L’addio a Bernheim e l’intesa (mancata) con i libici

Corriere della Sera

Non è senza una punta di emozione che partecipo all’ultima assemblea. Inizia così il discorso dell’addio Antoine Bernheim.

TRIESTE — Non è senza una punta di emozione che partecipo all’ultima assemblea. Inizia così il discorso dell’addio Antoine Bernheim. Non ha un testo scritto, parla a braccio. Per oltre un’ora e mezza. Per due o tre volte sembra trattenere a fatica le lacrime. Anche quando parla della presidenza d’onore: «Non so cosa significhi. Ma dopo 40 anni in Generali preferisco mantenere un legame. Se me la propongono verosimilmente accetterò. Certo, per la mancata conferma a presidente l’età è un pretesto. Sembra che io a 85 anni sia un vecchio rimbambito, ma Cuccia era alla testa di Mediobanca a93-94 anni. Credo di aver fatto un lavoro molto buono, ma quando si fa bene qualcosa si viene castigati. Ricorda l’ingresso nel Leone. Lui era partner di Lazard e Cuccia chiese alla maison francese di rilevare da Montedison la quota di Generali. Bernheim descrive il cambio di passo e la crescita con  acquisizioni all’estero e in Italia, sottolinea di aver promosso i manager interni: “Perissinotto era l’assistente di Gutty, l’ho fatto uscire dall’anticamera. Balbinot è un ragazzo meraviglioso”. Insieme abbiamo fatto un buon lavoro e la compagnia ha ritrovato prestigio nel mondo. Poi, nel 99, la “cacciata” E il rientro di Vincent Bolloré, al quale sarò sempre grato. Ripercorre la scalata bancaria alle Generali “organizzata” dal Governatore Fazio per cacciare me e Maranghi. Ricorda il no di Rainer Masera del Sanpaolo e che Geronzi cercò di calmare il gioco. Invitando a mettere alla prova il management. Rivela che qualche anno fa con l’amico Tarak Ben Ammar avremmo potuto far entrare i libici nel capitale con un aumento riservato. I titoli erano a 20 euro e l’accordo era per 25 euro. Ma un azionista ha detto: non meno di 29. E l’operazione è sfumata. Al successore augura grande successo.