Geronzi: ecco perché la fusione Mediobanca-Generali non si farà mai

Corriere Della Sera

«Ipotesi fantascientifica. Banche e assicurazioni sono mestieri diversi»

VENEZIA - Fusione tra Generali e Mediobanca? «Non è mai stata e non sarà mai sulla carta». Governante del Leone? «Negli ultimi anni non si sono registrati significativi progressi.
Ora c’è una volontà condivisa di "stringere" sui processi organizzativi e decisionali». Cesare Geronzi è da cinque mesi presidente delle Generali.
Prima era presidente di Mediobanca, con il 13,4% il primo azionista a Trieste. A lui vengono attribuiti ciclicamente, e soprattutto dopo il suo passaggio Trieste, piani di fusione tra Piazzetta Cuccia e il Leone. Ieri, dopo il consiglio della compagnia che si è tenuto a Venezia, ha dichiarato sulle ipotesi di merger: «Speriamo si metta una pietra sopra e si rassegni chi la pensa diversamente». Gli hanno fatto eco Alberto Nagel, amministratore delegato di Piazzetta Cuccia («non ha alcun senso») e Vincent Bolloré («pura fantasia»).
Bene, spieghi perché questa operazione "non sarà mai sulla carta".
«Perché mancano i presupposti istituzionali, strategici e funzionali. È opportuno il mantenimento della specializzazione di Mediobanca formatasi nei decenni e tuttora con ampie e autonome prospettive. Non può essere commista con altre funzioni, tanto più se questa immaginaria concentrazione dovesse richiedere ribaltamenti societari e ordinamentali».
Lo stesso vale per Generali.
«Certamente. Mediobanca e Generali fanno mestieri diversi. Una loro unione non ha senso industriale: non è possibile mettere insieme realtà operativamente e professionalmente diverse in un agglomerato bancario-assicurativo. Sappiamo bene che tentativi sono stati fatti soprattutto in Europa ma il risultato è sotto gli occhi di tutti: in gran parte dei casi l'esperienza si è conclusa in modo fallimentare. Inoltre un'aggregazione di questo tipo sarebbe del tutto controcorrente».
In che senso?
«Questa fantasiosa ipotesi viene costruita proprio quando la formazione di organismi di ampie dimensioni è sottoposta a profonda riconsiderazione a livello internazionale: dopo l'esperienza della crisi preoccupa il too big to fail. E la stessa cosa vale per l`altra fantascientifica idea che riguarderebbe un'aggregazione tra Unicredit e Mediobanca».
Che però sarebbe tutta bancaria...
«Lo dica a Nagel... Senta, chi fa queste ipotesi mi dovrebbe spiegare una cosa: perché mai Mediobanca dovrebbe unirsi a qualcun altro? E poi Unicredit ha già una propria realtà di banca d`affari. Oggi la via è semmai quella di perseguire e rafforzare il core business, coltivare le proprie specializzazioni. Ecco perché in entrambi i casi le concentrazioni obbedirebbero a una moda in via di revisione, come lo sono anche i conglomerati, e forme di aggregazione similari. Idee che possono dunque essere state partorite solo da qualche commentatore distratto e impreparato. Ben altre sono oggi le necessità organizzative e strategiche Mediobanca e Generali».
Lo sa, il suo passaggio in Generali dopo aver ripetuto che Trieste non la interessava favorisce un po’ di diffidenza.
«L’ho già detto: ho accettato, non cercato, quel trasferimento».
Potrà cambiare qualcosa nelle relazioni fra Unicredit, Mediobanca e Generali dopo l`uscita di Alessandro Profumo?
«Non credo. Il presidente di Unicredit Dieter Rampl è ben noto e conosciuto. In Mediobanca è presente e ha collaborato ogni qualvolta con partecipazione intelligente a modifiche strutturali. La sua presenza è sempre stata avvertita, ha sempre partecipato a comitati importanti come quelli su nomine e governante».
E comunque Profumo ha fatto un passo indietro e i rapporti con Piazzetta Cuccia li hanno tenuti in particolare Rampl e Fabrizio Palenzona.
«Secondo lei Profumo non parlava con i manager di Mediobanca? Perché soffermarsi così sui nomi?».
Tornando a Generali, cosa intende per "stretta" sulla governance?
«Vede, negli ultimi tre anni sotto il profilo della governance c’è stato un certo rallentamento dovuto a una diversa visione della precedente presidenza. Oggi c'è la volontà condivisa è di avviare processi organizzativi che sostengano il consiglio con il lavoro dei comitati. Il board si riunisce ogni 45 giorni circa, i comitati esecutivi e investimenti una volta al mese. E a ottobre la Boston consulting ci consegnerà la prima relazione sugli interventi da fare per rivedere la struttura organizzativa. Nel consiglio di oggi diamo attuazione alla prima fase del regolamento fra le parti correlate: occorre un comitato di indipendenti e noi abbiamo già il comitato di controllo che è costituito da soli indipendenti».
Ma è vero che in consiglio si è arrabbiato sul tema Mediobanca-Generali?
«Certo, e spero si metta una pietra sopra anche alla fantasiosa idea che io sia un manovratore, un banchiere-politico. Non le dico: io sono il solo banchiere a non fare politica, se per politica s’intende quella partitica e di schieramento. Semmai le dico che tutti i banchieri, per il mestiere che svolgono, fanno scelte che sono altamente politiche. Oggi però dovremmo tutti assumere un atteggiamento propulsivo, piuttosto che indugiare in polemiche. Dovremmo pensare al ruolo che le banche possono svolgere per contribuire allo sviluppo nella stabilità e rafforzare il sistema per la crescita».

Sergio Bocconi