«Vado in Mediobanca senza doppi incarichi»

Il Sole 24 ore

I francesi potranno salire all'11% in Piazzetta Cuccia. Il 2% di Capitalia in Rcs non si vende: l'ho detto a Bazoli

«Nella mia vita di banchiere non ho mai avuto doppi incarichi. Non mi vedo bene a fare un doppio lavoro. È vero che sono anche vice-presidente di Mediobanca, ma non partecipo più alle riunioni dell'esecutivo e in Rcs sono nel patto ma non nel consiglio». Dunque, Cesare Geronzi sceglierà tra la vice-presidenza di super-UniCredit e la presidenza del consiglio di sorveglianza di Mediobanca? «Non sceglierò — dice — Dipende da cosa mi offriranno». Ma con la testa il presidente di Capitalia è già in Piazzetta Cuccia. Ed è da presidente in pectore della banca d'affari milanese che il romano Geronzi chiarisce gli accordi per il riassetto della Galassia del Nord, ripercorrendo le tappe che hanno portato l'istituto capitolino nelle braccia dell'UniCredit di Alessandro Profumo.
Tra i tanti commenti positivi alle nozze UniCredit-Capitalia affiora qualche nota di preoccupazione per la tendenza al gigantismo del credito che ha preso piede anche in Italia. A suo giudizio, sono fondati i timori per i rischi di concentrazione del credito e del potere?
Qui bisogna mettersi d'accordo. Non si può una volta volere campioni nazionali in grado di competere con altri campioni nazionali e un'altra volta no. È un dato di fatto che sia in atto una riorganizzazione del sistema per renderlo più omogeneo e più efficace. È chiaro poi che se la concorrenza si fa tra forti, il livellamento verso l'alto è naturale.
Lei ha sempre avuto buoni rapporti con i Governatori della Banca d'Italia. Aveva ragione Antonio Fazio a ritenere che il sistema del credito in Italia fosse già troppo concentrato e che occorreva tempo per digerire le aggregazioni fatte o ha avuto ragione Mario Draghi a lasciare briglia sciolta alle banche?
Io credo che Fazio e Draghi abbiano vissuto epoche diverse, al di là del fatto che abbiano di loro filosofie profondamente differenti. Ma il processo di concentrazione favorito dall'attuale Governatore tiene conto dei grandi cambiamenti in atto in campo europeo, che non possono che sollecitare aggregazioni anche in Italia.
Quanto è stato determinante l'assalto ad Abn-Amro, primo azionista di Capitalia, nella scelta di fondersi con UniCredit?
La situazione che si è venuta a creare in Abn è servita, diciamo, ad accelerare un'operazione che avevamo già in mente.
Non è stata questione di 15 giorni, dunque...
Operativamente abbiamo iniziato a lavorare dai primi di maggio. È evidente che c'erano già ragionamenti in corso, ma non dimentichiamo che fino a poco tempo fa UniCredit era concentrata su SocGen.
Si farà ancora l'aggregazione con i francesi?
Perché no? È chiaro che ora i tempi sono diversi, ma anche SocGen alla fine dovrà scegliere se crescere ancora.
Parliamo della concentrazione delle partecipazioni. Per Mediobanca il quadro è chiaro.
Infatti abbiamo dato mandato irrevocabile a Mediobanca di cedere 1'8,6% nel portafoglio di UniCredit all'interno del patto. Resterà solo il 9,39% di Capitalia.
All'interno del patto significa che potranno salire di peso le altre banche già presenti, Mediolanum e Commerzbank?
Beh, potrebbe entrare qualcun'altro nel patto, per esempio Benetton. La quota resterebbe comunque vincolata.
E su Generali è stato preso qualche impegno? Il presidente della compagnia, Antoine Bernheim, è preoccupato.
Il nostro 2,3% è in uscita, probabilmente entro fine mese andrà tutto sul mercato. E anche UniCredit potrebbe anticipare la scadenza del bond convertibile. Ciò significa che cederemo complessivamente il 6% del capitale, uscendo dall'azionariato. Quanto a Bernheim non ci sono problemi. Sta bene dove sta, siamo tutti felici sia stato riconfermato e siamo già d'accordo che sarà lui a scegliere il suo successore.
I francesi avranno una quota superiore alla vostra in Mediobanca. Non si pone più la questione della difesa dell'italianità di Mediobanca e Generali?
I francesi hanno una quota del 9,5% e l'opzione a salire all'10%. Ma l'italianità di Mediobanca e Generali, voglio sottolinearlo, non è e non sarà mai messa in discussione. Il Leone dovrà crescere, ma resterà italiano. Non serve il nostro presidio diretto, basta la quota di Mediobanca
Ci sarà un ruolo per Claudio Costamagna in Piazzetta Cuccia?
No, non è in discussione. Costamagna sta facendo un lavoro eccellente qui con noi, certo è una risorsa preziosa di cui è difficile privarsi.
I rapporti con il presidente di Intesa-Sanpaolo, Giovanni Bazoli, come sono oggi che avete scelto di sposarvi con UniCredit?
Da parte mia ritengo che siano buoni, buonissimi. Mi sembra peraltro di percepire ancora alcune preoccupazioni che ritenevo di avere dissipato in un lungo colloquio che ho avuto con lui qualche giorno fa.
E cosa gli ha detto?
Gli ho spiegato come cederemo il 6% di Generali. Gli ho detto che in Mediobanca terremo poco più del 9%. Gli ho ribadito che in Rcs non cambia nulla, perché cosa cambia in un patto di quelle dimensioni se c'è il 2% di Capitalia?
Ha qualche rammarico per non avere condotto in porto prima l'aggregazione con Banca Intesa?
Quando a Enrico Cuccia non riusciva un'operazione diceva: «Chissà se alla fine non era un male!». A bocce ferme avrei potuto dire lo stesso. Adesso comunque sono molto soddisfatto dell'operazione con Profumo e altrettanto lo è lui.
Dunque non condivide l'osservazione che forse sarà difficile conciliare due stili molto differenti?
A volte la diversità aiuta. Basta guardare alla banca che uscirà dall'unione tra UniCredit e Capitalia: ci sono pochissime sovrapposizioni, è un'operazione perfetta.
Davvero, come si sente dire, avete intenzione di realizzare l'integrazione in tempi record? Avrà un ruolo nella nuova banca la squadra di management di Capitalia?
Per ottobre sarà tutto pronto. Quanto al management, certo che avrà un ruolo, ci mancherebbe: abbiamo strutture in grado di dare un apporto straordinario.
E cosa risponde a chi teme la delocalizzazione della prima banca della capitale?
Che è una modalità provinciale di porre il problema. Oggi i grandi affari si fanno indifferentemente da New York o dalla Cina. Ciò che importa non è la presenza fisica, ma la capacità di un gruppo bancario più forte di sostenere le imprese, i cittadini, e le autorità locali.
Guardiamo avanti, come vede il futuro di Mediobanca?
Intanto è bello constatare che sia tornata al centro del contesto che governa il mondo delle ristrutturazioni, delle operazioni finanziarie. Questo non può che farci piacere. Il resto verrà.