Geronzi: non sono io il capo della Spectre. Il vero problema è il potere delle Fondazioni

la Repubblica

"Con Alessandro un buon rapporto. La Lega? Aprono bocca a vanvera".

"Mi dispiace deluderla, ma non sono io il capo della Spectre...", giura Geronzi. Dal suo ufficio di Piazza Venezia a un passo dal Foro Romano, il Cesare del capitalismo  si sfila dalla "congiura" contro Profumo.
"Non ho niente contro Alessandro, e mi sono sempre adoperato per la stabilità del sistema finanziario". A sentire la ricostruzione del presidente delle Generali, nella battaglia su Unicredit non c'è stata nessuna vittoria dell'asse Berlusconi-Geronzi, nessun piano orchestrato dalla solita politica e dalla grande finanza per sconfiggere Profumo, prima attraverso il "cavallo di Troia" dei libici, poi con l'affondo coordinato tra le Fondazioni delle casse del Nord, il presidente di Unicredit Dieter Rampl e i soci tedeschi e italiani a lui vicini. "Vede, quando le cose sono semplici, a me non piace che siano raccontate come un romanzo. Meno che mai un romanzo di fantascienza". Per Geronzi è "fantascienza" l'incontro tra lui e il premier durante la visita romana di Gheddafi, volto a trasformare l'ingresso dei libici in Unicredit in un'arma per abbattere lo strapotere dell'amministratore delegato.
Questo è il primo punto che il numero uno del Leone di Trieste ci tiene a chiarire: il "ribaltone" a Piazza Cordusio non è stata una sua vendetta contro il "ceo": "Io non ho nulla contro Profumo, e non ho mai avuto nulla contro di lui. Mi citi un episodio, uno solo, nel quale ci saremmo scontrati...". L'elenco è lungo: dalla fuoriuscita dal capitale Rcs ai Tremonti Bond, dalla governance di Mediobanca al passaggio dello stesso Geronzi da Piazzetta Cuccia alle Generali. Ma anche in questo caso, il banchiere di Marino nega tutto: "Non è affatto vero che io e Alessandro abbiamo litigato su questi punti. E soprattutto è una leggenda che Profumo fosse contrario al mio passaggio alle Generali: in realtà lui, giustamente, si preoccupava solo del fatto che ci fosse una continuità aziendale in Mediobanca. Vuole sapere la verità su me e Profumo? La verità è che io, insieme a lui, ho fatto la più bella operazione del sistema bancario italiano di questi anni, e cioè la fusione tra Unicredit e Capitalia. Un'operazione straordinaria non solo per me e per lui, ma per il Paese. Allora creammo insieme la prima banca italiana per capitalizzazione, e lo facemmo con tanta concordia tra noi che chiudemmo l'operazione in quattordici giorni. Poi, certo, nella gestione quotidiana ci possono essere momenti in cui non si condivide qualcosa. Ma questo rientra nella fisiologia dei rapporti di lavoro, e non ha nulla a che vedere con il rancore, e meno che mai con la vendetta".
Il secondo punto che Geronzi ci tiene a precisare riguarda i suoi rapporti con la politica, e il ruolo che Palazzo Chigi ha giocato nella partita Unicredit. "Io non so dire che cosa abbia fatto Palazzo Chigi in questa vicenda. So però che io non ho avuto alcun contatto con il governo, per discutere dell'affare Unicredit. Lei potrà anche non crederci, perché spesso vengo rappresentato come il "braccio armato" dalla politica nel mondo della finanza, ma la verità è che io con la politica non ho alcuna "relazione pericolosa". Io sono un menestrello, rispetto a chi fa politica per professione... Do consigli e suggerimenti, e solo quando mi vengono richiesti". Non è questo il caso dell'operazione Unicredit, garantisce il presidente delle Generali: "Nessuno mi ha chiesto nulla, e io non ho suggerito nulla". Eppure i conti non tornano, se uno degli uomini considerati vicini allo stesso Geronzi, e cioè Luigi Bisignani, accredita l'ipotesi che la cacciata di Profumo sia solo la prima tappa di un percorso, rinsaldato sull'asse Berlusconi-Letta, che deve poi portare alla "grande fusione" Mediobanca-Generali. Su questo punto il banchiere di Marino taglia corto: "Forse c'è chi vuole accreditare giochi di potere e comportamenti non rituali nella gestione di istituzioni finanziarie importanti come le nostre. Ma io non faccio giochi, questo modo di operare non mi appartiene e non mi è mai appartenuto. La mia storia parla per me, dai tempi in cui lavoravo alla Banca d'Italia".
Prendendo per buona la versione del banchiere di Marino, resta allora da capire chi ha davvero voluto far fuori Profumo. Se l'ipotesi Berlusconi-Geronzi è "un romanzo di fantascienza", il "colpevole" non può essere il solito maggiordomo, come nei romanzi gialli di serie B. Sono stati i libici? "No, su questo concordo perfettamente con lei: la presunta scalata dei libici è stata solo un pretesto, un alibi, oltre tutto pessimo, perché confermo che nel caso di Capitalia i libici sono stati i migliori azionisti che io abbia mai avuto". Allora sono stati i tedeschi, tanto che ora Bossi, dopo aver agitato lo spauracchio di Gheddafi, lancia l'allarme sulla "calata degli unni" dalla Germania? "Non diciamo sciocchezze. Qui c'è chi apre bocca e da fuoco ai denti. Far serpeggiare adesso il rischio della scalata dei tedeschi con il solito slogan del "no pasaran", dopo aver gridato al pericolo dei libici, mi pare davvero un modo stravagante e propagandistico di "leggere" gli eventi. Non facciamoci prendere dalle dietrologie e dalle strumentalizzazioni...".
