Geronzi svela l'arcano sulle mancate fusioni

L'opinione

Nel corso della convention di Capitalia il banchiere romano ha raccontato come si sono svolti i fatti delle infruttuose fusioni con Banca Intesa e con Abn Amro. Stando alla ricostruzione il Governatore si interessò del risiko bancario, ma vista la malaparata tolse il vincolo che le operazioni di "m&a" dovessero passare al vaglio di Bankitalia.

Cesare Geronzi ha tolto il velo di mistero sul no, anzi sul doppio no dato, in tempi e modi diversi, a Giovanni Bazoli e a Rijkman Groeninik, raccontando, da par suo, come si sono svolti i fatti attorno alle infruttuose fusioni di Capitalia con Banca Intesa e con l'olandese Abn Amro. Lo ha fatto, inaspettatamente, alla convention di Capitalia, lasciando i numerosi presenti di stucco. Di certo, non l'hanno presa bene i numeri uno di Banca Intesa e di Abn Amro. "Ho detto decisamente no - ha affermato il presidente di Capitalia – perché saremmo diventati una divisione retail" (vendita al dettaglio, ndr), mentre a suo parere, la banca deve restare "padrona del proprio destino".
Geronzi ricostruisce i fatti come si sono svolti con il presidente di Intesa. Con Bazoli, lui aveva preso solo un caffè prima dell'interdizione, causata dalla vicenda Parmalat, che ha rischiato di indebolire la banca di via Minghetti, ma non aveva parlato con il suo interlocutore di matrimonio. Poi, per via del provvedimento della magistratura, si è messo in moto un processo che stava portando al lancio dell'Opa di Intesa su Capitalia, un evento scongiurato, perché l'amministratore delegato, Matteo Arpe, ebbe la prontezza di comprare il 2% di Intesa. Con ciò bloccò la scalata e finì lì la storia. Sebbene, a fine aprile, ritornato al timone della banca romana, Geronzi partecipò a una colazione con Bazoli e con il governatore Draghi, dove si discusse di nozze, ma senza arrivare ad alcuna conclusione. Dopodichè Bazoli iniziò a corteggiare Enrico Salza, con successo, visto che entrambi si sono trovati d'accordo per aggregare la banche di cui sono i presidenti. Bazoli aveva interesse a chiudere l'accordo con Salza dopo essere stato bocciato da Geronzi, del resto, altrettanto Salza usciva da una aria non brillante con il Monte Paschi di Siena.
Stando alla ricostruzione dei fatti, il Governatore si interessò del risiko bancario, ma vista la malaparata tolse il vincolo che le operazioni di "m&a” dovessero passare al vaglio di Bankitalia. Così facendo facilitò la nascita della superbanca San-Intesa. Nello stesso tempo, capì che per colpa del risiko bancario si sarebbe trovato a suo rischio e pericolo nelle medesime condizioni di Fazio.
Geronzi è un banchiere con un forte senso politico e se ha deciso di svelare i misteri delle mancate fusioni di Capitalia con Intesa e con Abn Amro ci sarà più di un motivo che l'hanno spinto a farlo. Prendendo al volo l'occasione della convention, ha voluto anticipare alleati e avversari per piantare il proprio paletto di presenza nel terreno friabile del capitalismo italiano. Senza ombra di dubbio, se avesse accettato la fusione, avrebbe perso Capitalia, visto che Intesa è la principale banca italiana, e avrebbe dato un ruolo di dominus a Bazoli in Mediobanca, Generali e Rcs. Prova ne sia che Bazoli aveva lanciato il suo braccio destro, il finanziere franco-polacco Romain Zaleski residente a Brescia città del professore,  a spianare la strada, con l'acquisto del 2% di Generali.
Al terremoto scatenatosi con la fusione di Banca Intesa con San Paolo Imi e con il caso Telecom Italia, Geronzi è consapevole che deve fare le opportune mosse per ritornare al centro dei giochi di potere, avendo le mani in pasta in Mediobanca, in Rcs e in Generali. Oltretutto, in Capitalia tra i tanti soci che compongono il suo capitale azionario, c'è anche la Pirelli. Geronzi e Marco Tronchetti Provera sono legati tra loro, oltre che da un rapporto finanziario, da una stretta amicizia a tal punto che il banchiere di Marino, si dice, abbia indicato a MTP il nome di Guido Rossi della presidenza di Telecom Italia. Dato che proprio Geronzi aveva toccato con mano gli effetti positivi della collaborazione dell'avvocato milanese nella vicenda della scalata di Antonveneta, quando, grazie alla Procura di Milano. sbaragliò, contemporaneamente, Fiorani, Gnutti, Consorte e Ricucci, componenti della cordata che si era impossessata della banca patavina a scapito degli olandesi di Abn Amro. Svelando i misteri che hanno convinto Capitalia a non convolare a nozze con la banca milanese prima e con la banca olandese poi, Geronzi tenta di bloccare operazioni ostili nei suoi confronti e dei suoi alleati. Sennonché, si batte per gli attuali equilibri del capitalismo italiano e putacaso cambiassero, lui si pone nelle condizioni