“Per comandare in Rcs servono soldi, DDV ce li metta, le banche escano”

Il Foglio

La guerra per il Corriere vista dal banchiere emerito: Della Valle è un petardo, Fiat salga ancora e comandi

“Guardi, non è con le chiacchiere che si comanda. Enrico Cuccia diceva che nel mercato vale l’articolo quinto, chi ha i soldi ha vinto”. E dunque Cesare Geronzi si arma d’un sorriso tagliente, la lettera di Diego Della Valle a Giorgio Napolitano deve essergli sembrata l’esplosione d’uno strano petardo nel salotto costituito della finanza italiana, “una sgrammaticatura”, dice. “E che poteva mai rispondergli il presidente della Repubblica, cosa c’entra lui con le questioni d’un azienda privata?”. Ruota gli occhi il presidente della Fondazione Generali, lui che in Rcs, assieme a Giovanni Bazoli, faceva e disfaceva (“cacciai Mieli, e assunsi De Bortoli”), lui che di sicuro non ama Della Valle, che è stato – e forse è ancora – un suo nemico. “Un’azienda si conquista con il denaro e con le idee chiare. Se non metti la prima cosa, e non possiedi la seconda, non c’è niente da fare. Quando Della Valle cominciò ad agitarsi dentro Generali io gli dissi chiaro: se vuoi il Corriere devi lanciare un’opa. Ci vogliono i de-na-ri, non si può pretendere di comandare così, a sbafo. Lui può criticare quanto gli pare il piano industriale che John Elkann ha in mente per il Corriere e per Rcs, e può continuare a circondarsi di giornalisti cortigiani, ma quello, il giovane Agnelli, ci ha messo i soldi. Lui invece che ha fatto?”. Della Valle ha dichiarato di voler salire anche lui al 20 per cento di Rcs, alla pari di Elkann, persino oltre. “Bene, allora lo faccia. Ma io ho l’impressione che tutta questa battaglia non sia per il bene del Corriere. Rcs, come Mediobanca, come Telecom, è un ambito industriale in grande difficoltà e gli azionisti dovrebbero metterci i soldi per ritrutturare e non per ubriacarsi di gloria”.

Della Valle è critico con il piano industriale di Elkann
, si dice che il presidente della Fiat voglia fondere il Corriere con la Stampa, ma i maliziosi sostengono che così somma solo due debolezze, che scarica i conti in rosso del quotidiano di Torino su quelli in rosso del quotidiano di Milano. “Di fusioni ho una certa esperienza, in campo bancario, e di due debolezze abbiamo fatto spesso una forza. E può funzionare anche nell’editoria, va rivista la diffusione territoriale della Stampa, che non regge su tutto il mercato nazionale, e si possono costruire economie di scala tra i due quotidiani. Ma l’aumento di capitale che vogliono fare in Rcs non mi convince. Quando un’azienda è in difficoltà le cose da fare sono elementari. Per prima cosa si devono chiamare le banche per ristrutturare il debito, poi bisogna valutare quali sono i rami in perdita dell’azienda, da tagliare: i periodici vanno venduti o chiusi, gli investimenti spagnoli mollati. Infine bisogna destinare l’aumento di capitale agli investimenti, a modifiche strutturali. Ecco, mi pare che le cose non vadano così, perché l’aumento di capitale lo vogliono usare per ripianare il debito, per risarcire le banche che sono contemporaneamente azioniste e creditrici, in palese conflitto d’interessi”. E’ questo che vuole fare Elkann? “Se lo fa, significa che ha subìto la pressione delle banche. E dunque un po’ Della Valle ha ragione, ma è scomposto e inconcludente. Invece di invocare Napolitano, servirebbe una norma che stabilisca i limiti della partecipazione del sistema bancario nell’editoria. Fuori le banche! Intesa, con il mio amico Bazoli, è azionista di Rcs e di Generali. Ma Intesa è pure creditrice di Rcs. Quindi ha tanti interessi da tutelare, che poco hanno a che vedere con la redditività dell’azienda”.

