Geronzi e la rissa tra i grandi vecchi
Il Fatto Quotidiano
De Benedetti:” non è mai stato un banchiere”. E pure Bazoli vuole fare un libro
Una volta qualcuno scrisse di Cesare Geronzi che lui non anticipa i processi, li accompagna. Di certo, leggendo il libro-intervista di Massimo Mucchetti ma anche ascoltando il banchiere di Marino in questo suo improvviso attacco di loquacità con tanto di debutto in tv da Gad Lerner, è difficile ricostruire una sola, unica versione di ciò che è accaduto e di ciò che accadrà nella finanza italiana. Ci vorrebbe un cifrario, un traduttore simultaneo del Geronzi-pensiero. Un interprete dei vari messaggi trasversali che sono stati lanciati rispondendo alle domande del giornalista del Corriere o alle battute davanti alle telecamere dell’Infedele. Così quando Geronzi dice che un’eventuale Monti bis “potrebbe comportare la nomina di Paolo Scaroni dell’Eni come ministro degli Esteri”, non sorprende che qualcuno ceda alla dietrologia interpretando l’endorsement come un modo elegante per “bruciare” il candidato. Frecciatine, stoccate, ammiccamenti del resto vanno avanti per tutte le 354 pagine del libro. Una lunga lista di buoni e cattivi dove però anche le lusinghe ai buoni hanno un retrogusto acido tanto da indurre il lettore a domandarsi se lo sono davvero o se invece Geronzi ne parla bene perchè innocui. E dunque condannati a rimanere fuori dai giochi che contano. Sfumature di grigio ma anche sonore e maligne stroncature. Dagli “inadeguati” vertici di Mediobanca, Alberto Nagel e Renato Pagliaro che lo hanno fatto fuori dalle Generali (“la mucca dalle 100 mammelle”), al “piumino di cipria, un presidente di campanello” Gabriele Galateri. Passando per colui che “Cesare Romiti chiamò Della Valle lo Scarparo”, quel Diego Della Valle che “si è proprsto come l’alfiere del Nuovo Che Avanza. Da scrivere con le maiuscole, mi raccomando”. E poi l’ex delfino Matteo Arpe visto come un figliol prodigo che ha tradito sapendo di tradire. Del resto è lo stesso Geronzi a puntualizzare: “sono abituato a perdonare non a dimenticare”. Sarà suggestione, eppure sorge il dubbio: questa nuova versione di Geronzi è un finale o un inizio di partita? Di certo ieri sera sul palco della Sala Buzzati, nella sede milanese del Corriere della Sera cha ha ospitato la presentazione del libro Confiteor (Feltrinelli), è andato in scena uno spettacolo sorprendente. L’effetto Cesare ha dato la stura ad altri colleghi che hanno domnato negli ultimi quarant’anni la ribalta finanziaria ed economica nell’ombra, senza mai uscire troppo sotti i riflettori perchè tanto non ne avevano bisogno. Si sapeva chi comandava. Geronzi ieri è persino riuscito in un’impresa: stanare un banchiere liturgico come Giovanni Bazoli, dominus di Intesa Sanpaolo, che prima di lanciargli un prezioso assist (“ha detto dei no a Berlusconi”) ha rilevato di avere affidato anche lui le sue memorie a un prossimo libro “storico” sulla banca milanese. Assai più istrionico l’Ingegnere Carlo de Benedetti. Con l’aria di quello che ormai può permettersi di dire tutto a tutti, senza mezze misure, facendo nomi e cognomi. Per nulla aggressivo, casomai scanzonato e guascone. “Nè Cesare Geronzi nè Giovanni Bazoli sono mai stati dei banchieri, sono dei power broker”, ha detto il presidente onorario del gruppo L’Espresso sottolineando poi con una battuta che Corrado Passera, ex timoniere di Banca Intesa e attuale ministro allo Sviluppo economico, “è stato un eccellente assistente: gli ho fatto io il recruting quando fu bocciato alla McKinsey come partner ed era di cattivo umore”. E quando l’amico franco-tunisino di Berlusconi, il finanziere Tarak Ben Ammar, dalla prima fila confessa ad alta voce che gli sembra di “stare in un film”, l’Ingegnere rilancia con un “sempre meglio che a un funerale”. Altro che arzilli vecchietti (copyright Della Valle). Dai vari e affettuosi “Carlo”, “Nanni” e “Cesare” del capitaliscmo di relazione andato in scena ieri, si è capito che le rivelazioni non sono finite, anzi, sono appena cominciate. Perchè quello dell’ex numero uno di Mediobanca non è un libro di memorie, nè un testamento. Nè tantomeno una confessione. C’è chi l’ha interpretata come una chiamata di correo, di sicuro è una scossa al sistema tenuto ancora in piedi da dei vispi ultra-settantenni che non si sono rassegnati a nipotini urlanti e pnchine dei giardinetti.
Marco Franchi