Quell'asse tra Nagel e Pellicioli. E Caltagirone parlò al presidente

Corriere della Sera

Il ruolo del ministero del Tesoro nel cambio della guardia. La raccolta delle adesioni e la firma di Kellner sulla mozione


MILANO - La «fase finale» è cominciata fra sabato e domenica. Dopo le polemiche, le dichiarazioni aspre, l'astensione sul bilancio di Vincent Bolloré, l’iniziativa dei consiglieri che ha portato al board straordinario, nel weekend Alberto Nagel e Lorenzo Pellicioli, numeri uno rispettivamente di Mediobanca e del gruppo De Agostini, hanno messo a punto una raccolta di consensi per una soluzione che non prevedesse fasi intermedie, opzioni rivedibili o parziali: le dimissioni di Cesare Geronzi dalla presidenza di Generali. Il punto di  non ritorno, hanno convenuto, è superato e bisogna riportare la compagnia alla «normalità».
La raccolta di adesioni che ha portato alla lettera «di sfiducia» con 10 firme di amministratori, che poi non è però andata agli atti perché Geronzi si è dimesso prima del consiglio, si è svolta fra lunedì e ieri mattina, con incontri che hanno visto protagonisti «fissi» Nagel, Pellicioli e il direttore generale di Piazzetta Cuccia Francesco Saverio Vinci.
In particolare martedì sera, quando tutti i protagonisti si sono trasferiti a Roma, all'ora di cena Nagel, Pellicioli e Vinci si sono incontrati con il vicepresidente del Leone Francesco Gaetano Caltagirone. E in seguito sono stati raggiunti dal segretario della Fondazione Crt Angelo Miglietta (Effeti), dall'imprenditore di Tod's Diego Della Valle e così, con appuntamenti «circolari» che sono proseguiti sino a tarda notte. Ieri mattina, infine, l'ultimo colloquio con Bolloré, vicepresidente del Leone diTrieste e capofila dei soci francesi di Mediobanca.
Le «resistenze», prevedibili, di Caltagirone e Bolloré, hanno lasciato spazio alla presa d'atto che all'interno del consiglio si era formata nel board delle Generali una maggioranza decisa alla svolta. Il vicepresidente francese in particolare all'inizio ha opposto resistenze ma alla fine ha seguito lo stato del fatti. Agli stessi amministratori che qualche giorno prima hanno firmato le lettere per la convocazione del consiglio straordinario di chiarimento, i tre indipendenti nominati da Assogestioni, Cesare Calari, Carlo Carraro e Paola Sapienza, Diego Della Valle, Pellicioli, Miglietta, il partner ceco Petr Kellner, Reinfried Pohl, hanno aggiunto le firme determinanti (dato che Mediobanca è il primo azionista a Trieste con il 13,4%) Nagel, vicepresidente della compagnia, e Vinci. In più è stato considerato per certo il consenso del top management del Leone: il group ceo Giovanni Perrissinotto e l’amministratore delegato Sergio Balbinot.
Contattati, non hanno invece aderito all'iniziativa di Nage1 e Pellicioli, l'amministratore delegato dell'Eni Paolo Scaroni e il giurista Alessandro Pedersoli, originariamente indicato per il board di Trieste da Intesa. Il primo si è limitato a prendere atto della situazione, il secondo avrebbe invece preferito una ricucitura in extremis, che però è stata giudicata ormai impossibile.
Il «conto della sfiducia» alla fine non ha presentato dubbi: a favore delle dimissioni di Geronzi ci sono 12 sui 17 componenti attuali, dopo le uscite nel pieno delle polemiche dell'imprenditore di Luxottica Leonardo Del Vecchio e di inizio settimana di Ana Botin, figlia di Emilio, il patron del gruppo bancario spagnolo Santander, che ha lasciato Trieste alla vigilia del confronto finale dopo essere stata chiamata nel board della compagnia dall'ex presidente Antoine Bernheim.
A preannunciare la situazione, probabilmente non del tutto attesa, a Geronzi è stato ieri mattina Caltagirone. Poi Nagel e Pellicioli hanno presentato la lettera. E il breve negoziato ha avuto inizio. Il presidente ha manifestato una certa sorpresa ma la sua reazione è stata descritta come estremamente professionale. Caratterizzata da compostezza e forse attraversata anche da un certo sollievo.
Lascerà tutte le cariche, comprese quelle nei consigli e nei patti delle società partecipate. Ma conserverà la presidenza della Fondazione Generali.
Una simile «fase finale» non era proprio stata messa in conto da nessun osservatore delle vicende del Leone. Lo stupore per l'inusuale situazione di conflittualità che si era creata negli ultimi mesi, così poco in sintonia con le tradizioni della compagnia triestina che pure nei decenni ha visto passaggi di testimone ai vertici anche bruschi e inattesi, non ha comunque sollecitato fino a ieri ipotesi di una simile soluzione. Costruita da Mediobanca, che ha svolto così il proprio ruolo istituzionale, muovendo in modo silenzioso e discreto a favore di un cambio culturale e generazionale, che ha visto il supporto dì Fabrizio Palenzona, vicepresidente di Unicredit con ampi e consolidati rapporti con il mondo della politica e quello delle Fondazioni; e che è stato seguito con attenzione e per versi «accompagnato» dal ministro delle Finanze Giulio Tremonti, che aveva dato il proprio via libera al passaggio di Geronzi da Mediobanca a Generali e oggi ha guardato con favore alla sua uscita dalla più grande compagnia di assicurazioni.
Sergio Bocconi