Show del banchiere al confessionale

Corriere della Sera - La Lettura

Gran libro. Ricorda, nel genere, un classico come Razza padrona di Scalfari e Turani.


Gran libro. Ricorda, nel genere, un classico come Razza padrona di Scalfari e Turani. E lo supera per quantità di rivelazioni e per gusto teatrale ma gli è forse inferiore nel sapore romanzesco (quasi d’appendice). In Confiteor (magnifico titolo), Cesare Geronzi, banchiere, narra a Massimo Mucchetti, giornalista, gli ultimi trent’anni, dell’economia, della finanza e della politica nazionali, in una parola del potere. I due dialoganti si beccano spesso. Geronzi dice a Mucchetti: “Lei ha la propensione a ragionare da contabile”. Oppure: “Lei è un giornalista più criptico di un banchiere”. Mucchetti ricorda a Geronzi di quella volta che gli disse: “I suoi articoli mi rattristano, dobbiamo vederci” (e gli aveva appena rifiutato un incontro) o quando cercò di farlo licenziare dall’Espresso (l’altro nega che sia mai avvenuto ma De Benedetti, l’editore, ha confermato). E gli rammenta di continuo la sua fama di banchiere della politica (da D’Alema a Berlusconi). Come in ogli pièce teatrale che si rispetti, non mancano ottime battute. Una per tutte. Mucchetti ricorda a Geronzi quando il suo (di Geronzi) amico Cesare Romiti lo candidò alla presidenza di Mediobanca. La replica è bruciante: “è sicuro che quello fosse un gesto d’amicizia?”. Il confronto è lungo, serrato, documentatissimo. I due protagonisti, partiti da posizioni distanti, non amichevoli, sembra che finiscano per capirsi, pur restando ognuno con visioni diverse, se non antitetiche, su guerre e alleanze, fusioni e incursioni di Capitalia, Unicredit, Intesa Sanpaolo, Mediobanca, Generali e dell’intera galassia del denaro italiano. In ultimo, sembra avverarsi la profezia di Massimo D’Alema a Mucchetti quando seppe che stava scrivendo un libro con Geronzi: “Si accorgerà che è migliore della sua reputazione”. Massimo dei voti anche per l’intensità non comune del racconto.

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