“Da questo marasma potrebbe venire fuori qualcosa di buono, intanto perché potrebbe affermarsi l’idea sana che per comandare bisogna investire, avere denaro e rischiare. E poi perché dal superamento del patto di sindacato si potrebbe riuscire a mettere fuori le banche dal sistema editoriale. Il patto di sindacato si giustifica perché gli azionisti sono una somma di debolezze, e attorno a loro si costruisce una specie di corsetto, un’impalcatura che li costringe a fare quello che vuole il management. Ma non funziona. Tutti questi azionisti di Rcs vanno in giro, e ci tengono molto a fare sapere che controllano il giornale, che sono ‘pesanti’. Intervengono indebitamente, confondono la linea editoriale, impaludano il quotidiano”. Poi Geronzi fa una pausa, indossa il suo solito sorriso allusivo e un po’ canzonatorio, e dice: “Certo, poi il governo di un giornale dipende soprattutto dalla qualità e dalla personalità del suo direttore, che deve saper resistere”, e s’intuisce che Ferruccio de Bortoli non dev’essergli troppo simpatico.

Ma le banche azioniste hanno già fatto intedere, lo hanno detto, di volersi tirare fuori da Rcs. “Anche qui vale lo stesso discorso di Della Valle, le parole stanno a zero. Se uno vuole disimpegnarsi si disimpegna e basta. Mario Greco, il capo di Generali, vuole disimpegnarsi dal patto di sindacato. E infatti non partecipa più, non si è nemmeno presentato alla riunione in cui si discuteva dell’aumento di capitale. Le sue intenzioni sono chiare, esce. Ma gli altri? Non sono così sicuro che vogliano mettersi da parte”. Eppure sembra proprio che nell’impazzimento del vecchio patto di sindacato, Bazoli stia cedendo la toga del comando a Elkann, che oggi è il primo azionista con la Fiat. E la domanda che si fanno in tanti, tutti quelli che osservano la proiezione internazionale, americana, di Sergio Marchionne, l’amministratore delegato, è: ma la Fiat che se ne fa del Corriere, perché Elkann ha voluto fortemente lo scettro del comando? E’ come se gli Agnelli volessero ribadire la centralità dell’Italia nel loro orizzonte, come dire, la famiglia è sempre qui, non ce ne andiamo. “Forse”, risponde Geronzi, che si fa oracolare, misterioso persino, a tratti reticente. “O è così”, dice, “o questo è quello che per adesso vogliono lasciar credere”. C’e anche chi pensa che il Corriere serva proprio a preparare l’uscita della Fiat dall’Italia… “Noi che siamo vecchietti, e come dice Della Valle ‘arzilli’, sappiamo che Fiat il potere lo ha sempre avuto a prescindere. Una grande industria il potere ce l’ha in quanto tale e non ha bisogno di possedere un giornale. Quello che risulta chiaro, premesso che il piano industriale di Elkann noi non lo conosciamo, è che gli Agnelli hanno manifestato l’esigenza prepotente di ristrutturare i loro investimenti editoriali, investimenti che evidentemente, per ragioni a noi non chiare, sono considerati al momento strategici”. Alcuni invocano una poco convincente spiegazione psicologica, quasi d’orgoglio famigliare, John Elkann torna padrone del Corriere, e lo fa nel momento di massima difficoltà del quotidiano, forse per non essere da meno del nonno, per onorare persino il ricordo dell’Avvocato. Oppure, secondo una versione meno romantica eppure fantascientifica, lui, Jaki Elkann, che si esprime meglio in inglese che in italiano e che da poco è entrato nel cda di News Corp., prepara la strada a un’avanzata formidabile di Rupert Murdoch nel sistema editoriale-televisivo italiano. Il tycoon australiano è in cerca di sinergie, e Sky non gli basta più. Ma chissà. E’ fiction.

“Fiat dovrebbe fare un altro passaggio importante. Salire al 29 per cento di Rcs”, dice Geronzi, forse, per pragmatismo, poco interessato alle ragioni profonde che animano le mosse di Fiat e di Elkann. “Loro dovrebbero definire il superamento del patto di sindacato”, dice, “creare le condizioni per eliminare i conflitti di interesse tra le banche e l’editoria. L’occasione è unica. Questo sistema non funziona, crea inefficienze, danneggia la linea editoriale. Ma temo che nemmeno loro abbiano idee chiarissime”. E siamo di nuovo tornati a Diego Della Valle. “Un fuoco d’artificio”.

Salvatore Merlo