che dovrebbe quantomeno essere coinvolto nella ridefinizione. E questo problema non è più rinviabile, visto che la peculiarità del capitalismo italiano si basa su governance rigide e chiuse. "Nelle grandi imprese – scrive Messori – ciò causa una esasperata ricerca del controllo con limitati investimenti azionari, mediante l’utilizzo di  strumenti opachi e distorsivi (strutture piramidali, intrecci proprietari, patti di sindacato più o meno formali, azioni con limitati diritti di voto), e dilata il ricorso al debito (specie bancario); nelle altre imprese ciò vincola l’attività all’autofinanziamento e al finanziamento bancario, bloccando così il normale "ciclo di vita" delle imprese e contribuendo a schiacciare la nostra struttura produttiva sulle piccole dimensioni. Non più tempo di salotto buono, infatti, con l'affaire che ha coinvolto MTP, ultimo rampollo con tre quarti di nobiltà, il salotto buono è entrato in crisi e ha dovuto chiudere definitivamente. Fatto sta che gli imprenditori e i banchieri non hanno più un referente che li assisteva e li guidava, per cui ognuno di loro si dovrà attrezzare per difendersi dal processo di razionalizzazione del capitalismo italiano. Il grande regista del capitalismo, Enrico Cuccia è morto da tempo e nessuno ha saputo prendere la sua eredità. Gianni Agnelli non aveva titolo per prendere il suo posto avendo lasciato la Fiat sull'orlo della bancarotta, e Antonio Fazio, ottimo economista, è scivolato rompendosi le ossa,  quando ha iniziato a fare il Cuccia, dando le carte a banchieri e imprenditori, nel tentativo di rafforzare il capitalismo nell'ottica di una neo autarchia. Una visione datata, fuori dal tempo. Proprio per questa ambizione sbagliata, ruppe con il suo amico più stretto, Cesare Geronzi di tutt'altra stoffa. A ben vedere, l’occasione fu il sostegno dato dall'ex governatore a Giampiero Fiorani e ai "furbetti del quartierino" che iniziarono a mettere a soqquadro il capitalismo italiano, attraverso scalate senza capitali. L'obiettivo non era soltanto quello di mettere le mani sugli istituti di credito come fece Fiorani con l’Antonveneta e Consorte con la Bnl, ma di impossessarsi di gruppi industriali ed editoriali della portata di Fiat, Telecom e Rcs Media Group, la holding del Corriere della Sera. Dopodichè, passare alla scalata finale.
Mediobanca e Generali. "I furbetti" capirono la fragilità del capitalismo italiano e lo colpirono nei suoi punti deboli, con l'intento di incassare una montagna di moneta sonante, usando, puntualmente, strumenti ad alto rischio e per molti versi illegittimi. I "furbetti", definiti anche in modo sprezzante i "nouveaux entrepreneurs", hanno giocato con il capitalismo liquido, non avendo alcun interesse a tenersi i "santuari" conquistati, semmai il loro interesse era di rimetterli sul mercato, con lo scopo di fare. Questo gioco valeva, in particolare, per Ricucci, Cuppola e Statuto e per la cordata bresciana di Hopa con a capo Emilio Gnutti.
L’ex governatore avallò questo lato della finanza opaca, pensando, commettendo un errore grande come una casa, che fosse una specie di cavaliere bianco dell'italianità che si batteva contro la discesa dell'imperatore Carlo VII in Italia. Fuor di metafora, i"furbetti" si schierarono contro gli olandesi di Abn Amro che lanciarono l'Opa su Antonveneta e gli spagnoli di Banco Bilbao su Bnl. Finita la stagione delle scalate basate su plusvalenze, concerti e accordi di insider trading, è scoppiato il caso Telacom Italia. Una vicenda le cui responsabilità ricadono sui governi che hanno svolto la privatizzazione e hanno sostenuto le scalate fatte con debiti enormi, così come è successo nel caso Colaninno a capo della razza padana. Della razza padana si erano infatuati in molti, credendo che questa fosse composta di "capitani coraggiosi", capaci di far cambiare pelle al capitalismo italiano. Un abbaglio, erano solamente dei corsari, come nel passato e nel presente si erano e si sono visti in circolazione nel mondo economico. Fare nomi non serve, sarebbe come sgranare un rosario.
Di gialli finanziari, la storia d’Italia è piena zeppa e questi ultimi sono il risultato di un capitalismo incapace di uscire dalle secche in cui si trova, dopo il fallimento delle privatizzazioni fatte a tarallucci e vino. Nel senso che furono fatte in fretta per fare cassa, penalizzando lo sviluppo e favorendo il più delle volte gli amici degli amici.
Sul versante di Abn Amro, Geronzi, in base alla ricostruzione degli avvenimenti, non lamenta "ritorsioni" da parte degli olandesi per la mancata fusione. Il 7,7% avevano nell’azionariato di Capitalia e con questa percentuale resteranno nel momento in cui dovranno rinnovare il patto di sindacato. Restano di fatto i primi azionisti come nel passato.