"Mediobanca al centro del sistema Italia"

La Stampa

Fondi esteri insoddisfatti: questa governance lascia spazio a conflitti di interessi

Ci vogliono sei ore, oltre 30 interventi, prima che l'assemblea di Mediobanca compia la sua rivoluzione: col voto contrario dei fondi esteri, Piazzetta Cuccia abbandona il dualistico e torna al modello di governance tradizionale, fatto di un Cda a 23 componenti e di un collegio sindacale. Un minuto dopo, ancor prima di guidare il nuovo consiglio - con il debutto di Marina Berlusconi, la nomina di Marco Tronchetti Provera a vice insieme con Dieter Rampl, l'ingresso del dg della Fondazione Mps Marco Parlangeli come consigliere di minoranza - il presidente Cesare Geronzi illustra lo spirito dell'istituto. Quello delle origini: "Un perno del sistema italiano votato a sostenere l'attività produttiva del Paese".
Per tutto il giorno, invece, Geronzi ha dovuto ascoltare i mille dubbi dei piccoli soci e dei fondi sulla retromarcia in fatto di governance. "Evidentemente - spiega il presidente - siete rimasti affascinati dalla dietrologia, avete seguito il film che vi hanno raccontato ... Se foste stati attenti alle iniziative delle autorità, vi sareste accorti che di tutto si trattava tranne che di beghe personali" tra lui e Nagel. La verita "una sola", legata alle norme applicative di Bankitalia che, intervenute dopo il passaggio della merchant bank al dualistico, hanno creato «criticita», dando ai consiglieri di sorveglianza "responsabilità tipiche del collegio sindacale, senza avere gli stessi poteri". Quindi, la scelta di cambiare modello è stato "un atto di responsabilità che ci conduce a un governo migliore".
Un passo dettato sostanzialmente da ragioni di "funzionalità e di attribuzione di responsabilità relative".  Non ho voglia né di diventare vice presidente né di sedere nel cda di Generali - Cesare Geronzi presidente di Mediobanca sa che questo sia un semplice ritorno al sistema tradizionale: «La nostra è una novità in senso assoluto. Per noi l'aver messo il management in Cda è un vanto», avendo pure "mantenuto tutto ciò che c'era di buono nel dualistico".
Guai a chi insinua che tutto possa risolversi con una poltrona a Trieste: "Nonostante nessuno ci creda - dice il presidente - io, e spero di doverlo dire per l'ultima volta, non ho voglia di diventare né vicepresidente né sedere nel consiglio delle Generali. Non voglio fare nulla di più che il presidente di Mediobanca ». I rappresentanti dei fondi non sono soddisfatti. Gianfranco Ginfrate, a nome di Hermes (e di altri fondi) parla di una governance che "lascia spazio a conflitti d'interesse che potrebbero limitare l'autonomia dei manager". Per Dario Trevisan, che rappresenta 17 milioni di azioni in mano a fondi esteri (11,41% del capitale) c'è «il tentativo di assoggettare il management a interessi soggettivi, disallineati da quelli sociali» con il rischio di "danneggiare in modo irreversibile la reputazione di cui gode la società presso questi investitori". Ora per Geronzi "tutti dobbiamo essere uniti, senza competizioni eccessive, personalismi". Perché questa banca "é straordinariamente importante, al centro dell'attenzione: insieme ad altri istituti dovremo sostenere la ripresa dell'economia del Paese".
L'ad Alberto Nagel, commentando i conti del primo trimestre (ricavi giù del 13% a 594 milioni, utile netto a -20% a 310 milioni) parla di un business che "si conferma solido anche alla prova di un inizio di crisi seria". E ancora: «Siamo liquidi per 11 miliardi, fatto importante per fronteggiare eventi non prevedibili fino a poche settimane fa». Anche per Geronzi si tratta di «conti straordinari, dato
il momento». Tocca invece al dg Renato Pagliaro rispondere a chi nutre dubbi sull'operazione Telco, la holding di Telecom Italia. "Abbiamo apportato le nostre azioni a favore di una soluzione che evitasse la vendita ad At&T e ai messicani - spiega -. Visto a distanza di 15 mesi, se avessimo girato la testa dall'altra parte e avessimo venduto, avremmo fatto un affare".