1.000 miliardi, di cui la metà sarà versata al conte Auletta Armenise. In pratica la Banca di Roma acquisirà l'intero pacchetto posseduto dalla famiglia Auletta attraverso Fisvina, in Bonifiche Siele, che con il 43% circa di azioni controlla a sua volta la Bna. In Bonifiche Siele il Conte ha soci illustri, come il Credit (20,1%), il gruppo Gennari (14,6%) ed il S. Paolo di Torino (3,3%) che potranno come gli altri aderire all'Opa. La Banca di Roma ha già annunciato che pagherà in contanti utilizzando i 1.000 miliardi accantonati grazie alla legge Amato: la Bna non sarà inglobata nella Banca di Roma (nata dalla progressiva fusione tra la Cassa di risparmio di Roma, il Santo Spirito ed il Banco di Roma) ma resterà autonoma con il suo marchio; anche se il "matrimonio" sarà utilizzato per rimetterla in regola con i parametri patrimoniali stabiliti dalla Banca d'Italia, senza bisogno delle consistenti iniezioni di capitale (si parlava di un fabbisogno di circa 1.000 miliardi), necessari per coprire le perdite e assicurare, soprattutto, lo sviluppo. L'accordo siglato ieri segnerà la nascita di un nuovo polo bancario, che contende al gruppo S. Paolo di Torino, superandolo di un soffio, il primo posto nella graduatoria degli istituti di credito italiani con i circa 88 mila miliardi di raccolta, gli 85 mila miliardi di impieghi, i 3.581 dipendenti ed i 1640 sportelli. Erano anni che il Conte resisteva agli appetiti dei suoi concorrenti, rintuzzando sempre le avances e gli aperti tentativi di conquista, come fu qualche anno fa, quello attuato dal Credito Italiano. Questa volta Auletta ha dovuto cedere sotto il peso del "rosso" dei conti aziendali messi severamente a nudo da una approfondita ispezione della Banca d'Italia e di fronte alla difficoltà di trovare il sistema, nel passato sempre individuato, di rimpinguare il patrimonio della banca per garantirne lo sviluppo e l'innovazione tecnologica. Che la Banca di Roma marcasse stretto, e da tempo, il Conte non era un segreto e proprio nei giorni scorsi si erano infittite le voci sull'imminenza dell'intesa. Ma non era la prima volta che il traguardo appariva alla vista di Capaldo e Geronzi: finora però la fatidica firma da parte del proprietario della banca, Auletta appunto, era sempre sfumata. Né del resto avevano fatto presa sui responsabili della Banca di Roma le proposte di "nocciolo duro" o di coabitazione nella tolda di comando e di controllo della banca romana, avanzate a piu' riprese dal Conte banchiere. "O la maggioranza o niente" avevano sempre risposto Capaldo e Geronzi che, ora, l'hanno spuntata con la benedizione della Banca d'Italia. La Vigilanza da tempo stava col fiato sul collo del Conte, non tanto e non sempre per sollecitare l'ingresso di nuovi soci e di nuovi capitali, ma anche per ottenere un cambiamento di rotta alla sua gestione "personalistica" della banca.