Scartato Palazzo Chigi, escluso lo stesso Geronzi, sgomberato il campo dall'equivoco sui libici e sui tedeschi, chi rimane tra i possibili "congiurati"? Restano i "grandi azionisti" del Nord, cioè le Casse di Torino e di Verona dietro alle quali la Lega si è mossa e si muove eccome, a dispetto delle smentite di queste ultime ore. E qui il presidente delle Generali si fa più pensoso: "Mettiamola così. Io penso che tutto nasca dal grande processo di trasformazione delle casse di risparmio, e poi di creazione delle Fondazioni, avviato all'inizio degli anni '90. Quella riforma ha consentito indubbiamente il disboscamento di quella che allora Giuliano Amato definì giustamente la "foresta pietrificata" del credito. Ma col tempo quel processo di modernizzazione ha cambiato natura. E oggi le Fondazioni stanno riproducendo antiche formule del passato, e stanno ripercorrendo una strada che mi ricorda quella delle vecchie camere di commercio. Stiamo tornando a quel livello, e questo mi preoccupa molto, da cittadino prima di tutto. Perché vede, in nome di questo malinteso senso del "radicamento con il territorio", le Fondazioni rischiano di disgregare il sistema, mentre c'è bisogno di cementarlo... ". Eccoli, allora, i colpevoli della congiura contro Profumo: Palenzona e Biasi, le Fondazioni piemontesi e venete, debitamente ispirate dalle camice verdi.
Quando si parla della "politica che vuole allungare le mani sulle banche", insomma, secondo Geronzi non si fa riferimento ad un'intenzione generica del Palazzo. Ma è di questo che si sta parlando: della Lega, che usa le Fondazioni per costruire le sue roccaforti locali. "Unicredit è il primo esempio. Ce ne potrebbero essere altri. Non Banca Intesa, per fortuna, dove Bazoli ha gestito al meglio la fase critica e Guzzetti, che è uomo di grande qualità, è riuscito a coniugare al meglio la vocazione globale e la collocazione territoriale". Almeno un "colpevole", alla fine, è uscito fuori. Ma può essere solo il Carroccio, il pericolo per il sistema bancario? E può essere solo il Carroccio ad aver mobilitato tutti i consiglieri di Unicredit contro "Mister Arrogance"? Il banchiere di Marino ci crede: "Ma una cosa è certa. Non è così che si gestisce un problema all'interno di una delle più grandi banche d'Europa. Vede, Profumo era un uomo di carattere, e un temperamento molto forte. Ha gestito e superato momenti difficilissimi, perché nel 2008 e 2009 la crisi è stata durissima. Si può immaginare che qualche suo tratto non "arrogante", perché l'arroganza non c'entra, ma magari semplicemente "autoritario", può non essere piaciuto agli azionisti. Ma se anche fosse stato questo il problema, il modo in cui è stato affrontato e "risolto" è stato pessimo...".
Dice di più, Geronzi: "Unicredit è una grande istituzione sovranazionale. Il modo in cui è stato affrontato il caso Profumo non è degno di una "banchetta" di provincia. Io non sono azionista di Unicredit. Ma da "banchiere di sistema" che si è sempre battuto per la stabilità, dico che in questi giorni è stata data ai mercati internazionali una pessima dimostrazione di ciò che è il sistema finanziario italiano. Il consiglio di amministrazione dell'altro ieri, con gente che entra e che esce e foglietti che volano da un tavolo all'altro, è uno spettacolo avvilente. In Francia e in Germania una cosa del genere non sarebbe mai accaduta. Mi chiedo perché debba accadere da noi. E da questo punto di vista sono convinto che, con questa vicenda, sia stata fatto un grave danno all'Italia. In un grande Paese, l'establishment non si comporta così...".
Su questo, davvero, non si può che essere d'accordo con Geronzi. Resta da capire a che punto è il progetto di fusione Mediobanca-Generali, che Bisignani descrive come il vero, grande sogno del banchiere di Marino: "Se scrive di nuovo che questo è il mio progetto mi offendo. Non ci penso, non ci ho mai pensato... ". L'obiezione finale è fin troppo facile: aveva smentito seccamente anche l'ipotesi di un suo trasloco da Piazzetta Cuccia al Leone Alato, che invece nella primavera scorsa è andato puntualmente in porto. "Quella è tutt'altra storia - conclude Geronzi - poiché decisi di accettare il trasferimento solo l'ultima settimana, e nel comitato nomine di Mediobanca decidemmo tutti assieme, all'unanimità. Io ho a cuore la stabilità. Mi si può dire che le Generali possono essere gestite meglio, in modo più dinamico o più redditizio. Accetto tutto. Ma non mi si può e non mi si potrà mai dire che un'istituzione che presiedo possa concorrere a sfasciare il sistema. In tutta la mia vita ho fatto esattamente l'opposto. E continuerò a farlo". Vedremo chi ha ragione. Appuntamento alla prossima primavera.

Massimo Giannini