Gli arzilli vecchietti

Il Foglio

Geronzi e Bazoli, lezioni di fair play agli uditori dei poteri forti

Gli arzilli vecchietti, i due banchieri che hanno fatto politica cultura e quattrini negli anni decisivi della crisi della Repubblica, l’uno cattolico romano (Cesare Geronzi) e l’altro cattolico lombardo (Giovanni Bazoli), hanno incantato ieri a Milano una autorevole platea di uditori dei poteri forti radunata nella sede della Fondazione Corriere guidata dal notaio Piergaetano Marchetti. Occasione la presentazione del libro di memorie dell’attualità bancaria e finanziaria e politica scritto da Geronzi con il molto informato Massimo Mucchetti. Carlo De Benedetti si è scelto la parte del provocatore anche un po’ plateale, ha reso note le sue versioni personali su telefonate private con l’ex governatore della Banca d’Italia e su un invito a pranzo chez Geronzi con il suo arcinemico Marco Tronchetti Provera, per anni poi perseguitato da Repubblica e dalla sua struttura Delta di giornalisti investigativi, non senza un passer à tabac dell’assente Corrado Passera, trattato in modo sprezzante e servile come un cane morto. Un caso di avanspettacolo riuscitissimo, con i “banchieri di sistema” classificati come power broker, insomma faccendieri. Ma la performance del finanziere ed editore di talento, con tutta la carica di simpatica perfidia tipica delle occasioni in cui si esprime un carattere vendicativo, era tutto sommato prevedibile. Imprevedibile il fair paly sontuoso del Bazoli, con quella magnifica testa canuta e dipinta di gentiluomo della provincia colta e ricca. Berlusconi sa che cosa sia la riconoscenza, ha detto il superbanchiere di Brescia, e Geronzi è stato sempre in grado, avendogli dato una mano per tempo, di opporgli i suoi “no”. Ha spiegato perchè Enrico Cuccia non lo inserì nella lista molto esclusiva degli invitati al suo funerale. Ha rivendicato la legittimità dei rapporti tra banchieri e politici, salvo non inquinarli con operazioni di basso sottopotere. Ha accettato che la longeva amicizia fattiva e discutidora e decisoria con Geronzi, romano e in odore di banchismo papista, sia prospettata come un’amicizia e una relazione tra persone che si stimano. Perchè Geronzi si è fatto la sua strada partendo dall’oratorio di Marino, non dalla famiglia borghese, ha detto “Nanni”, il che suscita stima e ammirazione. E un tipo simile meritava che il Gran Lombardo lo andasse a trovare per discutere cose di interesse comune mentre era interdetto dai giudici nella sua attività di banchiere, “mica era ai domiciliari”, ha chiosato. E perchè è leale, categoria che i moralisti d’accatto assimilano tout court all’omertà mafiosa, con semplificazione psicologica e culturale deprimente anche per Bazoli. Bravi anche Mucchetti, che si è prestato al sulfureo gioco della iper-riabilitazione di Geronzi dal fumus di pregiudizio che lo ha sempre accompagnato, specie tra i suoi beneficati, e bravo anche il Geronzi, che non ha raccolto le provocazioni e ha imposto una sonante innovazione al mondo della finanza e della banca e del potere che conta: parlate e dite la vostra versione delle cose, rompete con la cortina di omertà che fa sistema dalle vostre parti, fate come me, twittatevi in un libro di più di 140 caratteri, provateci.

Il Foglio