Acque Ciappazzi, condanne confermate dai giudici d'appello

Corriere della Sera

Battaglia giudiziaria La battaglia giudiziaria è destinata ad approdare in CassazioneI legali: «Geronzi e Arpe non hanno colpe»

BOLOGNA - Cinque anni per bancarotta e usura. Anche il secondo round giudiziario finisce male per Cesare Geronzi, 78 anni, ex presidente di Banca di Roma-Capitalia: la corte d'Appello di Bologna ha confermato ieri le condanne inflitte in primo grado al banchiere nel novembre del 2011 per il cosiddetto caso «Ciappazzi», storia a dir poco tormentata dell'acquisto nel 2002, da parte di un Calisto Tanzi che ancora tentava di tenere nascosto lo stato disastroso della sua Parmalat, della società di acque minerali di proprietà di Giuseppe Ciarrapico.Una transazione ? secondo la corte d'Appello, che ha accolto pienamente le richieste del procuratore generale, Umberto Palma ? costruita a tavolino in una sorta di triangolazione che avrebbe visto Geronzi, allora numero uno del gruppo bancario romano, esercitare un'illecita pressione su Tanzi per fargli acquistare a un prezzo gonfiato la società «Ciappazzi», nonostante le pessime condizioni in cui si trovava. Obiettivo dell'operazione sarebbe stato quello di dare vantaggi a tutte e tre le parti. Tanzi, in cambio dell'acquisto, avrebbe infatti ottenuto da Capitalia un finanziamento da 50 milioni di euro con il quale tentare di rimettere in sesto il settore turistico della Parmalat (il cui colossale crac sarebbe venuto alla luce nel 2003). E la banca, una volta che Ciarrapico avesse intascato da Tanzi il denaro della vendita, avrebbe avuto la possibilità di recuperare un finanziamento concesso qualche anno prima. In tutto questo, come scrissero i giudici di primo grado, «Geronzi svolse le funzioni di motore e di massimo supervisore della trattativa».Anche l'allora direttore generale di Capitalia, Matteo Arpe, è stato ritenuto colpevole dalla corte presieduta da Michele Massari: 3 anni e 7 mesi per bancarotta (condannati altri 6 imputati). Una vicenda complessa. E una battaglia giudiziaria destinata ad approdare in Cassazione. Geronzi si è sempre dichiarato del tutto innocente, respingendo le ricostruzioni dell'accusa. Nel maggio scorso, con una serie di dichiarazioni spontanee, il banchiere si è scagliato contro Calisto Tanzi e Fausto Tonna, definendo «del tutto false» le loro deposizioni e negando di aver mai svolto nella vicenda un ruolo da «regista occulto». Pur ammettendo di aver forse sbagliato a fidarsi dell'allora patron della Parmalat, il banchiere ha detto di aver agito «in buonafede», convinto della solvibilità dell'azienda di Parma anche sulla base di documenti (poi rivelatisi falsi) esibiti da Tanzi. E comunque, ha concluso, se anche fosse stato a conoscenza dello stato disastroso della Parmalat, non avrebbe avuto alcun senso spostare il credito da un debitore insolvente (Ciarrapico) a un altro debitore insolvente (Tanzi). Per gli avvocati di Geronzi, Ennio Amodio e Franco Coppi, si tratta di una sentenza «unicamente basata sulle parole dell'ex patron Parmalat, interessato a scaricare su altri le colpe di una dissennata gestione societaria: non è giusto che l'onda lunga di uno dei più grandi crac finanziari della storia colpisca chi, come Geronzi, non è mai intervenuto nell'operazione, voluta dal patron di Collecchio solo per lucrare ingenti vantaggi finanziari». Non se la aspettavano neanche i legali di Arpe, Sergio Spagnolo e Mauro Carelli: «È arrivata una condanna in assenza di prove ? hanno commentato ?, anzi, sono moltissimi gli elementi a discarico del nostro assistito». Alberti Francesco