Il Confiteor di Cesare Geronzi, ovvero la verità sulla vicenda Generali

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La “Confessione” (Confiteor) di Cesare Geronzi esce in questi giorni per Feltrinelli. Il libro intervista di Mucchetti rivela tante verità e suscita non poche riflessioni.

Per molti anni Cesare Geronzi è stato l’uomo forte della finanza italiana. A lui sono stati attribuiti molti soprannomi, come “Dottor Koch”, per i suoi trascorsi a Bankitalia, “Cardinale” oppure “piccolo Cesare”. Geronzi, che ora ha 77 anni, ha visto la fine del suo dominio quando è stato estromesso dalla presidenza delle Generali. Il consiglio d’amministrazione del gigante italiano delle assicurazioni chiese le sue dimissioni, ad un anno circa dall’arrivo del banchiere romano alla presidenza dell’azienda di Trieste. Ieri è uscito il suo libro “Confiteor”, “confesso”, il cui titolo deriva dalla preghiera penitenziale che si dice a Messa. Come un fedele che confessa al Signore i suoi peccati, così Geronzi si confessa a Massimo Mucchetti. Il cuore di “Confiteor” è però la resa dei conti del banchiere romano con i suoi nemici, coloro i quali si sono messi d’accordo per estrometterlo dalle Generali. I nomi sono già noti: il primo è Diego Della Valle, il più vocale tra i suoi oppositori. Poi nell’elenco “nero” di Geronzi ci sono Alberto Nagel, il capo di Mediobanca, e Lorenzo Pelliccioli, la guida della De Agostini. L’arrivo di Geronzi al vertice di Generali era stato un passo rischioso per lo stesso manager romano. Dopo aver prima dato forma e poi venduto Capitalia, fusasi con Unicredit, Geronzi scala i vertici della finanza italiana prima con la presidenza di Mediobanca, poi arrivando al vertice di Generali. La compagnia triestina è la “cassaforte” della finanza del nostro paese, un gigante assicurativo terzo in Europa, dietro la tedesca Allianz e la francese Axa. L’incompatibilità tra il banchiere romano e il management di Generali si è subito palesata, anche negli aspetti più personali. Dopo pochi mesi di ostilità crescente, lo scontro esplose nell’inverno del 2011. Diego Della Valle iniziò ad attaccare pesantemente il manager romano, dandogli del “vecchio arrugginito”. Altri, come Mediobanca, condivisero la sua sfiducia nei confronti di Geronzi. Il giorno del giudizio arrivò il 6 aprile del 2011, quando il banchiere romano si dimise dopo che 10 consiglieri d’amministrazione su 17 avevano palesato l’intenzione di sfiduciarlo. Re Cesare li anticipò, ma la ferita è ancora aperta, visti i giudizi dispensati nei confronti dei suoi avversari. “Della Valle è stato solo un emissario, anche se pensava di agire in autonomia”, dice Geronzi, mentre su Nagel e Pelliccioli rimarca come gli tremassero le voci dopo aver saputo la sua intenzione di dimettersi. L’addio alle Generali fu motivato dalla mancanza di un alleato storico, romano come lui. Cesare Geronzi racconta la sua ultima cena da presidente delle Generali, il momento in cui capì, dopo gli scontri dei mesi precedenti, che la sua era volgeva ormai irrimediabilmente al termine. “La sera del 5 novembre parlai con Vincent Bollorè e ci accordammo per andare a cena. Mi disse che anche Francesco Caltagirone sarebbe venuto. Quando non si presentò, capii che era passato con i miei avversari. Senza il suo sostegno mi sarei dovuto dimettere. Andai a dormire con la decisione dell’addio praticamente già presa”. L’addio di Geronzi alle Generali, però, rimarca il Financial Times Deutschland, è stata una vicenda simbolo della trasformazione del capitalismo italiano. Cesare Geronzi rappresentava il sistema basato sulla stretta connessione tra banche, imprese e Chiesa cattolica. Il banchiere romano è tra le altre cose un confidente del numero due del Vaticano, Tarcisio Bertone. Questa base di potere si sta sbriciolando da molti anni, un cambiamento lento ma ineluttabile. Questo è ben simboleggiato da Mediobanca. Per molti decenni Piazzetta Cuccia decise il destino industriale del paese, come unica banca di investimento italiana. Negli anni novanta però perse il suo monopolio. Ora è diventata una banca normale, e le sue partecipazioni nelle industrie si è molto ridotta. La stessa vicenda della famiglia Ligresti, legatissima a Geronzi, evidenzia questa lenta ma costante trasformazione. Un cambiamento riconosciuto sottotraccia dallo stesso banchiere romano, che come confessa nel libro, ora può parlare di potere e scriverne senza l’ossessione del potere.

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